CONDULMER, Francesco
Nacque a Venezia, da Simone, attorno al 1390, qualora si assuma la tradizione che, "iuvenis" ancora, lo ritrae, a Verona, alla scuola dello zio Gabriele Condulmer, dopo il 1396.
La sua è una famiglia di mercanti, che la guerra di Chioggia ha inserito nella nobiltà veneziana (pur provenendo il C. dal ramo "popolare") e che mantiene legami economici con la società veronese. Importante è anche l'insieme di beni, e di investimenti, che la famiglia è venuta realizzando: al palazzo dei Tolentini, la "domus magna" situata a S. Simeone profeta, nella direzione di S. Giovanni Evangelista (Civico Museo Correr, Mss. P. D., cc.9r-10r), si aggiungono i ventimila ducati d'oro che Gabriele, intorno al 1383, aveva di patrimonio. Queste ricchezze, che emergono già alla fine del '300, con i loro intrecci patrimoniali, costituiscono il quadro entro cui si muove la vita e la carriera ecclesiastica del C. e dello zio Gabriele.
La vita del C. si snoda interamente sotto la guida dello zio. Dietro suo consiglio, probabilmente fra il 1400 e il 1401, lascia Verona per essere affidato ai canonici del convento di S. Giovanni di Padova, dove studia giurisprudenza e, soprattutto, la storia. È quest'ultima a prevalere, nella sua formazione; non la storia delle genealogie nobiliari, ma quella delle città e delle corti, o dei grandi costruttori di imperi. La storia e il diritto si affiancano quindi nella formazione culturale del C. alla rigida preparazione religiosa, mentre il successivo soggiorno romano, alla corte papale, permette di completare la sua formazione.
Con l'elezione, il 3 marzo 1431, di Gabriele Condulmer a papa, con il nome di Eugenio IV, l'ascesa del C. si fa prorompente: il 19 sett. 1431, infatti, viene nominato cardinale del titolo di S. Clemente (nel '45 passa a quello di Porto) e camerlengo.
La nomina del C. a cardinale determina l'emergere in Curia di ecclesiastici veneti che ora giungono a ricoprire un ruolo significativo: nel 1433 il C. si serve del notaio trevigiano Zandonà di Corona, cancelliere di Curia, governatore del cenobio del monastero benedettino di Rosazzo, vicino a Cividale, di cui il C. era cardinale commendatario, legato a Ludovico Barbo; nell'agosto 1435 risulta da più di tre anni (Pesce, 1969, I, p. 93) al seguito del C. Giovanni d'Armano, pure legato al Barbo, di vasta cultura giuridica, che nel 1449 il C. eleggerà abbreviatore apostolico; inoltre il C. favorisce l'ascesa di Cristoforo Garatone, anch'egli di Treviso, facendolo nominare, il 27 febbr. 1437, alla sede vescovile di Corone, per poterlo utilizzare in missioni diplomatiche in Oriente. Sono gli ecclesiastici di Treviso, legati al Barbo, e dotati di cultura giuridica e di esperienza diplomatica, a emergere in Curia fra il 1431 e il 1437 (si ricorda, ad es., la nomina a tesoriere pontificio, nel 1431, di Daniele Scoti), e attraverso di loro verrà avanzato un rinnovamento delle istituzioni religiose. Contemporaneamente il C. cerca per mezzo dei benefici ecclesiastici di fare del Papato, e della sua "famiglia", un punto di riferimento per gli intellettuali della penisola.
Questa nuova. politica, che trovava un perno essenziale in Eugenio IV, volta al recupero, attorno alla ricchezza della corte romana, di intellettuali, di esperti in diritto, di scrittori di storia, attraverso l'uso spregiudicato dei benefici, fu interrotta il 29 maggio 1434 dalla rivolta del popolo romano, favorita e sostenuta dai Colonna e da alcuni settori del concilio di Basilea, contro il papa. Mentre Eugenio IV, avvertito in tempo, fugge a Civitavecchia, da dove una galera fiorentina lo conduce con gran parte della Curia, il 23 giugno, in Toscana, il C. è fatto prigioniero e la sua abitazione, messa a sacco. Le sollecitazioni per porre termine ad una prigionia lunga e difficile si muovono in ambito fiorentino e veneziano: Francesco Barbaro, podestà di Verona, legato a Piero da Monte, scrive nel dicembre a Battista Bevilacqua, nobile veronese che militava nell'esercito del Fortebraccio, e a Lorenzo de' Medici. Lo stesso Piero da Monte, eletto protonotario apostolico, quando il 24 giugno 1434 giunge a Basilea ed è informato della prigionia del C., viene da ampi settori del concilio inviato a Roma a chiedere la liberazione: ma, durante il viaggio, è fatto prigioniero dalle truppe del Fortebraccio. Così le corrispondenze, che si infittiscono, tendono ad accentuare il carattere dei legami del C.: gli intellettuali, gli uomini delle corti, i letterati. E quando nei primi mesi del 1435 viene liberato, le linee di una politica generale non mutano.
