CICERI (Cicercius, Cicerinus), Francesco
Nacque a Lugano nel 1521 da Maffeo ed Elisabetta Carentani.
Maffeo era originario di Torno, in provincia di Como, e apparteneva a una famiglia di modesta condizione, ma di una certa agiatezza, come dimostra il fatto che suo nonno Maffeo (se in tal senso è da interpretare il documento pubblicato dal Motta, Bollettino, XII, p. 115)aveva esercitato in Torno la professione di notaio e maestro di scuola. In seguito alla distruzione di Torno a opera dei Francesi durante la guerra per il possesso del ducato di Milano (1515), Maffeo abbandonò il suo paese e si trasferì a Lugano. Divenne poi comandante del genio di Francesco II Sforza, partecipò alla battaglia di Monguzzo (1527) e morì probabilmente nell'anno 1531.
I più antichi biografi del C., il Picinelli (Ateneo, p. 207) e l'Argelati (Bibliotheca, col. 430), lo ritengono nativo di Milano, da famiglia di origine comasca. In realtà il C. ottenne la cittadinanza di Milano Per interessamento del Croce, del Ferrario e del Capra onde godere di un'esenzione fiscale per una tassa che colpiva i forestieri (lettera del C. a Paolo Manuzio: Bandini, Collectio, p. 127). Anche il TiraboSchi, che nella prima edizione della sua storia letteraria aveva ritenuto il C. nativo di Como, si corresse in una nota apposta all'edizione del 1809 (p. 259). L'anno di nascita si lascia ricostruire con certezza dal documento di morte che fissa gli anni della sua vita a settantacinque (pubblicato dal Motta, Bollettino, IX, p. 233). Non si può escludere tuttavia la data del 1527, proposta dal Casati (I, p. XV) sulla scorta di un'affermazione dello stesso C., che in una lettera datata 29 apr. 1555 (Epist., X, p. 14C.) diceva di aver perduto il padre da ventiquattro anni e che allora egli aveva da poco compiuto i quattro anni.
Il C. ebbe un fratello minore, Cesare, letterato e studioso di Plauto e Terenzio. Nel 1560 si sposò con Daria Pirogalli, avendone un figlio, Marco Maffeo, nato nel 1562. unico per testimonianza dello stesso padre (Casati, I, Praef., p. XXI). Compì i suoi primi studi letterari a Lugano, alla scuola di Giovarmi Menabene, esperto di lingue classiche e di medicina. Ascoltò molti altri maestri nella vicina Milano, fra cui Giuseppe Negri, giureconsulto e grecista, Cornelio Siculo di Messina, francescano, filosofo e teologo, il bolognese Ludovico Ferrari, matematico, Antonio Maria Conti (Maioragius), noto latinista milanese.
Per raccomandazione del naturalista P. Albucci il giovane C., terminato con profitto il proprio tirocinio, fu nominato precettore dei figli del conte Giambattista Visconti di Lonate Pozzolo, iniziando il suo incarico nel 1544, Non si limitava al solo insegnamento privato, ma spiegava Virgilio, Terenzio e Cicerone anche agli altri fanciulli del luogo. Nonostante la liberalità del Visconti, il C. però si, fermò a Lonate soltanto pochi mesi, perché, come scrisse al Menabene (Epist., I. p. 37 C.), non poteva udire qui nessuna lezione universitaria, né aveva occasione di comunicare o di misurarsi con alcuno nel campo delle lettere. Si trasferì dunque a Milano (autunno 1544), dove, grazie agli uffici di Francesco Ierargo e Antonio Lentini, fu ass unto in qualità di precettore nella casa dell'avvocato Pio, approfittando del tempo libero per frequentare le scuole pubbliche e incontrarsi con gli studiosi.
