CHIARAMONTE, Francesco
Nato da illustre famiglia napoletana presumibilmentè nei primi anni del sec. XVI, nel febbraio 1536 era governatore della piazzaforte sabauda di Montmélian quando l'esercito francese di Francesco I invase il ducato. Nella pur generale mancanza di resistenza all'invasione fece scalpore il tradimento del C., che consegnò senza combattere la fortezza, ritenuta inespugnabile. Passato al servizio francese, nello stesso anno il Brantôme ne segnala la presenza al seguito del maresciallo de La Mark che difendeva Peronne assediata da Enrico di Nassau. Verso il 1537-38 il C. si sentiva in diritto di reclamare, insieme al soldo della "banda" che aveva comandato a Marsiglia, il suo proprio, una indennità per il riscatto di 300 scudi che aveva dovuto versare come prigioniero e la pensione di 400 lire che il re gli aveva promesso. Questa richiesta testimonia la presenza del C. in Provenza durante la campagna dell'estate 1536. Qualche anno più tardi, nel 1545 partecipava alla difesa di Montreuil contro gli Inglesi, e François de Billon, segretario del cardinale Du Bellay, lo cita come esempio dell'ingegnosità italiana in materia di poliorcetica. La pensione di cui il sovrano francese lo gratificava fu portata da Enrico II a 600 lire l'anno nel 1549, e nello stesso anno egli ebbe cura di naturalizzarsi francese.
Nelle lettere che consacrano il risultato dei suoi passi, si menziona, oltre al suo desiderio di restare al servizio del re, la sua "vaillance et grande expérience" alla testa di "bandes de gens de pied" affidategli sotto il precedente sovrano, e gli si attribuisce il grado di colonnello. La formula che precede la firma dell'atto indica l'intervento personale del Montmorency, e verosimilmente la richiesta era stata avanzata alla Cancelleria dagli uffici del connestabile. Il C. aveva molto a cuore l'intento di stabilire delle buone relazioni nel mondo militare. Consapevole dei rischi cui lo esponeva la guerra, volle legittimare, prima di partire per l'Italia, nel 1551, un figlio di nome Annibale. Sollecitò allora l'intervento di Antoine Grognet de Vassé, capitano di cinquanta lancieri di gendarmeria e governatore del Piemonte. Ma pur essendo ricorso in materia giuridica ai buoni uffici di Anne de Montmorency, aderì piuttosto al partito dei Guisa, meno portati per le soluzioni pacifiche. E al duca Francesco, rimasto in Francia, continuava a riportare tutti gli avvenimenti di cui veniva a conoscenza, raccomandandoglisi "figliolo suo".
Le guerre condotte dalle armate di Enrico II nella penisola italiana occuparono il resto dell'esistenza del C. e gli diedero l'occasione di esercitare il talento militare che i suoi contemporanei gli hanno riconosciuto. L'intervento francese nei dissensi tra il papa Giulio III e la famiglia Farnese a Parma diede il segnale dell'apertura delle ostilità. Dei fuorusciti si trovavano già sul posto sin dalla fine della primavera del 1551, spingendo all'azione i politici con la mediazione della casa di Lorena, impaziente di gloria militare. Fra i fuorusciti, a fianco del maresciallo Strozzi, si trovava il C., il quale nel mese d'agosto affidò al capitano Gerolamo da Pisa una lettera indirizzata al duca di Guisa.
Vi esprimeva l'opinione che il re di Francia aveva "un bel gioco nelle mane" e che la presenza delle truppe costituiva per l'imperatore un "freno che non se la pensa". Questo ottimismo gli faceva prevedere, cinque anni prima che il progetto si realizzasse, una nuova spedizione per la conquista del Regno di Napoli.
