FRANCESCO Cieco da Ferrara
Nacque verso il 1460 da padre ignoto. L'opera di F. non fornisce indicazioni sul luogo di nascita, l'anno o i rapporti di famiglia, e nella mancanza di documenti d'archivio relativi a questo periodo si può solo congetturare in base ai dati forniti nella lettera premessa alla prima edizione del Mambriano (G. Mazzocchio, Ferrara 1509), in cui si afferma che il poeta morì a un'età non molto avanzata, presumibilmente prima di superare i 50 anni.
Non è certo che fosse proprio di Ferrara. La designazione da Ferrara appare per la prima volta sul frontespizio della prima edizione del Mambriano e viene poi ripetuta in tutte le edizioni cinquecentesche. Nei documenti contemporanei degli archivi di Ferrara e di Mantova figura semplicemente come Francesco Cieco. Non è quindi da ritenere - come in passato si suggerì - che aggiungesse la designazione "da Ferrara" dopo un possibile, ma non attestato, trasferimento a Mantova. Gli studi sulla lingua delle opere rilevano una veste settentrionale, ma non abbastanza precisa da definire F. indubbiamente ferrarese di nascita. Non si riscontrano neppure menzioni di F. negli scritti di letterati ferraresi o mantovani a lui coevi. Doveva essere ben conosciuto, però, e dopo la morte venne ricordato regolarmente in compagnia di M.M. Boiardo, L. Pulci e L. Ariosto come uno degli esponenti principali del poema cavalleresco (cfr. T. Folengo, Orlandino [Venezia 1526], I, 15, 19, 21; C. Brucurelli [Cassio da Narni], La morte del Danese [Ferrara 1521], II, 4, 139). L'ipotesi che fosse di Firenze è senza fondamento documentario o linguistico (cfr. Stussi, Scavuzzo).
Dei due cognomi attribuiti a F. è da scartare quello di Bello. L'ipotesi che F. appartenesse alla famiglia Conosciuti appare più fondata, anche se risulta di difficile prova; essa risale agli anni della morte del poeta. Nell'epistola dedicatoria premessa alla prima edizione del Mambriano (1509), Eliseo Conosciuti parla infatti di "mio parente Francesco Cieco" e asserisce di esserne l'erede. Si sa di una famiglia Conosciuti stabilita a Ferrara nel Cinquecento (Ferrara, Bibl. comunale Ariostea, Ferraresi, cl. I, 221: Carte Conosciuti), imparentata forse ai conti di Correggio. Un rapporto con i Correggio permetterebbe di ambientare F. nel cuore della società cortegiana e letteraria di Ferrara e Mantova alla fine del Quattrocento, ma contro questa ipotesi si deve riconoscere che l'attendibilità delle notizie fornite dalle Carte Conosciuti è dubbia e che le notizie biografiche di archivio e quelle desumibili dall'opera di F. non suffragano alcun rapporto con una famiglia benestante. Il Bertoni si limita a osservare che Eliseo Conosciuti era "stretto parente di Pietro Giacomo Conosciuti famigliare di Ippolito I", senza aggiungere alcuna prova.
Dei primi anni, dell'educazione e del carattere del poeta le notizie sono scarse. F. non nacque cieco, come spiega nel Mambriano, ma perse la vista in seguito a un infortunio (c. XXVII 46): per questo temeva costantemente di cadere o di perdere la sua strada (cc. I 6, XVIII 92-93, XXV 3). Gli altri riferimenti autobiografici si riferiscono alla situazione politica, e soprattutto alle sofferenze provocate dalle guerre francesi, ma non c'è menzione né della patria e della famiglia, né della professione di Francesco. Le ipotesi che egli fosse laureato in legge e che esercitasse questa professione, che fosse teologo e filosofo sono pura leggenda senza fondamento documentario. Che fosse anche poeta in latino è meno improbabile, ma resta pure senza conferma.