La collaborazione con Eugenio IV diviene più stringente: l'11 apr. 1435 il C. è chiamato a studiare i problemi dei rapporti fra Napoli e la Curia romana, insieme con Zaccaria Bembo; il 16 agosto rappresenta il papa nel compromesso con il duca di Milano, e nelle trattative per la pace, i cui capitoli sono stesi a Firenze; fino alla sanzione dell'8 giugno 1436, quando viene nominato amministratore di Amiens. Il 22 aprile del 1436, fece la sua entrata a Bologna al seguito papale. Nello stesso tempo, è utilizzato in missioni non solo politiche, ma volte ad accentuare gli indirizzi pastorali degli Ordini religiosi e delle funzioni vescovili, come, ad es., nel 1437 quando, legato pontificio a Venezia, riceve da Eugenio IV un breve con cui è invitato ad operare perché il patriarcato di Aquileia ritorni interamente nella tradizione cristiana. I gesti, le forme del comportamento, il decoro del seguito, e innanzi tutto l'immagine di "pastor", divengono sempre più elementi ricorrenti, dopo il 1437, sia delle direttive papali che dell'azione del C.: ancora il 26 sett. 1438, per mezzo di una bolla, Eugenio IV ordina che venga controllata l'attività delle "pizzocchere" del terzo Ordine francescano diVenezia, e che venga tolto l'abito a quelle "che fossero in ribellion", tramite il C. (Civico Museo Correr, Cod. Cic., 3233-3234). Le nomine che si aggiungono lumeggiano vieppiù questo orientamento pastorale del C., pur nell'ambito di una sensibilità di corte.
Arcivescovo di Besançon nel 1437, nello stesso anno è impegnato nella convocazione del concilio a Ferrara, ove interviene a favore dell'unione delle Chiese greca e latina, fino alla elezione, il 20 ott. 1438, a vescovo di Verona. Una nomina che non mancava di mettere a nudo l'intreccio, irrisolto, fra le esigenze organizzative della corte papale, e gli orientamenti pastorali che Eugenio IV insisteva nel perseguire. Non è casuale, infatti, che il C. per tutta la durata del vescovado non risieda a Verona, bensì in Curia, ove nel 1439 è nominato vicecancelliere; e orienti la sua attività pastorale secondo le direttive del pontefice Eugenio IV. Gli stessi ambienti politici di Verona non ne accolgono favorevolmente la designazione. Tuttavia, pur mantenendo inalterato il legame ideale vescovo-Curia, con il persistere della residenza a Roma, il C. tenta di attuare quella riforma del clero che Eugenio IV da lungo tempo perseguiva; e la diocesi veronese ne diviene il principale momento di attuazione.
