CONTI, Francesco
Nacque a Firenze il 20 gennaio del 1681 da Carlo e Umiltà Ciabilli, probabilmente parente del pittore Giovanni C. Ciabilli; insieme con il Ciabilli il C. fu allievo di Simone Pignoni, nella cui bottega stette (secondo il Marrini, 1766) dagli otto ai diciotto anni. Protetto poi dai marchesi Riccardi, che gli passarono uno stipendio mensile "finché visse", completò la sua formazione a Roma sotto Giovanni Maria Morandi e Carlo Maratta, lavorando contemporaneamente come ritrattista e per la famiglia Albani, compreso il papa Clemente XI. Tornò a Firenze, secondo il Gabburri (1739), nel 1700 e non sono menzionati altri suoi viaggi: ma si tenga presente che questa è una biografia-tipo comune a molti artisti dell'epoca, dei quali viene ricordato un viaggio a Roma se appartenenti a una scuola più tradizionale, o un viaggio nell'Italia settentrionale (Parma e Venezia) se più innovatori. Nel 1736 venne nominato dal granduca Gian Gastone de' Medici maestro del disegno dei figli degli artefici di galleria: scuola aperta gratuitamente anche a giovani poveri e preparatoria all'Accademia del disegno, di cui il C. era già membro. L'incarico gli fu confermato dal nuovo granduca (1737) Francesco Stefano di Lorena. Dopo aver lasciato "centodicci tavole da altare" in tutta la Toscana, oltre a "molti e molti quadri per diversi Personaggi, e specialmente per la Serenissima Elettrice, e per la casa Riccardi" il C. morì a Firenze l'8 dic. 1760.
Purtroppo le due fonti settecentesche non citano nessuna delle opere pubbliche del C., pur ammirandone la quantità, che era di più di sessanta nel 1739 (Gabburri), e appunto centodicci secondo il Marrini (1766): così che fino ad oggi la sua conoscenza si basava sulle quattro pale d'altare ancora visibili nelle chiese fiorentine di S. Iacopo Soprarno, S. Lorenzo (due) e S. Maria a Montedomini, oltre che sull'Autoritratto degli Uffizi. Ma lo spoglio della letteratura locale toscana e l'intenso lavoro di schedatura della Soprintendenza ai beni artistici e storici di Firenze permettono di ampliare alquanto il catalogo dei C. e di segnarvi qualche punto fermo cronologico.
Le opere più antiche - scomparsa una Pietà di proprietà privata esposta a Firenze nel 1706 (Borroni Salvadori, 1974) - sono la Trinità in S. Iacopo Sopramo (fat. Brogi 19.918) e la Crocifissione proveniente da questa stessa chiesa, ma spostata nel 1868 in quella di S. Lorenzo (fot. Soprintendenza 170.968), di cui esiste una versione minore agli Uffizi (inv. 1890 n. 9474; fot. 229.828): tutte probabilmente fatte entro il 1709, quando la chiesa fu riaperta al culto rinnovata, e mernorì degli studi romani dell'artista più che dell'ambiente fiorentino. Vi si può accostare la non documentata Pietà in S. Maria Maggiore (fot. Soprintendenza 319.268). Nel 1714 il C. avrebbe eseguito in una notte la pala per la cappella delle reliquie in S. Lorenzo (I ss. Lorenzo, Ambrogioe Zanobi, fot. Soprintendenza 171.016) su ordine dei Riccardi, a cui probabilmente poco prima aveva decorato il casino di Gualfonda con tre tele da soffitto (i pagamenti per gli stucchi che le incorniciano sono del 1709) raffiguranti le allegorie della Fede, della Pace e della Fama (fot. Soprintendenza 26.562, 26.564, 26.566), tutte e tre sullo stesso schema della figura trionfante contrapposta a una figura riversa, collegate da putti, con panneggi gonfianti.
Nel 1715 il C. firma e data la nuova pala d'altare di S. Alessandro a Giogoli (Madonna in gloria coi ss. Alessandro papa e Giovanni Battista, fot. Soprintendenza 304.168), una fra le tante disseminate in Toscana e che in minima parte recuperiamo quando sono citate, spesso in modo impreciso, dalle guide locali o se riconosciute durante la schedatura: come il S. Francesco di Sales in S. Ignazio ad Arezzo, la Consegna delle chiavi a s. Metro inS. Pietro a Careggi (Firenze), dipinti a Cortona (S. Arma con s. Giuseppe e s. Gioacchino, del 1745 secondo Della Cella, in S. Agostino, e forse un S. Pio V in S. Domenico), a Prato (S. Caterina in gloria, dal 1953 nel Museo civico, fot. Soprintendenza 97.002), a Lastra a Signa (Transito di s. Giuseppe in S. Martino a Gangalandi, fot. Soprintendenza 302.130), a Montelupo (Crocifisso coi tre dolenti, in SS. Quirico e Lucia all'Ambrogiana), a Siena (S. Caterina in atto di abbeverarsi al costato del Signore nellachiesa di S. Abondio, databile al 1728, quando fu rinnovata la chiesa, ed esposta a Firenze dall'artista nel 1729: Borroni Salvadori, 1974).