La prima notizia storica certa relativa a F. data al 1489. In quell'anno si trovò a Ferrara al seguito di Francesco II Gonzaga, marchese di Mantova: il 4 giugno è ricordato il pagamento a "Francesco orbo familiari ill.mi domini marchionis Mantue" di "florenum unum auri et in auro" (Everson, The identity, pp. 489 s.). F. quindi accompagnò il suo signore in una visita alla futura sposa Isabella d'Este, e, considerato l'interesse dimostrato poi dalla marchesa, suscitò un'impressione favorevole. Come entrasse al servizio del Gonzaga non è noto, ma sembra che i primi contatti fra F. e i Gonzaga siano da collocare a Bozzolo, alla corte di Gianfrancesco e della colta Antonia Del Balzo. Segue poi un silenzio di due anni, ma nell'autunno del 1491 F. si trovava certamente alla corte di Mantova, se il 23 ottobre la Del Balzo, scrivendo a Isabella, si riferiva a una missiva di costei in cui era esplicitamente richiesto di trattenere ancora F. a Mantova (ibid., p. 490).
Nel 1492 F. tornò a Bozzolo, come risulta da lettere di Gianfrancesco a Isabella (ibid.), da cui si può desumere che ne venivano apprezzate le doti poetiche. Rispondendo alle insistenze di Isabella, il 26 novembre Gianfrancesco finalmente acconsentiva che F. tornasse a Mantova, a patto che F. venisse rimandato non appena possibile, "perché qua ho pocho altro piacer se non de audirlo". Ignoriamo quanto F. sia rimasto legato alla corte di Bozzolo e se mai si trasferì definitivamente a Mantova. Ma la morte di Gianfrancesco nel 1496 può averlo indotto a stabilirsi presso la corte principale a Mantova.
L'opera più importante di F., il Mambriano, poema cavalleresco in 45 canti, fu probabilmente iniziata durante il soggiorno alla corte di Bozzolo. Non esistono documenti che permettano di fissarne con certezza il terminus post quem, ma la frase della seconda lettera di Gianfrancesco, del 26 nov. 1492, "il suo canto che ogni dì megliora", viene comunemente interpretata come riferimento al poema cavalleresco già iniziato e può spiegare l'interesse di Isabella per il poeta. Il Mambriano manca di tema dinastico propriamente detto, e le allusioni al mecenate sono ambigue: le più numerose sembrano indirizzarsi a un Gonzaga, ma a quale membro della famiglia F. si riferisca non è chiaro, poiché si fa riferimento solo al cognome o allo stemma araldico del Sole (cc. I, 2 e XII 1).
Il tema principale dell'opera trae origine dal desiderio di vendetta da parte di Mambriano contro Rinaldo, accusato di avere ucciso a tradimento lo zio Mambrino. Il poema si collega perciò al filone dei poemi cavallereschi incentrati sul personaggio di Rinaldo e sul tema di una vendetta pagana contro di lui, anche se il personaggio di Mambriano sembra essere invenzione di Francesco.
Il filone narrativo accentrato su Mambriano e Rinaldo è sviluppato in modo vivace, intrecciando alle scene di battaglie in Francia e in Asia intermezzi, storie di amore e momenti comici. Un secondo tema, basato su Orlando e Astolfo, si intreccia al primo, presentando una serie di avventure, tragiche e comiche, accadute in Spagna e in Africa. L'ultima parte del poema (cc. XXXVI ss.) costituisce una specie di appendice che narra la "quête" di Orlando, le imprese di Ivonetto, figlio di Rinaldo, e di Rinaldo stesso.
Nello svolgere il suo materiale F. si dimostra consapevole del principio della variatio, nella scelta di materia e nei cambiamenti frequenti di tono, cosicché il Mambriano si rivela molto superiore ai rozzi racconti di interminabili battaglie tipici del genere. La struttura è coerente; F. porta a termine tutti i filoni narrativi, né si dimentica dei drammi di personaggi singoli; sotto questo aspetto il poema può essere validamente paragonato alle opere di Pulci e Boiardo. F. mostra nei confronti della guerra una forte ed evidente vena umoristica, ad esempio, nel descrivere gli inganni di Malagigi. Notevoli anche i personaggi di Astolfo, Bradamante e Sinodoro e la creazione dell'isola di Carandina, se si pensa che la figura della maga servì da fonte per l'Alcina ariostesca e per l'Armida tassiana. La più nota innovazione poetica, tale da costituire un contributo originale e influente sull'Ariosto, è l'uso di canti molto sviluppati in rapporto alla tradizione precedente, e la presenza di motivi desunti dalla poesia lirica.