Scrivendo all'amico Antonio Lupioni (Epist., I, p. 61 C.), il C. dice che nei momenti liberi dal suo lavoro studia i paradigmi dei verbi greci, legge Cicerone, ascolta di buon mattino le lezioni di Otone Lupani che spiega le orazioni di Cicerone e l'Eneide, nonché Giuseppe Negri che tiene un corso di grammatica greca, senza trascurare la matematica sul testo di Euclide.
A Milano tuttavia si trattenne un anno, o poco più, per tornare a Lugano (fine 1545). Qui contrasse una grave malattia, dalla quale fu guarito grazie all'intervento del medico Andrea Camozzi (lettera del C. al Camozzi, Epist., I, p. 78 C.), in relazione con il C. fin dal 1544 (Gudius, Epist., p. 119). Apri subito dopo una scuola con la quale succedette all'antico maestro Menabene; per le esigenze del suo insegnamento (aveva venticinque alunni) il C. scrisse una prima volta (Epist., I, p. 74 C.) al tipografo di Basilea Giovanni Oporino, chiedendogli di ristampare una grammatica greca che, nell'edizione lionese di S. Gryphius, si era ormai esaurita. L'Oporino esaudì la richiesta apprestando trecento esemplari (1545), e da questo momento tra i due ebbe inizio, una fitta corrispondenza (nell'epistolario del C. leggiamo quarantaquattro lettere indirizzate all'Oporino, dal 1545 fin quasi alla morte di questo, nel 1568; possediamo anche alcune risposte dell'Oporino: Gudius, Epist., pp. 164-182, per un totale di venti lettere che vanno dal 12 nov. 1547 al 12 ag. 1554).
Oltre a proporgli ristampe o a sollecitare edizioni di opere classiche, il C. si era assunto anche, per così dire, la rappresentanza della casa dell'Oporino per Lugano prima e per Milano poi. Come apprendiamo dal carteggio fra i due, l'Oporino trattò con deferenza e liberalità, il suo collaboratore e lo ricompensò spesso con ricchi doni. Anche se il loro rapporto fu dovuto prevalentemente a motivi economici, non si può negare che lo scambio continuo di suggerimenti, di consigli circa l'edizione di testi anche non classici, segni l'inizio di un contatto pffi profondo tra l'umanesimo germanico e quello italiano, e su questo concordano più o meno tutti i biografi, antichi e recenti, del Ciceri.
Durante la sua permanenza a Lugano, inoltre, il C. fece amicizia con il "pretore" inviato dal governo della Confederazione elvetica ad amministrare la città, Hieronymus Frick, e la consuetudine con il colto uomo politico gli permise di conoscere le opere dei maggiori esponenti della cuitura europea e germanica, da Erasmo al Gessner al Grynaeus. Una sua elegia in onore del Frick, che inizia con una lode della Svizzera, "clara ferax hominum est doctorum, Helvetia, tellus Inclyta...", si può considerare "con un po' di buona volontà come un preannuncio lontano del... moderno elvetismo" (Zoppi, in Nuova Antologia, p. 412).
Intanto la fama del C. oltrepassava i confini del Luganese, grazie anche alle conoscenze altolocate che egli poteva vantare nel campo letterario. Rifiutò una prima offerta di insegnare a Como e preferì accettare la proposta dell'amico e maestro Conti, che teneva scuola a Milano. Lasciata l'ospitale Lugano, si trasferì a Milano ed entrò nella casa del Conti (luglio 1548) con uno stipendio annuo di cinquanta scudi d'oro. Qui egli rimase tre anni, collaborando con il Conti nell'insegnamento del latino e del greco. Alla fine del 1550 aprì a sua volta una specie di collegio dove ospitava gli allievi tenendovi lezione. Collaborava con lui il fratello minore Cesare, e da Lugano era venuta ad abitare con loro la madre Elisabetta, che morirà nel 1555. Il 9 ott. 1561 fu chiamato alla cattedra di eloquenza presso l'ateneo milanese, vacante per la morte di Orcone Lupani, e fu iscritto in ruolo con uno stipendio annuo di 200 scudi d'oro. Tale nomina gli fu facilitata da forti raccomandazioni. Annibale Croce, segretario del Senato di Milano, si adóperò inoltre per fargli ottenere la cittadinanza; Bartolomeo Capra si disse disposto a sovvenzionarlo privatamente. Nel 1571 ottenne il primo posto tra i maestri di latino e greco, nel 1581 con decreto del Senato il suo stipendio fu accresciuto di 125 lire imperiali.
