COPPOLA, Francesco
Nacque a Napoli il 27 sett. 1878 da Filippo e da Matilde Pisacane. Laureatosi in giurisprudenza, iniziò l'attività di giornalista nel 1904 come redattore del Giornale d'Italia (1904-1908) e poi della Tribuna (1908-1914). Nel 1910 con Enrico Corradini e Luigi Federzoni fondò l'Associaz. nazionalista italiana (A.N.I.) e nel 1911 fu tra i fondatori dell'Ideanazionale settimanale, del cui comitato direttivo fu membro con E. Corradini, M. Maraviglia, L. Federzoni e R. Forges Davanzati.
Nelle polemiche del periodo di decantazione ideologica dei movimento nazionalista il C. si segnalò per una professione di antisemitismo del novembre 1911, che prese spunto da una lettera di Ch. Maurras (vedi L'Idea nazionale, 16 nov. 1911), suscitando accese discussioni. Ad essa si sarebbe richiamato S. Sighele in una successiva polemica con L'Idea nazionale (aprile 1912) nella quale esplodeva il dissidio tra nazionalisti "democratici" e gruppo direttivo del giornale, in seguito alla quale Sighele usciva dall'A.N.I. Alla chiarificazione antidemocratica ed antisocialista il C. contribuì con due importanti articoli: Nazionalismo e democrazia (in L'Idea nazionale, 28 dic. 1911) e Per intenderci sulla democrazia (ibid., 4 genn. 1912) sostenendo l'equazione tra democrazia e socialismo e criticando nella democrazia la forma mentis individualista, antiliberale ed anticlericale, internazionalista ed irreligiosa, umanitaria e pacifista, soprattutto disorganizzante e per conseguenza antinazionale. Nei confronti del clericalismo e dell'elettorato clericale prese posizione in un articolo dal titolo Tra i pensatori dell'Asino e i dottori dell'Osservatore (ibid., 9 genn. 1913) in termini che intendono chiaramente subordinare il profondo dissidio con l'essenza evangelica ad intenti elettorali ed alla propria ideologia: faceva infatti appello ad un cattolicesimo inteso come forza d'ordine, di aggregazione nazionale, con funzione antisovversiva. Di fatto la prima pattuglia nazionalista entrava in Parlamento a seguito delle elezioni del 1913 dopo una campagna imperniata sull'opposizione ai blocchi democratico-socialisti, sollecitando l'apporto elettorale clerico-moderato. L'articolo del C. aveva intanto suscitato un dibattito - protrattosi nei numeri del 16 e 25 genn. 1913 - cui intervennero F. Meda, E. Martire, L. Federzoni e F. Aquilanti. Il congresso di Milano (16-18 maggio 1914) avrebbe infine consumato la separazione dei nazionalisti dai liberali, assumendo in ciò gran rilievo l'apporto di A. Rocco e M. Pantaleoni.
Il C. partecipò alla campagna per l'intervento con articoli quali Per la democrazia o per l'Italia? (L'Idea nazionale, 3 ott. 1914) e Il "sacro egoismo" (ibid., 20 ott. 1914): in questi ed in altri articoli del periodo della neutralità egli prese le distanze dall'ideologia intesista e democratica della guerra ed enunciò le ragioni "vere" che avevano mosso le potenze alla lotta, di carattere imperialista. La grande guerra gli si prospetta infatti come l'occasione storica che consentirà alla "dinamica necessità rivoluzionaria della nuova Italia" l'ascesa al rango di potenza mondiale, nel quadro di una "immensa eredità di dominio e d'influenza" che la guerra avrebbe immancabilmente aperto, prefigurandosi la dissoluzione degli Imperi ottomano ed asburgico.
In Precisiamo le idee (ibid., 16nov. 194) ed ancor più in Le ragioni politiche della nostra guerra (ibid., 17 marzo 1915), già si elencano gli esorbitanti obbiettivi territoriali ed imperialisti che i nazionalisti si prefiggono: unità nazionale, sicurezza dei confini, domini nell'Adriatico (con basi a Pola ed a Valona), nel Mediterraneo (eredità ottomana nel Mediterraneo orientale), espansione economica (sostituirci all'Austria nel Levante, rilevandone i traffici di Trieste e di Fiume; penetrare nei Balcani sostituendoci alla Germania in Asia Minore); emancipazione dell'industria e dell'economia italiana, in specie la siderurgica e la marittima, dal capitale tedesco; partecipazione dell'Italia alle vicende mondiali ed acquisizione di titoli per una più ampia partecipazione avvenire.
