CHIARENTI, Francesco
Nacque a Montaione (Firenze) nel 1766. Il padre, Quintino Pasquale, era proprietario terriero, la madre, Caterina, apparteneva alla famiglia dei Vaccà Berlinghieri, cugina di Francesco Vaccà Berlinghieri, famoso chirurgo dell'ateneo pisano, futuro patriota e padre di patrioti. Ricevuta una buona educazione classica, il giovane C. fu certamente influenzato dal rapporto affettuoso con lo zio materno e dalla sua fama nella scelta degli studi di medicina. Così egli si trasferì a Pisa per frequentare l'università e visse nella casa dello zio, dove con i cugini Andrea e Leopoldo strinse un'unione "consimile alla società di studiosi nelle persone di Saint-Pierre, Varignon e Fontenelle, i quali convivendo nella stessa casa in Parigi facevano amichevole e reciproco cambio d'idee e di sentimenti" (Paolini, p. 156). Il riferimento ai tre uomini di cultura francesi non è casuale e indica l'ammirazione con cui il C. guardava al pensiero d'Oltralpe e in particolare al razionalismo cartesiano. Terminati gli studi a Pisa, il C. incominciò a esercitare a Firenze la professione di medico, non trascurando però la ricerca scientifica.
Particolarmente attratto da alcuni grandi problemi di fisiologia, fu autore di interessanti studi sul funzionamento dei nervi e sulle caratteristiche dei succhi digestivi. Libero da ogni influsso dottrinario, quando ancora le "teorie" si disputavano la priorità nella medicina scientifica e pratica, seppe validamente impostare una serie di lavori sperimentali dei quali, al di là dei risultati, rimane apprezzabile lo sforzo costante dell'oggettività. Nell'opera Delle diverse teorie riguardanti le fisiche funzioni de' nervi,con nuove congetture ed osservazioni sopra le più accreditate ipotesi delle medesime (Firenze 1789), dopo aver illustrato le varie ipotesi allora sostenute per spiegare la trasmissione nervosa, egli si dichiarava favorevole alla cosiddetta dottrina del fluido spiritoso, secondo la quale nella sostanza midollare del cervello veniva operata la separazione dal sangue di un fluido sottilissimo in grado di passare nei nervi e di renderli capaci di produrre sensazioni e movimento muscolare. Il C. riferiva inoltre i risultati di esperimenti condotti su animali, che lo avevano indotto a ritenere che la produzione di tale fluido avesse luogo anche nei nervi: sezionando o legando un tronco nervoso, egli aveva osservato che la stimolazione al di sopra e al di sotto dell'interruzione causava rispettivamente dolore e contrazione muscolare. Prescindendo dal valore dell'interpretazione di queste esperienze, del resto strettamente condizionate dalle conoscenze anatomiche e fisiologiche dell'epoca, va tuttavia rilevato il rigore del metodo: osservazioni accurate, attente e ripetute che se non altro consentirono all'autore di esaminare e descrivere i processi morfologici della rigenerazione del tronco nervoso. Nelle ricerche sui succhi digestivi, il C. ripeté le esperienze condotte da L. Spallanzani, confermandone i risultati, ed estese le osservazioni sia alle caratteristiche proprie dei succhi stessi, sia al complesso fenomeno della digestione: poté così mettere in evidenza l'importante azione della masticazione e della saliva, l'aspetto della bile, l'azione del succo gastrico su vari substrati (Ragionamento sulla digestione,con alcune osservazioni sull'uso vantaggioso del sugo gastrico nelle malattie dello stomaco, Firenze 1792 e 1796; Osservazioni ed esperienze sul sugo gastrico, ibid. 1797). Questi studi, che rappresentavano un ulteriore progresso nella conoscenza dei meccanismi fisico-chimici della digestione e grazie ai quali il C. aveva potuto dimostrare l'utilità nella pratica medica della somministrazione di succo gastrico in soggetti sofferenti di certe forme di disturbi gastrici, furono lodati dallo stesso Spallanzani in alcune lettere dirette al medico fiorentino. Dalla serie di indagini sui succhi digestivi derivò inoltre un'altra importante applicazione pratica: avendo osservato che il succo gastrico può passare la barriera cutanea, il C. propose di impiegarlo in associazione all'oppio per frizioni, affinché tale medicamento applicato esternamente potesse agire in profondità (Lettere in risposta alle obbiezioni sul nuovo metodo di somministrare l'oppio esternamente per frizioni,coll'aggiunta delle riflessioni sullo stesso argomento del sig. Rossi, s.l. 1798). Il C. fu quindi un buon medico e uno scrupoloso sperimentatore; talvolta in pacata polemica con altri autorevoli studiosi (come, ad es., con L. Caldani, del quale contestava le argomentazioni anatomiche volte a negare validità alla sua teoria della trasmissione nervosa ad opera di un fluido spiritoso), godette comunque di una meritata popolarità. Di lui restano ancora due scritti medici: Relazione della malattia del sig. conte Maurizio Torino Imperiale,già maggiordomo di S. M. Sarda, s.l. né d.; Relazione ingenua di un vaiolo confluente, pubbl. a Firenze nel 1791.