Ma di contro a queste opere, emerse nonostante il silenzio delle fonti antiche, altre, documentate magari fino a non molto tempo fa, come l'ovato con S. Giuseppe e il Bambino Gesù nella badia fiorentina, la S. Anna già nella chiesina dello Scalzo, una lunetta con I'Immacolata Concezione, angoli e santi in S. Trinita, la tenda d'organo di S. Maria degli Angioli, e a Pistoia un'Incoronazionedella Vergine in S. Domenico (dove il C. avrebbe anche restaurato la tavola "ghirlandaiesca" - in realtà di Ridolfo del Ghirlandaio - coi SS. Sebastiano, Girolamo e ungesuato), non sono oggi rintracciabili.
È stato invece possibile ritrovare due capisaldi del periodo maturo dei C.: il S. Antonino risuscita una fanciulla, già nella cappella Da Filicaia in S. Pier Maggiore - evidentemente ritirata dalla famiglia patrona prima della distruzione della chiesa deliberata nel 1783 - e donata nel 1930 da un discendente al convento di S. Domenico di Fiesole (fot. Soprintendenza 241.392); e la pala d'altare, oggi nei depositi delle Gallerie, della SS. Concezione dei Barelloni (allora Gesù Buon Pastore delle Stabilite) in via della Scala, raffigurante, su concetto del noto erudito Anton Maria Salvini, la Trinitàa cui la Carità raccomanda la Verginità, coi ss. Filippo e Giacomo (fot. 249.662). Queste tele si aggiungono alle due che, riavuto splendore in restauri fatti intorno al 1970 (l'Adorazione dei Magi proveniente dall'altro oratorio della Concezione in via della Scala e oggi in S. Maria a Montedomini e la Madonna col Bambino e i ss. Silvestro, Paolo e Caterina d'Alessandria [1737] in S. Andrea a Montecarlo presso Lucca), reimpongono il C. all'attenzione degli studi.
Dalle due dozzine di opere recuperate, la maggior parte prive di appigli cronologici, emerge almeno che il pittore è da considerare il massimo esponente della pittura sacra in Toscana nel secondo quarto del Settecento (e oltre), dopo la scomparsa (nel 1726) dei capiscuola Gabbiani e Gherardini. Ha evitato le strade già battute da Sagrestani, Ferretti e Bonechi (affreschi vertiginosi, ma anche scenette di genere), senza emigrare come Sebastiano Galeotti o Giuseppe Grisoni; poco più anziano di Agostino Veracini e Vincenzo Meucci, li vince per la luminosità del tocco, che trasfigura il sottofondo solidamente fiorentino e gli atteggiamenti non particolarmente originali nelle sue composizioni. Dovette conoscere a fondo, ma forse anche anticipare, la pittura veneziana, come dimostrano i colori affocati, alla Sebastiano Ricci; ma è sua la scintillante levità delle superfici, e una tendenza ad allmare le figure che lo portcrà, dai volumi rigonfi e ampi delle opere giovanili, ad inoltrarsi nella seconda metà dei secolo con sorprendente sobrietà e leggerezza; mentre restano una sua costante le testine dalle barbe vaporose delle sue figure di vecchi e le lucide chiome bionde delle sante.
Sono a Pisa le ultime tele del C. che conosciamo: il Transito di s. Giuseppe già in S. Eufrasia (oggi nei depositi della Soprintendenza), documentato come sua ultima opera, incompiuta (1760) e portata a termine da Ignazio Hugford, ma tipicamente contiana nelle figure sfinate e lievi; e una delle due storie della beata Maria Mancini in S. Domenico (l'altra è di Anna Bacherini Piattoli), probabilmente La giovane Tora nella prigione domestica conversa col vescovo di Jaen, quadro spoglio e semplicissimo, m linea col classicismo avanzante. Il C. dunque, pur nel relativo grigiore e torpore della Firenze della reggenza, seppe accompagnare - e prevedere - con stile e personalità l'evolversi dell'arte settecentesca italiana.
Oltre ai dipinti elencati finora, vanno ricordati due autoritratti: quello degli Uffizi (inv. 1890 n. 1886; fot. 112.534), anteriore al 1725 perché in quest'anno è citato nella collezione Puccini a cui appartenne in origine, e uno più tardo, in ovato, che nel 1930 era in collezione Rothschild a Londra e forse è lo stesso passato a una asta di Christie's nel 1939. Esistono inoltre in collezione privata fiorentina due telette (cm 73 x 58,5 ciascuna) con Giuditta e Salomè, leggiadro esempio di ciò che poté essere la produzione non pubblica, in piccolo formato, del pittore, di cui qualche titolo emerge dai cataloghi delle mostre tenute a Firenze nel Settecento per la festa di S. Luca: oltre alle opere già menzionate, nel 1737 flirono esposti un'Adorazione dei Magi e un Ritratto del granduca dei Riccardi, nonché un Autoritratto a pastello e un Ritratto di proprietà Gabburri; nel 1767 un Cristomorto e una Santa Conversazione del marchese Pucci (Borroni Salvadori, 1974).
