COCCAPIELLER, Francesco
Nacque a Roma il 3 ott. 1831 da Giuseppe, di origine svizzera, e Luigia Apolloni. Suo padre, che lavorava allo spaccio normale dei sali e tabacchi, lo mandò a studiare dapprima presso le scuole dei maestri Garrettoni e Gasparri alle Muratte, poi presso i gesuiti al Collegio Romano e, in seguito, all'Apollinare. Ma il C. non amava troppo gli studi e all'età di sedici anni si arruolò nel corpo dei dragoni pontifici. Nel 1848, con il grado di maresciallo di alloggio, partecipò alla prima guerra di indipendenza; un anno dopo difendeva la Repubblica romana prima a porta S. Pancrazio contro i Francesi, poi a Velletri e a Palestrina contro l'esercito borbonico. Con il ristabilimento del governo pontificio trovò scampo in Piemonte, dove ottenne un posto di istruttore presso la scuola di cavalleria di Pinerolo. Nel '60, partito alla volta della Sicilia a seguito di una delle spedizioni successive a quella dei Mille, combatté a fianco del gen. G. Carini. Tornato a riprendere le sue mansioni di istruttore a Pinerolo, passò quindi, sempre con la medesima qualifica, presso la scuola di Vercelli. Nel '66 militò con Garibaldi rimanendo ferito in uno scontro presso il lago di Garda e, infine, l'anno seguente fu tra i volontari garibaldini a Mentana, dove, però, gli fu affidato un incarico relativamente modesto: sorvegliante dei cavalli dello Stato Maggiore.
Nel 1870, subito dopo la breccia, fu tra i primi esuli a rientrare a Roma e lo troviamo ben presto ad animare il comitato elettorale del rione Monti. Qui ingaggiò una dura lotta con Napoleone Parboni per ottenerne la presidenza. Il C. cercò in ogni modo di screditare il suo avversario con accuse gravi e infamanti, ma alla fine il Parboni prevalse ed egli fu costretto ad allontanarsi da Roma.
Per quasi dodici anni fu estraneo alle vicende italiane e le notizie attorno a questo periodo della sua vita sono assai frammentarie. Si sa per certo che visse alcuni anni in Inghilterra, in seguito riparò in Francia dove esercitò vari mestieri. Alcune testimonianze attestano che egli, per un certo periodo, si occupò della realizzazione di uno speciale freno automatico per carrozze da lui ideato.
Nel giugno 1882 lo troviamo di nuovo a Roma richiamato dal suo vecchio compagno d'armi Ricciotti Garibaldi.
A quell'epoca la Sinistra democratica romana era caratterizzata da profondi contrasti non solo tra i diversi gruppi ma anche tra le stesse personalità più in vista. Aspra lotta era quella che Ricciotti Garibaldi aveva ingaggiato con alcuni circoli radicali e repubblicani che gli avevano negato l'appoggio alle elezioni dell'ottobre successivo.
Sperando che il linguaggio rozzo ma pittoresco del C. potesse contribuire a combattere i suoi oppositori non si era fatto scrupolo di richiamarlo. Il C. dopo una breve collaborazione con un giornale dell'area democratica, L'Eco dell'operaio, dove riuscì a crearsi una certa notorietà, fondò, egli stesso d'accordo col Garibaldi, un quotidiano, Ezio II o Il Carro di Checco. Il giornale, che iniziò le pubblicazioni nei primi del luglio 1882, ottenne subito un vasto consenso: si richiamava ad un vago senso di moralità e giustizia e si proponeva come fine la denuncia "dei nemici e dei traditori della Patria".
Il C., più che una battaglia politica, annunciava una sorta di crociata contro la corruzione e il malcostume. La sua ideologia però era alquanto astratta e fumosa. Richiamandosi ad una generica redenzione delle plebi, affermava che questa doveva avvenire con ordine, moderazione, attraverso buone ed efficaci leggi. Soprattutto auspicava, sotto "la eroica bandiera dei Savoia", la formazione di un popolo unito, compatto, al di sopra dei partiti e delle consorterie. Ma per ottenere tutto questo bisognava in primo luogo sgominare il campo, "togliere la maschera" a tutti "i falsari, gli impostori, i calunniatori, le spie false" che, a suo avviso, "infangavano il nome di Roma e dell'Italia intera". Sotto il suo linguaggio talora rozzo e sgrammaticato caddero così parecchie vittime illustri, soprattutto di parte cattolica e repubblicana, tra le quali Napoleone Parboni, il non dimenticato rivale di tanti anni prima, Alberto Mario, Felice Cavallotti e Adriano Lemmi. A tutti non risparmiava pesanti accuse di tradimento, frode, falsità, accuse che in verità mai provava.