Approvazione agli studi del C. arrivava dalla Francia e dall'università di Pavia, allora facente parte della Repubblica cisalpina, mentre a Firenze gli oppositori appartenevano al campo dei fedeli del granduca Ferdinando III. Gli avvenimenti politici del '99 chiusero la polemica, anche perché il C. stesso abbandonò la ricerca scientifica e la professione medica.
Come scienziato il C. si era ispirato al metodo cartesiano, largamente applicato dalla scienza del '700, rifondato con lo spirito classificatorio del Linneo, ma senza accogliere i tentativi di interpretazione globale di un Buffon. I suoi scritti rivelano una mentalità empirista nell'osservazione, matematica nella deduzione, con una tendenza alla secca esattezza, non ravvivata dalle suggestioni che il metodo newtoniano aveva offerto alla osservazione scientifica in generale.Entrati i Francesi in Firenze nel marzo del '99, il C. non ebbe nessun incarico pubblico nell'amministrazione, Reinhard (al contrario di quanto afferma il Coppi, p. 294), ma non nascose la sua adesione al nuovo governo, tanto che, dopo il 5 luglio e la cacciata dei Francesi, fu costretto ad allontanarsi dalla Toscana per salvarsi dalla repressione messa in atto dal Senato fiorentino, investito di autorità dal granduca Ferdinando III. Si recò in Francia, ma non si conoscono le vicende e i tempi del suo esilio. Probabilmente il C. rientrò in Firenze al seguito dei Francesi il 15 ott. 1800; infatti nel novembre fu proposto dal Miollis come uno degli aggiunti al quadrumvirato, lasciato dal Senato al governo, della Toscana la vigilia del 15 ottobre. Il C. da aggiunto divenne il 27 novembre uno dei componenti il triumvirato (il C., Pontelli e Deghores), che sostituiva i quadrumviri, rivelatisi apertamente filoaustriaci, e che rimase al governo dal 27 novembre al 27 marzo del 1801.
Lo Zobi, che resta un intelligente interprete del periodo, rileva e delinea con precisione il carattere "leopoldino" che i triumviri vollero imprimere all'azione del governo provvisorio. I contenuti della politica perseguita dai triumviri non sono, infatti, ispirati alla Francia rivoluzionaria e repubblicana. Appena nominati, essi scrissero una lettera di solidarietà e di riabilitazione all'ex vescovo di Pistoia, Scipione de' Ricci; istituirono un anniversario celebrativo dell'opera del granduca Pietro Leopoldo; ripristinarono le leggi leopoldine, ad eccezione delle norme economiche. Nel triumvirato il C. era responsabile dell'istruzione pubblica; in questo settore la sua attività fu notevole: riaprì l'università di Pisa, introducendovi l'uso della lingua italiana accanto alla latina e istituendovi le cattedre di economia politica e di scienze naturali; rifondò l'Accademia del Cimento; restaurò le scuole leopoldine; progettò nuove scuole e accademie. Carente fu invece l'azione in campo economico: si aspettava da parte di F. M. Gianni la formulazione di un piano economico di ristrutturazione generale, che fu però pronto quando il triumvirato aveva lasciato di nuovo il posto, consenziente il generale Murat, agli antichi quadrumviri, i quali come loro primo atto si affrettarono ad abrogare i provvedimenti presi dal triumvirato. La difficile situazione economico-finanziaria della Toscana fu la causa dichiarata delle dimissioni dei triumviri, il cui operato in materia rimase al centro di lunghe polemiche. Il C. ebbe l'incarico di redigere la difesa della loro azione e, quando già si era ritirato dalla vita pubblica, pubblicò il Prospetto delle principali operazioni di Finanze del governo provvisorio toscano...con un rendimento di conti e un'appendice sopra alcune operazioni politiche, Milano anno IX (1801).