Occorre infine pronunciarsi sull'attribuzione al C. di altre due opere. Nel passaggio tra sagrestia e chiesa di S. Marco esistono due bassorilievi in bronzo (Compito di Cristo e Pie donne al sepolcro) chenon sono unica testimonianza di un'attività scultorea del pittore, come hanno equivocato Marangoni (1912) e i Paatz (1940-55), ma opera di un omonimo più antico (1640), poco noto e mediocre come ben chiarisce il Baldinucci (Notiziedei professori del disegno..., a cura di F. Ranalli, V, Firenze 1847, p. 69).
Due quadri veramente del C., invece, erano nella chiesa di S. Margherita dei Cerchi e raffiguravano la Decollazione della santa e Giuditta che uccide Oloferne (Richa, 1754-62); mancavano già alla metà dell'Ottocento (Fantozzi, 1842) e sono poi stati identificati (Paatz) a torto con due soggetti simili e in simile posizione (pareti laterali dell'altar maggiore), ma di Stefano Amigoli, nella vicina e omonima chiesa di S. Margherita in S. Maria de' Ricci.
Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl. nazionale, ms. E. B. 9. 5: F. M. N. Gabburri, Vite dei pittori, [1719-41], II, p. 1007;G. Richa, Notizie istor. delle chiese fiorentine, Firenze 1754-62, I, pp. 142, 199; II, p. 139; III, pp. 112, 137-38; V, p. 31; VII, p. 207; VIII, p. 169; X, p. 341; O. Marrini, Serie di ritratti di eccell. pittori dipinti di propria mano..., II, 1, Firenze 1766, n. XIII; B. P. Bonsi, IlTrionfo delle Bell'Arti..., Firenze 1767, p. 38; I. Ansaldi, Descrizione delle sculture, pitture et architetture della città, e sobborghi di Pescia..., Bologna 1772, p. 46 (ed. 1816, p. 48); P. O. Baldasseroni, Istoria della città di Pescia e della Valdinievole, Pescia 1784, p. 373; Descrizione della città di Pisa per servire di guida al viaggiatore, Pisa 1792, p. 162; V. Follini-M. Rastrelli, Firenze antica e modernaillustrata, V, Firenze 1794, p. 93;VIII, ibid. 1802, p. 220;L. Lanzi, Storia pitt. della Italia..., I, Bassano 1809, p. 281; A. Da Morrona, Pisa illustrata nelle arti del disegno, III, Livorno 1812, p. 224;D. Moreni, Continuaz. delle mem. istor. dell'Ambrosiana Imperial Basilica di S. Lorenzo, I, Firenze 1816, pp. 132-133; A. Da Morrona, Pisaantica e moderna, Pisa 1821, p. 126; F. Tolomei, Guida di Pistoia, Piatoia 1821, p. 115; L. Biadi, Notizie sulle antiche fabbriche di Firenze non terminato, Firenze 1824, p. 77;E. Romagnoli, Cenni storico-artistici di Siena e suoi suburbi, Siena 1840, p. 51; F. Fantozzi, Nuova guida.. di Firenze, Firenze 1842, pp. 173, 304, 569, 741; G. B. Uccelli, Ragionam. storico della Badia fiorentina, Firenze 1858, p. 75; G. Carloni, Poche ore a Cortona, Cortona 1887, p. 93; A. Della Colla, Cortona antica, Cortona 1900, pp. 169, 175; G. Stiavelli, L'arte in Valdinievole, Firenze 1905, p. 92;M. Marangoni, La pittura fiorentina nel "Settecento", in Rivista d'arte, VIII(1912), pp. 79 s., 97; A. Bellini Pietri, Guida di Pisa, Pisa1913, p. 103; N. Zucchelli, La beata Chiara Gambacorti. La chiesa ed il convento di S. Domenico in Pisa, Pisa1914, p. 229; W. ed E. Paatz, Die Kirchen von Florenz, I-V, Frankfurt 1940-1955, ad Indicem; G. Marchini, Prato. Guida artistica, Firenze 1956, p. 68; Id., La Galleria comunale di Prato, Firenze 1958, p. 61; P. Dal Poggetto, S. lacopo Soprarno, Firenze 1970, pp. non n., ill.; Id., in Firenze restaura (catal.), Firenze 1972, p. 85, figg. 115 s.; G. Datini, Musei di Prato, Bologna 1972, p. 51; F. Borroni Salvadori, Le esposiz. d'arte a Firenze dal 1674 al 1767, in Mitteilungen des Kunsthistor. Institutes in Florenz, XVIII (1974), p. 77; M. Mosco, Itinerario di Firenze barocca, Firenze 1974, pp. 45, 47, 61;S. Meloni Trkulja, La coll. Pazzi..., in Paragone, XIX (1978), 343, p. 100; G. Leoneini, Antefatti dellacoll. Pazzi, ibid., 345, p. 105; Gli Uffizi, Catalogo generale, Firenze 1979, pp. 226, 845; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, VII, p. 335; Diz. encicl. Bolaffi dei pittori e degli incisori ital., III, Torino 1972, p. 424, fig. 389.