Si riversarono allora sul C. querele e minacce e il 10 ag. 1882 fu anche vittima di un'imboscata a causa della quale un noto popolano di Borgo, Angelo Tognetti, parente di quel Tognetti giustiziato dalle autorità pontificie nel '68, dovette scontare cinque anni di reclusione. I suoi articoli tuttavia riscuotevano ampi consensi in particolare tra gli strati bassi e intermedi della popolazione cittadina. La sua popolarità crebbe in maniera tale che il 29 ott. 1882 fu eletto a grande maggioranza deputato nel I collegio di Roma in una lista che comprendeva tra gli altri Ricciotti Garibaldi e Luigi Pianciani e nonostante in quel periodo si trovasse in prigione per un suo presunto eccesso di difesa in occasione dell'imboscata di cui era stato vittima nell'agosto precedente.
Va detto, per cercare di comprendere le ragioni del "fenomeno Coccapieller", che la Roma di quegli anni era essenzialmente una città di delusi e scontenti. Il sogno della "Terza Roma" tramontava di fronte alle miserie e all'affarismo quotidiano. I romani vedevano crescere, con l'incipiente speculazione edilizia e finanziaria, fortune a dismisura e il distacco tra ricca borghesia e popolo minuto veniva facendosi ogni giorno più marcato. In questo clima di incertezza e frustrazione, parole cariche di animosità e violenza e che si richiamavano ad un sia pur generico e vago senso di onestà e giustizia non potevano non suscitare consensi. Agivano inoltre a favore del C. altri non trascurabili fattori. Da un lato infatti nelle sue campagne ingiuriose e diffamatorie egli trovava il tacito assenso dei circoli clericali per i quali ogni pretesto era adatto per vedere screditato e beffeggiato il nuovo regime; dall'altro lo stesso presidente del Consiglio Depretis non si faceva scrupolo di servirsi di lui in funzione antirepubblicana e antiradicale, preoccupato dei sempre maggiori favori che queste due forze andavano riscuotendo nella capitale.
La prima esperienza parlamentare del C. non durò a lungo. Il 9 giugno 1883, infatti, per contestare l'elezione di Fabrizio Colonna al posto di Ricciotti Garibaldi, da lui sostenuto, in seguito ad una contrastatissima seduta parlamentare, diede le dimissioni che subito vennero accettate. Riprese allora con rinnovato vigore la sua lotta sulle pagine dell'Ezio II contro "i vili e i falsari tutti" sempre utilizzando notizie calunniose e diffamatorie. Piovvero allora su di lui nuovamente querele su querele a causa delle quali dovette scontare oltre tre anni di reclusione. Li stava espiando quando nell'agosto 1886 (legislatura XVI) fu eletto di nuovo tra i deputati del I collegio di Roma, in sostituzione di Benedetto Cairoli che aveva optato per Pavia. Ben diecimila persone chiesero allora la grazia per il C., a dimostrazione di una popolarità ancora intatta.
Questa volta la vita parlamentare del C. fu meno burrascosa. Dal principio del 1884non stampava più l'Ezio II e i suoi toni, in genere, cominciavano a farsi più miti e smorzati. Parlava anche con maggior precisione e cognizione, interessandosi principalmente delle sorti di Roma e della sua popolazione. Si occupò dell'annosa questione del risanamento dell'Agro romano, delle cooperative di lavoro, della vita industriale e commerciale della capitale e soprattutto delle tragiche condizioni di vita in cui erano venuti a trovarsi migliaia di lavoratori in seguito alla crisi edilizia di Roma (fine 1887). Alle elezioni del '90 non venne però rieletto e la sua presenza sulla scena politica si fece sempre più rara anche a causa di una dolorosa malattia articolare che spesso lo costringeva a letto.
Nel 1893, nel corso dell'inchiesta sulla Banca romana, gli fu contestato un debito di duemila lire, ma il C. riuscì a provare di avere, tempo addietro, restituito la somma. Trascorse gli ultimi anni della sua vita infermo, riuscendo a vivere solo grazie ad un sussidio concessogli dalla Real Casa.
Il 7 apr. 1901 il C. moriva a Roma.
Di lui ricordiamo: Aglielettori componenti il Comitato elettorale del rione Monti, Mantova 1870; Risposta ai falsi fabbricatori del Carro di Checco ossia i birri di Napoleone III e speculatori repubblicani, Roma 1882, oltre, naturalmente, i suoi articoli sull'Eco degli operai e sull'Ezio II.
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