Come risulta dall'epistolario, il C. fu in rapporto con uomini politici, con letterati e studiosi tra i più insigni del suo tempo: Girolamo Cardano, Carlo Sigonio, Andrea Alciato, Lilio e Cinzio Giraldi. Scrisse il 1° sett. 1578al grande Pier Vettori per manifestargli la sua anunirazione e informarlo della propria attività letteraria (Clarorum, pp. 126-129), ricevendone in cambio una cortese risposta (P. Victorius, p. 198). Paolo Manuzio, con il quale fu in corrispondenza, in una lettera del 19 sett. 1571al figlio Aldo, diede di lui un giudizio assai lusinghiero (cod. Ambr. E 33 inf., f. 213);ad Aldo il Giovane il C. scrisse più volte, ma sono rimarchevoli le due lettere che gli indirizzò nel 1577 (ibid., ff. 410-412, 418-419)offrendogli, perché la stampasse, l'orazione funebre da lui stesso tenuta a Milano per la morte di Paolo (inedita nel cod. Ambr. Trotti, n. 423).
Insegnò allo Studio per più di trent'anni, dato che per sua stessa affermazione (cod. Trivulz. 665, f. 560) nel 1593 era ancora "oratoriac artis professor".
Per avere un'idea del suo metodo d'insegnamento, dedicato al commento di testi latini e greci, specialmente quelli poetici, si può citare il corso tenuto nell'anno 1568-69: il cod. Ambr. N 161 sup. conserva le note del C. all'Ecuba diEuripide, iniziate il 5nov. 1568. Il C. analizza la tragedia suddividendola in otto parti (prologo, parodo, tre episodi, tre stasimi), fa seguire tre discussioni di carattere generale (tragedia, commedia, genere misto), premette al commento vero e proprio una biografia dell'autore. Le osservazioni non presentano una particolare originalità, avendo di mira anzitutto un fine didattico. Il commento ad ogni modo fu portato a termine nel. luglio del 1571, come ci informa una nota del codice, f. 219, Argomento del corso successivo, le Fenicie di Euripide.
Il C. era solito postillare i propri libri, spesso codici di notevole valore per la costituzione del testo. Possediamo di lui, ad esempio, un codice di Terenzio (Ambr. D 79sup., XV sec.) interamente annotato, mentre dalla sua biblioteca provengono i codd. Ambr. E 14 inf. e E. 15 inf., fondamentali per la tradizione delle Epistulae ciceroniane. Dedito al suo lavoro, pubblico e privato, il C., non lasciò nulla a stampa. Aveva preparato con cura, esaminando diversi monumenti, una appendice alle Antique inscriptiones dell'Altiati, che si conserva in numerosi manoscritti milanesi, gli Antiquorum monumentorum urbis Mediolani ab Alciato praetermissorum libri II, dedicati al senatore Galeazzo Brugora. L'opera, illustrata in alcuni codici con nitidi disegni (trentotto, come i monumenti visti dal C.), presenta qualche valore per la fedèltà: con cui sono state riprodotte le iscriziom; ma come già notava lo Zaccaria (Excursus, p. 101), "le osservazioni del C. sono prolisse, e inefficaci".