Nel 1801 il C. ritornò ad abitare a Montaione, occupandosi dell'amministrazione delle sue terre. Divenne agronomo. Convintosi del beneficio della sistemazione "a traverso" delle colline, applicò e si impegnò a diffondere la lavorazione "a tagliapoggio", perfezionata dal Landeschi. Doveva combattere la diffidenza tradizionale dei contadini nelle sue terre e degli altri proprietari, che continuavano a preferire la coltivazione a "ritocchino"; si svolse così una duplice campagna di convincimento. Proprietario dinamico e interessato, si formò la concezione che il proprietario doveva essere il propulsore dell'intera conduzione di un'azienda agricola. Organizzò nelle sue terre un "governo democratico": assisteva e partecipava all'attività lavorativa, riuniva la domenica fattori e coloni per un bilancio dei lavori compiuti e per programmare nuove colture. L'istruzione e l'esperimento furono posti dal C. al centro della produzione. Ma le innovazioni di forma da lui introdotte rimanevano all'interno della struttura tipica della proprietà toscana, caratterizzata da terreni di non grande estensione, basata sulle fattorie e sulla mezzadria, dalla coltura promiscua. Grande ammiratore dell'Inghilterra agricola, conosciuta attraverso i trattati agronomici del '700, il C. non sospettava minimamente che l'organizzazione tecnico-produttiva della proprietà toscana impediva uno sviluppo consistente della produzione secondo il modello inglese e con tenacia egli sognava di riprodurre le verdi estensioni del Norfolk nei filari delle colline toscane. Anzi era convinto che tale peculiarità strutturale potesse permettere all'"industria agricola" di diventare "arte raffinata", in accordo con la migliore tradizione artigiana fiorentina.
Iscritto fin dal 1801 tome socio ordinario all'Accademia dei Georgofili, ne divenne nel 1819 socio onorario. All'Accademia discuteva le sue esperienze e rendeva conto delle nuove pratiche. Riunì poi in un volume di Riflessioni e osservazioni sull'agricoltura toscana e particolarmente sull'istituzione dei fattori,sul metodo del Landeschi e sull'ordinamento colonico (Pistoia 1819) i problemi che avevaaffrontato nella direzione delle colture edei lavori agricoli. Negli anni Venti l'abbassamento dei prezzi del grano e la difficoltà dei produttori toscani a tener testaal costo minore dei grani esteri furonoall'origine di un dibattito tenutosi all'Accademia sulla libertà del commercio. IlC. sostenne, in tre memorie, lette successivamente tra il 1824 e il 1827 (poipubblicate nella Raccolta degli economisti toscani,Scritti di pubblica economia degli Accademici georgofili, a cura di A. Morena, Arezzo 1899), la posizione protezionisticadi A. Paolini; senza condannare completamente il liberismo, riteneva opportuno, considerata la particolare situazione presente, mantenere il libero commercio all'interno e regolamentare il commercioestero. Il Paolini e il C. si trovaronoperò isolati e la legislazione vigente inmateria dei grani non fu ritoccata.
Il C. morì a Montaione il 20 giugno 1828.
Fonti e Bibl.: Per il periodo del triumvirato, cfr. in Archivio di Stato di Firenze, Segret. di Stato, a. 1800-1801. Sul C. cfr. L. Spallanzani, Epistol., a c. di B. Biagio, IV-V, Firenze 1962-64, ad Indices; Novelle letterarie di Firenze, n. s., XX (1789), coll. 609-612; XXII (1791), col. 609; XXIII (1792), coll. 225-230; D. Moreni, Bibliografia storico-ragionata della Toscana, I, Firenze 1805, p. 658; A. Coppi, Annali d'Italia, II, Roma 1824, pp. 293 s., 466; L. de' Ricci, Breve necrologio, in Giorn. agrario toscano, II (1828), pp. 427-431; A.Paolini, Elogio del dott. F. C., in Atti dell'Accademia dei Georgofili, VII (1830), pp. 152-162; A. Zobi, Storia civile della Toscana, III, Firenze 1851, pp. 428-483 passim; Raccolta..., cit., a cura di A. Morena, I, pp. LXX, LXXV; I. Imberciadori, Campagna toscana nel '700. DallaReggenza alla Restaurazione. 1737-1815, Firenze 1953, ad Indicem e in particolare pp. 272-277; Economia toscana nel primo '800..., Firenze 1961, p. 78; F. Diaz, Francesco Maria Gianni, Milano-Napoli 1966, pp. 395 ss.; E. Guarnieri-M. A. Manuelli, La cultura medica ed i suoi esponentinella Firenze del primo Ottocento, monografie di Episteme, n.s., 1968, pp. 17-21; Id.-Id., F. C. (1766-1828)ed i suoi contributi di fisiologia sperimentale. Osservazioni ed ipotesi sulle "fisiche funzioni dei nervi", in Episteme, II(1968), 1, pp. 26-35; E. Sereni, Storia del paesaggio agrarioital., Bari 1972, p. 321; C.Pazzagli, L'agricoltura toscana nella prima metà dell'Ottocento. Tecniche di produz. e rapporti mezzadrili, Firenze 1973, ad Indicem.