Uno degli elementi centrali della riforma diviene l'istituzione di una "mensa" per educare i giovani chierici. All'inizio a questo progetto, accanto al C., cooperano il canonico Gemberto Nichesola e Agostino de Fontana, che da vicario (1426) diverrà nel 1444 suffraganeo del Condulmer. Fino a quando, il 15 luglio 1440, dietro consiglio del C. stesso Eugenio IV emanò da Firenze, una bolla In eminenti, con la quale riduceva i chiericati da 769 a 190, stabiliva il numero dei cappellani ed accoliti, e la somma di 350 ducati per i maestri di grammatica e i musici: il ricavato dei chiericati soppressi, a sua volta, doveva andare a beneficio degli accoliti. La riforma colpiva un ampio settore del clero possessore di benefici, nel momento in cui introduceva una importante innovazione nella struttura ecclesiastica, e dava priorità alla formazione del clero mediante una prevalente cultura musicale ed umanistica. In tal modo, le scuole "accolitali" di Verona divengono, accanto al Collegio Eugeniano di Firenze, fondato il 23 marzo 1436, uno dei momenti salienti di quella riforma istituzionale del clero che il Papato va perseguendo, e di cui il C. diviene un essenziale strumento di attuazione. Proteste ed opposizioni non modificano la linea abbozzata, anche quando si avvalgono del potere politico come strumento di manifestazione. Alcune lettere della fine del 1441 inviate dal C. al Consiglio comunale veronese - il quale si era fatto portavoce delle diffuse critiche al provvedimento pontificio - mettono in luce gli elementi più significativi del problema: la cultura del clero affiancata da un legame rinnovato, su fondamenti evangelici, non solo fra il pontefice ed i vescovi, ma anche fra questi e le comunità a cui venivano preposti. Era un'importante anticipazione della problematica "pastorale" che verso la fine del '400 verrà ripresa in una prospettiva generale di rinnovamento della Chiesa. Il C. di questi progetti diviene un elaboratore importante. Nel febbraio 1440 era a Venezia per incontrare, a S. Giorgio Maggiore, Ludovico Barbo, e fare pressioni sul doge a favore del nuovo patriarca di Aquileia, Ludovico Scarampi Mezzarota; ma il viaggio non nascondeva i tentativi per facilitare la riforma del clero, a Verona, che la bolla del 5 sett. 1442 renderà definitivamente operante.
L'identificazione crescente del C. con il papato di Eugenio IV prosegue ininterrotta. Dopo che nel 1440 aveva compiuto un viaggio a Costantinopoli per difendere l'unità delle Chiese, il C. partecipa ai tentativi di crociata che la corte papale andava perseguendo unitamente alla cultura che incentivava. L'idea di una crociata contro i Turchi prende, infatti, piede fra il 1442 e il 1443, ed impegna, accanto al papa, Venezia e Filippo di Borgogna. Il C. diviene, di questo progetto, l'organizzatore principale.
Il 3 ag. 1443 il Senato veneziano gli concede di imporre le decime, mentre la preparazione della flotta procede dal maggio 1443 al maggio 1444. Per il Papato pareva giunto il momento di cacciare i Turchi dall'Europa: lo stesso Ladislao, re di Polonia e d'Ungheria, promette al C. il suo intervento per la liberazione della Grecia e della Romania. Il pericolo turco viene rappresentato nel solco di una tradizione che ne raffigura l'ostilità "barbara" alla religione e civiltà europea. Lo stesso C. il 16 sett. 1446 era chiamato "vicecancellarius in Turchie partibus adversus Teuchros et alios Christi inimicos apostolice sedis Legatus" (Pesce, 1969, II, pp. 117 s.).
La crociata doveva assumere tutti i connotati di una guerra in difesa di un modello di civiltà, quale alcuni settori della cultura umanistica andavano tratteggiando; per questo, il C., seppure il comandante della flotta fosse Alvise Loredano, ne veniva posto a capo, come "una caratterizzazione simbolica dell'identificazione fra civiltà e Papato. L'esito, tuttavia, per le divisioni e le incomprensioni, risulta ben presto negativo, con la sconfitta della Varna, del novembre, e l'impossibilità di realizzare un significativo successo militare. Di conseguenza il C., dopo aver lasciato a Costantinopoli, quale rappresentante della S. Sede, il Lapacci, il 10 genn. 1446 rientra a Venezia, ed a Roma il 15 febbraio.
D'altra parte, gli stessi anni che vedono il fallimento del progetto del C. e di Eugenio IV di una egemonia mediterranea della corte romana, vedono anche il tentativo di farne il perno di una preponderanza culturale.
E la storia, accanto all'archeologia, sulla scia di quanto stava avvenendo fra i gruppi mercantili di Firenze e di Venezia, ne sono gli strumenti indispensabili. Leonardo Aretino, l'Alberti, Flavio Biondo, il Piccolomini, il Ghiberti, l'Angelico, l'Aurispa, il Trapezunzio, costituiscono di tale programma gli ideatori intellettuali. Il mondo romano, con i suoi palazzi, le terme, il Colosseo, viene studiato e riscoperto pure come un organico organismo urbanistico. Le corrispondenze, fitte ed insistenti, evidenziano l'ampiezza di un tentativo significativo nella storia delle corti della penisola. Le lettere, dal 1437 al 1453, con Francesco Barbaro rivelano alcune direzioni principali. Si tratta di lettere importanti, anche come testimonianza dello sviluppo di una nuova cultura, che si intreccia con l'umanesimo, quale il mondo ecclesiastico vive ed arricchisce. In esse si configura una dimensione dell'ecclesiastico del tutto in sintonia con quella che il C., ed Eugenio IV, tentano di realizzare, capace di unire alla dignitas la conoscenza della cultura umanistica, e la caratteristica di pastor, appropriato nel gesto e nel vestire. Esse attestano, inoltre, la profondità del processo di ecclesiasticizzazione delle forme culturali già iniziato nel'300.