Il Mambriano entrò presto nel canone dei maggiori poemi cavallereschi, come è attestato dalle citazioni fatte da L.G. Giraldi (De poetis nostrorum temporum, Firenze 1551, pp. 41 s.) e da F. Patrizi (Della poetica, Ferrara 1586, f. *4r). Intrecciate ai due filoni narrativi si trovano sette novelle, dal tono più burlesco: narrate per divertire personaggi e lettori, diventarono presto la parte meglio conosciuta del poema e vennero pubblicate a parte dal Cinquecento fino al primo Novecento.
Il periodo di composizione del Mambriano è da situarsi sullo sfondo dell'invasione di Luigi XII. Il poeta è inorridito dagli avvenimenti e la sua paura personale risulta ingigantita dalla difficile posizione politica di Mantova, presa fra Venezia, il Moro e i Francesi.
La data del trasferimento di F. da Mantova a Ferrara non è ricordata in alcun documento. I commenti alle guerre francesi contenuti nel poema fanno pensare che F. sia rimasto a Mantova fino al completamento della prima stesura del poema, nel 1502, poiché la sua avversione verso i Francesi, interrotta una sola volta al primo arrivo di Luigi XII e poi subito ripresa, si rivela confacente più alla politica ambivalente di Mantova che non a quella filofrancese di Ferrara.
In un periodo indeterminato, ma compreso in questi anni, F. compose certamente uno e forse due breve testi drammatici: L'egloga di Malprattico, sicuramente di sua mano (cfr. Stussi), e il Contrasto di Tonin e Bighignol, attribuitogli in un codice estense dell'epoca (Modena, Bibl. Estense, Est. Ital., 836/a.H.6.1).
L'Egloga, dramma in terza rima per quattro personaggi, rozzo ma comico e imperniato sul personaggio di Malprattico, è simile per il tono alle novelle del Mambriano. Il senso teatrale è vivido, il ritmo rapido e ben articolato. Il Contrasto, farsa in terza rima, in due parti, tratta della disputa dei due protagonisti risolta con l'arrivo della donna di uno dei contendenti. Servì forse da fonte per il Folengo. L'attribuzione a F. della Sala di Malagigi, poemetto in ottava rima (tentata dal Melzi, Diz. delle opere anonime e pseudonime) non è suffragata da manoscritti o da stampe.
F. morì a Ferrara in data incerta fra la fine del 1505 e i primi mesi del 1506. Per gli anni intercorsi fra il completamento del poema e la morte non esistono notizie. Secondo la dedicatoria della prima edizione del Mambriano passò gli ultimi anni della vita al servizio di Ippolito d'Este.
La sua morte è annunciata in una lettera del 23 febbr. 1506 (Everson, The identity, p. 489) da B. Machiavelli a Isabella d'Este a Mantova. La lettera spedita da Ferrara non spiega però né come né quando morì; parla solo dell'erede di F. e del progetto di traduzione di un'opera di Stazio, che F. aveva in corso di realizzazione. Di questa traduzione non sopravvive traccia, ma il Rua ipotizzò che si trattasse della Tebaide, in base ai numerosi echi di questo poema nel Mambriano. Si deve però concludere che al momento della morte F. risiedeva a Ferrara, sebbene fosse sempre oggetto d'interesse per Isabella.
Edizioni: Non è conservato il manoscritto del Mambriano. Esistono 13 edizioni a stampa cinquecentesche datate fra il 1509 e il 1554 (Everson, 1987-1988), senza contare le edizioni di singole novelle. Molto rare sono le edizioni moderne. L'unica completa è quella curata da G. Rua, Il Mambriano di F. Bello, il Cieco da Ferrara, I-III, Torino 1926, con testo non del tutto attendibile. Per le novelle si conoscono edizioni di tutte e sette: Novelle del Mambriano del Cieco da Ferrara, esposte ed illustrate, a cura di G. Rua, Torino 1888; Francesco Bello. Le novelle del Mambriano, a cura di N. Schileo, Lanciano 1917; e della prima: Perché si dice E fatto il becco all'oca, Firenze 1863; Genova 1885. L'egloga di Malprattico, conosciuta in stampe cinquecentesche, è stata curata da A. Stussi, Una "commedia" di F. C. da Ferrara, in Annali della Scuola normale super. di Pisa, s. 3, IX (1979), 2, pp. 603-639. Per il Contrasto di Tonin e Bighignol esiste una versione curata da B. Cotronei, in Giorn. stor. della letter. ital., XXXV (1900), pp. 281-324.
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