I negoziati per una tregua, nei primi mesi del 1552, posero temporaneamente fine agli scontri, ma non agli intrighi. Ridotti all'inazione, nell'incapacità momentanea di raggiungere le forze del Brissac che occupavano il Piemonte, lo Strozzi e i suoi aiutanti non si rassegnavano all'ozio. Il duca di Ferrara informava Cosimo de' Medici che in una riunione tenutasi presso suo fratello il cardinale Ippolito d'Este si erano incontrati il maresciallo Strozzi, Paolo de Termes, Giovanni da Torino, il C. "e altri capitani". Le discussioni ripresero a Chioggia, nel Veneto, dal 15 al 18 luglio. La questione era se si dovesse intervenire a Siena, nel Milanese o a Napoli. Paolo de Termes consigliò la prudenza. In mancanza di meglio, il C., rassegnato, si ritirò a Rivoli. Ma la sua reputazione in materia di assedi e di fortificazioni era ben salda. Il Monluc, che aveva deciso di difendere la piazza di Casale (ottobre 1552), dato che l'abbandono di questa sarebbe stato pregiudizievole per la sicurezza di Torino, chiese al maresciallo de Brissac l'autorizzazione a far venire il C. con due ingegneri. Qualche settimana più tardi, scongiurato il pericolo grazie alla presa di Alba da parte delle truppe del Brissac, il Monluc e il C. tornarono presso il maresciallo. Nel frattempo si era compiuto il passaggio della città di Siena sotto l'influenza francese e cominciarono ad affluirvi le forze al soldo del re di Francia: Gerolamo da Pisa, sostituto del de Termes, i Bentivoglio, Giovanni da Torino e, naturalmente, il Chiaramonte. Da un resoconto sullo stato delle truppe incaricate della protezione della città, del dicembre 1552, apprendiamo che il C. era a Massa alla testa di centocinquanta uomini.
Il partito avverso non poteva tollerare questa situazione. Ma trascorsero dei mesi senza che si facessero sforzi apprezzabili. Solo nella primavera del 1554 si sparse nella penisola la notizia dell'arrivo di rinforzi per gli Imperiali. Parecchi militari, tra i quali il C., partirono per portare la notizia a corte e per chiedere istruzioni e denaro. L'umanista Gabriele Simeoni, in una lettera del 20 aprile, dice che il C. fu allora nominato "maître de camp de toute l'infanterie italienne". Tornato sul teatro delle operazioni, fece parte del consiglio riunito intorno a Piero Strozzi, luogotenente generale del re, il quale aveva il comando a Siena dopo la partenza del cardinale di Ferrara nel maggio 1554.
Il marchese di Marignano aveva fissato il campo nelle vicinanze della città, e gli avversari si affrontavano in scaramucce. Il 14 luglio il Monluc sentì, dalla parte di S. Abbondio, il rumore di una cannonata diretta contro le truppe italiane che si erano appostate al riparo di "un petit oratoire" (l'attuale chiesa di S. Carlo) e che erano al comando di Cornelio Bentivoglio, assistito dal Chiaramonte. La descrizione della risposta dei Francesi, che contribuì a far levare il campo imperiale, riempie parecchie pagine delle memorie dello storico.
Incoraggiato da tutte le parti, il consiglio di guerra di Siena decise una spedizione contro Cosimo de' Medici: questa si concluse col disastro di Marciano, dove quattromila tra francesi e italiani trovarono la morte, e fra questi, secondo le antiche cronache senesi riprodotte dalle prime edizioni di Monluc, il colonnello Chiaramonte.
In effetti questi ricompare nell'ottobre 1555, a Montalcino, dove si erano rifugiati i Senesi dopo la caduta della loro città. Il suo comportamento, come quello di parecchi altri capitani, fu oggetto di lamentele indirizzate dagli esiliati al re di Francia. Il Monluc, dal canto suo, facendo all'inizio dell'inverno 1556 un giro d'ispezione nelle piazze intorno a Montalcino, segnala che a Grosseto, dove era governatore, il C. "faisait de ce pays tout ainsi que s'il fust esté a lui, ne recognoissant les Siénois pour rien, dequoy ils estoient désespérez". Lo ammonì che la sua posizione non era superiore a quella dei suoi colleghi, e quando il C., qualche mese più tardi, chiese una licenza per recarsi in Francia, il Monluc non perse l'occasione per appoggiare la sua richiesta.