Posteriormente al 1445, frantumatosi il sogno della crociata, l'attività del C. si circoscrive a Roma, negli incarichi di Curia. Se Eugenio IV prende cura dell'"ospitale" di S. Spirito in Sassia, e ne incrementa la confraternita, entrandovi il 10 ag. 1446, ed obbligandosi a versare ogni anno una somma uniforme, il C. segue fedelmente il suo esempio. Incentiva, pure, l'aiuto ai poveri e alle giovani povere che desiderano sposarsi. Il suo ascendente nella Curia romana si fa sempre più incisivo. Per mantenere la continuità della politica di Eugenio IV, alla morte di questo (23 febbr. 1447) contribuisce all'elezione di Niccolò V, e nel marzo 1449 insieme con il card. Scarampi è inviato a Napoli per cercare un compromesso politico. I legami con la politica veneziana risultano sempre costanti, anche se il 27 luglio era stato impedito dal Comune di Verona di collocare il suo stemma cardinalizio nelle nuove colonne della cattedrale, in quanto minima era stata la quota da lui versata. Nel 1449, ad esempio, aiuta Venezia a catturare Cristoforo Cocco, in precedenza intimo dell'amico Francesco Barbaro, che intendeva vendere al re di Aragona le sue conoscenze sugli affari riservati della Repubblica.
Muore il 30 ott. 1453, a Roma, nella casa che si era fatta costruire sulle rovine del teatro di Pompeo, ed è sepolto in Vaticano. Aveva avviato alla carriera ecclesiastica, per mantenere la continuità nella politica curiale del gruppo famigliare a cui apparteneva, Lorenzo Zane, educato sotto la guida di Lorenzo Valla, facendolo eleggere arcivescovo di Spalato.
Fonti e Bibl.: Un'integrazione documentaria agli ampi spogli già effettuati, è costituita dal Civico Museo Correr di Venezia, Mss. P. D., c. 2581/I, cc. 9r-10r; Ibid., Cod. Cicogna 1777, Memorie venete, pp. 45-50; Ibid., Cod. Cicogna 3233-3234. c. n.n.; Ibid., Cod. Cicogna 3416, n. 2; Ibid., Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Preziosi frutti del Maggior Cons. della Serenissima Rep. di Venezia..., I, Venezia 1619, c. 155r. Poco esplorate le Francisci Barbari et aliorum ad ipsum Epistolae…, Brixiae 1743 (indirizzate al C.), n. 18(Epistola XX), pp. 23 s. (Ep. XXVI), pp. 26 s. (Ep. XXIX), pp. 27 s.; (Ep. XXX), pp. 33 s. (Ep. XXXI V), pp. 38 s. (Ep. XXXV), pp. 50 s. (Ep. XXXVI), pp. 70 s. (Ep. LXXII), pp. 90 s. (Ep. XCIV), pp. 120 s. (Ep. XCVI).A queste, collocate nell'Appendice, sono da aggiungere le lettere senza numerazione: pp. 212 s., 216 s., 231-234, 328 s. Un'altra, del 1434, indirizzata al C. da Ermolao Barbaro il Vecchio si trova in: E. Barbaro il Vecchio, Orationes contra poetas epistolae, a cura di G. Ronconi, Firenze 1972, pp. 147-151. Inoltre, nella Biblioteca nazionale Marciana di Venezia, Misc. 1265.4, c. n. n.: Incipit Somnium Enee Silvii poete laureati De Fortuna (giugno 1444); Platina (B. Sacchi), Delle vite de' pontefici nelle quali si descrivono le vite di tutti loro, Venezia 1565, cc. 352v, 356r, 361v, 368rv. Da segnalare le biografie di P. Litta, Le famiglie celebri italiane, sub voce Condulmer, tav. I; P. Paschini, C. F., in Enc. catt., IV, Roma 1950, p. 217; G. B. Picotti, Eugenio IV papa, in Enc. ital., XIV, Roma 1951, pp. 562 ss.; E. van Cauwenberg, C. F., in Dict. d'hist. et de géogr. eccl., XIII, Paris 1956, col. 438; T. De Morembert, C. F., in Dict. de