Il C. ebbe anche intenzione di scrivere una storia del lago di Lugano, come testimonia in una lettera al medico luganese Girolamo Camozzi, fratello di Andrea, del 27 agosto del 1559; egli avrebbe cominciato dalla riva sinistra per giungere fino all'insenatura dove sorgeva Lugano (Epist., X., 33, II, p. 80 C.), e a tale scopo aveva radunato molti documenti, reperti archeologici, resoconti diretti, personali esperienze. Ma il suo proposito non fu mai realizzato. La lettera assume tuttavia una particolare importanza per gli Svizzeri moderni: in essa "riluce per la prima volta il concetto di una connessione tra un noto umanista luganese e l'antica confederazione"(Salzmann, Luganersee, p. 73).
Come sappiamo da un documento pubblicato dal Motta (Bollettino, IX, p. 233), dopo aver sofferto per molti mesi di asma, idropisia e ulcerazioni, il C. morì in Milano il 31marzo 1596. Fu sepolto nella basilica di S. Eustorgio. Il figlio Marco Maffeo continuò la tradizione patema ed è ricordato come letterato di qualche valore (Argelati, Bibliotheca, coll. 431-432).
Il C., come si è visto, non pubblicò nessuna opera. Possedeva però una vasta biblioteca, che comprendeva circa ottanta codici e un numero imprecisato di incunaboli e di libri a stampa. Dopo la sua morte, attraverso varie vicende, i codici passarono per lo più alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Oltre alle varie copie del De antiquis monumentis (Ambr. A 240 inf., Ambr. C 65 inf., Trotti 329), si può ricordare il codice di Terenzio (Ambr. D 79 sup.), di Marziale (L 50 sup. del 1481), il Compendium rhetoricale di Bartolino Vavassori da lui annotato (Ambr. Q 26 sup.), il commento all'Oreste diEuripide (Ambr. N 161 sup.). L'Argelati menziona anche (Bibliotheca, coll. 430-31), per averli probabilmente visti nell'archivio Belgioioso, un commento al Philippus di Isocrate, i Collectanea inscriptionum antiquarum et sepulcralium Mediolani, Modoëtiae et Novocomi (ricordati dallo stesso C. nella lettera a G. Camozzi, p. 79 C.), le Satyrae di argomento letterario dedicate a Giovanni Gobellini.
Fonti e Bibl.: La fonte principale per la conoscenza della vita del C. è data dal suo epist.: F. Ciceri, Epistularum libri XII et orationes IV, I-II, Mediolani 1782, che P. Casati pubblicò da codici dell'Ambrosiana (I, Praef., p. VIII). Altre lettere ancora inedite, in parte utilizzate dal Casati, sono contenute nel cod. Trivulz. 665 (H 142), proveniente dall'Arch. Belgioioso. Lettere del C. e dei suoi corrispondenti si trovano a stampa in altre raccolte: P. Manutius, Epistularum libri X, Venetiis 1571, p. 54; P. Victorius, Epistoiarum libri X, Florentiae 1586, p. 198; S. Folianus. Epistolarum libri V, Venctiis 1587, pp. 94-95, 193-194; M. Gudii et aliorum Virorum ad eum epistulae, Hagae Comitum 1714, pp. 118-121, 164-182; A. M. Bandini, Collectio veterum monumentorum, Arretii 1752, pp. 123-128; Clarororum Italorum et Germanorum epist. ad Petrum Victorium, II, Florentiae 1758, pp. 126-129, In generale: P. Casati, Cicereii vita, in Epistularum libri, pp. XIII-XXV; P. Morigi, La nobiltà di Milano, Milano 1619, p. 254; F. Picinelli, Ateneo dei letter. milanesi, Milano 1670, pp. 207-208; Ph. Argelati, Bibliotheca script. Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, coll. 429-431; G. R Giovio, Gli uomini della comasca diocesi, Modena 1784, pp. 59-60; G. A. Oldelli, Diz. stor. ragionato degli uomini illustri del Canton Ticino, Lugano 1807, pp. 9, 66-71; G. Tiraboschi, Storia della, lett. ital., VII, 1, Firenze 1809, pp. 258-259; C. Trezzini, in Dict. histor. et biographique de la Suisse, II, Neuchâtel 1924, p. 522, s.v.; G. Zoppi, in Scrittori della Svizzera ital, I, Bellinzona 1936, pp. 9-22; L. Simona, ibid., II, p. 1274; G. Zoppi, Scrittori della Svizzera ital., in Nuova Antol., agosto 1949, pp. 412 s. Per quanto riguarda la distruzione di Torno, vedi E. Puteanus (H. Dupuy), Historia Cisalpina, Lugduni Batav. 1704, p. 16; E. Motta, in Boll. stor. della Svizzera ital., XII(1890), p. 115, riporta la notizia riguardante "Mafiolo de Ciceris notarius ac scholarum pracceptor in loco de Turno" (vedi anche G. B. Giovio, Gli uomini d. comasca diocesi, cit., p. 60), ma logicamente non può trattarsi del padre del C., essendo il documento ducale del 17 dic. 1463. Circa i rapporti del C. con l'Oporino, cfr. di recente L. Perini, Note e docum. su Piero Perno, libraio e tipografo a Basilea, in Nuova Riv. stor., L (1966), pp. 152-155. Per il carteggio fra il C. e Paolo e Aldo Manuzio, vedi E. Pastorello, L'epistol. manuziano, Firenze 1957, pp. 45, 110, 111, 113, 114, 117, 131, 231. Il giudizio dello Zaccaria sul De antiquis monumentis del C. in F. A. Zacharia, Excursus litterarii per Italiam, I, Venetiis 1754, pp. 100-105; inoltre Raccolta di opuscoli scient. e filol., a cura di A. Calogerà, XL, Venezia 1748, pp. 439-454; XLI, 1749, pp. 137-139; XLIV, 1750, p. 495. Precise indicazioni sui cod. posseduti dal C. in R. Sabbadini, Storia e criticadei testi latini, Catania 1914, pp. 96, 437; Id., Lescoperte dei codici latini e greci nei secc. XIV e XV, II, Firenze 1967, p. 17 e n. 20; Id., Classicie umanisti da codici Ambrosiani, Firenze 1933, pp. 71, 95; G. Mercati, Codicilatini Pico Grimani Pio, Città del Vaticano 1938, p. 271; M. E. Cosenza, Dict. of the Ital. Humanists, II, Boston 1962, pp. 1004-1005. Rassegna esauriente delle opere autografate ms. e delle annotazioni in P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, pp. 280, 297, 301, 304, 308, 323, 335, 349, 352, 390 (biblioteche Ambrosiana, Trivulziana, Braidense, ed Estense di Modena); II, p. 529 (Ambrosiana). Vedi inoltre Bibliogr. lombaida, in Arch. stor. lomb., VI (1879), pp. 162, 375 (cod. Braidense del De ant. monum.). La lettera dei C. a G. Camozzi è analizzata, commentata e tradotta da C. Salzmann, Der Luganersee. Betrachtung zu einem Brief des Humanisten F. Cicereio aus Mailand an den Luganeser Arzt G. Cantuzio aus dem Jahr 1559, in Cenerus, X (1953), pp. 69-76. E. Motta, in Bollett. della Svizzera ital., XXIV(1902), pp. 113-114, ha pubblicato una serie di proverbi volgari tratti dal cod. Trivulz. n. 756, ff. 162-163, che il C. aveva trascritto da un esemplare di Pietro Torriani. L'atto di morte è stato pubblicato da E. Motta, in Bollett. della Svizzera ital., IX(1887), p. 233. L'epigrafe mortuaria in V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano, II, Milano 1889, pp. V-VI. Riguardo al figlio Marco Maffeo cfr. Argelati, Bibl. script. Mediol., cit., I, 2, pp. 431 s.