Il 31 marzo 1557 scriveva al duca di Guisa che il C. era "pas trop sain" ma soprattutto che era "de telle complexion qu'il ne peut accorder avec personne et à peine trouver vous cappitaine en votre camp qui le veuille obéir", riferendosi all'opinione di Piero Strozzi e del duca di Somma, "lequels cognoissent de longtemps ses humeurs".
Gli "humeurs" del C. non nuocevano però alla sua abilità guerriera. Il Monluc, qualche giorno più tardi, minacciato di un attacco a Paganivo, ricorse al suo collega e lo incaricò di attaccare le retroguardie nemiche. Solamente in giugno il duca di Guisa si decise a sostituire il terribile colonnello con Bonifacio de la Mole, "à la requeste des Sienois qui ne se pouvoient accorder avec lui".
Tuttavia l'attaccamento del C. alla causa dei Guisa appare fuor di dubbio. Gabriele Simeoni, che accompagnava Antonio Duprat, prevosto di Parigi, al seguito dell'armata del Guisa, non si peritò, nel dare dei consigli ai rappresentanti della città sulla politica da seguire, ad invitarli a "salutare il colonel Chiaramonti à Siena, il quale meglio la raguagliera del fatto mio". L'infaticabile guerriero prese anche parte, alla fine di giugno o all'inizio di luglio, a uno degli ultimi combattimenti della campagna.
Il 10 luglio rendeva conto al duca di Guisa che "questi sig.i francesi unitamente si sono messi una corona in testa", vantandosi di aver spinto il duca d'Alba a ritirarsi e "dopo aver fatto tutto ciò ch'aviam voluto". E concludeva: "E co il tempo, si riacquistera il reame di Napoli". Non era che un'illusione, il richiamo delle truppe francesi era stato già deciso, e sarebbe stato affrettato dalla notizia del disastro di San Quintino il 10 agosto del 1557.
Il C. tornò in Piemonte e, nel 1559, in Francia, al seguito del suo compatriota il duca di Somma, sempre col titolo di comandante in campo della fanteria italiana. Fino alla fine il suo cattivo carattere gli avrebbe nociuto; il segretario del maresciallo de Brissac sostiene che il duca aveva allora "résolution de tuer le colonel Cheramont". È certo che non mise in pratica il suo progetto, ma da quella data si perde traccia dell'ufficiale napoletano. La sola discendenza che lasciò fu Annibale, sposatosi e stabilitosi in Francia, e a lui fu conferita, a ricompensa dei servigi resi dal padre, la carica di gentiluomo della Camera del re.
Fonti e Bibl.: Parigi, Arch. nat., JJ 259, ff. 248 ss.; JJ 260, ff. 137 ss.; Ibid., Bibl. nat., Mss. Fr. 3096, f 45v; 3132, f. 39; 20520, f. 14; 20552, f. 220; Pièces orig., vol. Chiaramonte; F. de Billon, Le fort inexpugnable de l'honneur du sexe féminin, Paris 1555, p. 250; F. de Boyvin du Villars, Mémoires, Paris 1838, p. 320; A. Sozzini, Diario delle cose avvenute in Siena..., in Arch. stor. ital., II(1842), pp. 3 ss.; G. Raffia, Racconti... della guerra di Siena,ibid., p. 581; P. de Brantôme, Oeuvres complètes, a cura di L. Lalanne, I, Paris, 1864, pp. 251 s.; B. de Monluc, Commentaires, a cura di M. A. de Ruble, Paris 1864-72, IV, p. 70; L.-G. Pelissier, Une lettre inéd. de B. de Monluc, in Bull. hist. du Comité des trav. hist., XXI (1894), p. 496 n. 3; B. de Monluc, Commentaires,1521-1576, a cura di P.Courteault, Paris 1964, pp. 212, 217, 259, 262, 387, 389 s., 393; Négociations diplom. de la France avec la Toscane, a cura di A. Desjardins, Paris 1859-86, III, p. 314; IV, p. 155; E. Picot, Les Italiens en France au XVIe siècle, Bordeaux 1901-08, pp. 35 s.; L. Romier, Les origines polit. des guerres de religion, Paris 1913-14, I, pp. 319-321, 346 s., 423, 551; II, p. 415; T. Renucci, G. Simeoni, Paris 1942, pp. 95-97, 379.