biographie française, IV, Paris 1961, p. 462. Altri elementi biografici in Venezia, Biblioteca nazionale Marciana, Mss. Ital., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto…, I, c. 282v; Platynae historici Liber de vita Christi, in Rerum Ital. Script., 2 edizione, III, 1, a cura di G. Gaida, pp. 314, 321; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna parte terza, ibid., XXXIII, 1, a c. di A. Sorbelli, pp. 38, 47, 170; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Rari veneti, n. 427: Europa Pii Pontifici Maximi nostrorum temporum varias continens historias, Venetiis 1501, cc. LXVr-LXVv, LXXI-LXXII; M. A. Sabellico (M. A. Coccio), Le historie vinitiane, Venetiis 1554, I, cc. 147v, 153v; IX, 2, c. 130r; I. Ph. Tomasini, Gymnasium Patavinum, Utini 1654, p. 380; F. Ugelli-N. Coleti, Italia sacra, V, Venetiis 1720, pp. 924-940; G. Degli Agostini, Notizie istorico-critiche intorno la vita, e le opere degli scrittori viniziani, I, Venezia 1752, pp. 123, 177 s., 352 ss.; II, ibid. 1754, p. 100; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, V, Venezia 1942, pp. 270, 273; VI, ibid. 1853, p. 886; I libri commem. della Repubblica di Venezia. Regesti, Venezia 1896, a cura di R. Predelli, IV, lib. XII, pp. 85, 191; lib. XIII, pp. 208, 286 s. Riferimenti al C. in: P. Vignola, Sull'epoca in cui furono costruite le colonne della cattedr. di Verona, in Arch. veneto, XXXVII (1884), pp. 35-41; P. M. Perret, Hist. des relat. de la France avec Venise..., I, Paris 1896, pp. 151 s.; A. Spagnolo, Le scuole accolitali in Verona, Verona 1904, pp. 10 s., 12-15, 18, 207 ss.; G. B. Picotti, La Dieta di Montova e la politica de' Veneziani, in Miscell. di storia veneta, s. 3, IV (1912), pp. 28 ss., 120, 248; A. Mercati, Un documento del 1423 sull'università romana, in Arch. della R. Soc. romana di storia patria, XLIV (1921), pp. 7986; G. B. Pighi, Cenni stor. sulla Chiesa di Verona, in Boll. eccles. della diocesi di Verona, VIII (1921), p. 70; L. von Pastor, Storia dei papi, I, Roma 1925, ad Indicem; R. Cessi, Storia della Repubblica di Venezia, I, Milano-Messina 1944, p. 379; F. Cognasso, Il ducato visconteo..., in Storia di Milano, VI, Milano 1955, p. 303; F. Babinger, Maometto il Conquistatore e il suo tempo. Torino 1957, pp. 59, 68; P. Sambin, Ricerche di storia monastica medievale, Padova 1959, pp. 66 s.; L. Martines, The Social World of the Florentine Humanists, 1390-1460, Princeton, N. J., 1963, p. 143; P. Brugnoli, Un aspetto delle controversie fra clero e città nella Verona del secolo decimoquinto, in Aevum, III-IV(1965), pp. 357-369; G. Penco, Storia del monachesimo in Italia nell'epoca moderna, Roma 1968, p. 69; L. Pesce, Ludovico Barba vescovo di Treviso, I, Padova 1969, pp. 7, 83, 93, 123, 177, 227, 438; II, pp. 92 s., 117 s.; P. G. Molmenti, La st. di Venezia nella vita privata…, I, Trieste 1973, pp. 207, 416; L. Pesce, C. Garatone trevigiano nunzio di Eugenio IV, in Riv. di st. della Chiesa in Italia, I (1974), pp. 23-53; K. M. Setton, The Papacy and the Levant (1204-1571), II, Philadelphia 1978, pp. 61, 84-87, 140;G. Sancassani, Aspetti giuridici nella vita ecclesiastica della città, in Chiese e monasteri a Verona, Verona 1980, pp. 224, 233; P. Brugnoli, Architettura sacra a Verona dal sec. XV al sec. XVIII, ibid., pp. 387 s.