Il C. fu inoltre uno dei protagonisti di quel tentativo, coronato in parte da successo, della propaganda nazionalista di appropriarsi dell'agitazione interventista imprimendo ad essa la propria impronta imperialista e soprattutto prevaricando gli orientamenti parlamentari con la mobilitazione della piazza e l'appello diretto alla Corona, con scritti quali Il Re (ibid., 13 maggio 1915) e IlParlamento contro l'Italia (ibid., 15 maggio 1915): "...o ilParlamento abbatterà la Nazione - si legge in questo - o la Nazione rovescerà il Parlamento".Una prima raccolta di articoli del C. già apparsi sull'Idea nazionale tra l'ottobre 1914 ed il dicembre 1915 si intitola La crisi italiana MCMXIV-MCMXV (Roma 1916). Il C. vi premette un importante saggio: sullo sfondo di un Risorgimento al quale "l'Italia come popolo, come nazione, non partecipò quasi; assistette...", e di un postrisorgimento che vede la "vecchia Italia" dominata dal parlamentarismo democratico, si individua la crescita vigorosa della "razza", la "nuova Italia". Ad essa il nazionalismo ha sul nascere inteso collegarsi, costituendosi a coscienza del "rinnovamento spirituale della nazione" ("... alle risorgenti energie etniche e spirituali il nazionalismo italiano dava un denominatore ed una direzione nazionale, una coscienza ed una volontà sistematici, un'anima ed una dottrina, le inquadrava, le disciplinava in un movimento politico").
La guerra in atto, che era non già l'ultima del Risorgimento bensì la prima dell'Italia potenza mondiale, doveva avere carattere "totale" e non già particolare o locale (antiaustriaca, irredentistica e limitatamente adriatica), e doveva sanzionare la nascita della potenza mediterranea italiana. Già nel '16 il C. auspicava l'accaparramento di titoli e pegni da far valere di fronte a tutti nella liquidazione finale. I richiami ad una solidarietà latina sono da intendersi in una visuale per grandi blocchi di potenze imperialiste, ed in nulla intendono derogare alla tesi della necessaria revisione dei ruoli politici che l'Italia avrebbe dovuto far valere nei confronti della Francia.
Di rilievo, nel 1918, il suo dissociarsi, con pochissimi altri nazionalisti (A. Rocco, P. Foscari, A. Tamaro) dall'A.N.I. allorché questa aderì al patto di Roma in sostegno della iniziativa di emancipazione delle nazionalità soggette all'Impero asburgico nel quadro della strategia di guerra dell'Intesa. Si deve a ciò il suo provvisorio allontanamento (1918-20) dall'Idea nazionale ed il suo passaggio al Resto del Carlino, nel settembre 1918, dalle cui colonne combatté i "quattordici punti" di Wilson appena enunciati tra cui in particolare il diritto di nazionalità e di autodeterminazione, il solidarismo internazionale e la Società delle nazioni.
Fin dal 1917 il C. aveva lanciato, con Alfredo Rocco, il Programma di una rivista settimanale politica (Roma 1917) cui si proponeva il titolo di La Nuova Enciclopedia, in quanto avrebbe dovuto rappresentare nel suo complesso "un'opera analoga, per valore intellettuale, politico e storico, a quella dell'Enciclopedia delsec. XVIII". Nel programma si dice essere il problema econoniico italiano non già un problema di distribuzione interna, bensi di produzione nazionale e di distribuzione inttrnazionale della ricchezza; si enuncia un indirizzo doganale protezionista ed il riconoscimento dei produttori di ogni ordine come "organi dinamici della vita economica, e quindi della espansione nazionale nel mondo". Il progetto di rivista non andava per il momento in porto, ma alcuni dei propositi enunciati connoteranno la rivista Politica fondata dai medesimi l'anno successivo. Politica, "rivistadi cultura, di critica, di informazione e di azione. politica", di cui il C. fu direttore, uscì con periodicità mensile dal 15 dic. 1918 affiancando l'Idea nazionale come palestra "scientifica" del nazionalismo, all'indomani della fine della guerra e della vittoria italiana. Di notevole rilievo ne fu il Manifesto, elaborato unitamente dal C. e dal Rocco. Vi si enunciava, accanto alla dottrina classica del darwinismo politico, la trionfalistica conclusione secondo cui "tutto conduce l'Italia alla sua missione imperiale". In una visione ciclica della storia nazionale che si viene chiarendo nei termini di "più grande Risorgimento", la guerra segna la conclusione della fase della "evoluzione nazionale" e l'inizio della "evoluzione imperiale".
Il Programma e la rivista riscossero adesioni e collaborazioni oltre la cerchia nazionalista: vi scrissero nei primi tempi Croce, Gentile, De Ruggiero, G. Volpe, Salandra. Portando attenzione preminente alle questioni internazionali nel periodo della elaborazione della pace, essa vantava la collaborazione di "tecnici", specie in questioni adriatiche, danubiano-balcaniche, di emigrazione e coloniali (A. Tamaro, A. Dudan, U. Nani) e di personalità con ruoli ufficiali quali L. Vitetti, R. Cantalupo, C. Tumidei, C. Zoli. Per successo e per autorità Politica poté nel 1921 reclamizzarsi come la maggiore rivista italiana e l'unica grande rivista di politica estera. Continuerà a vivere per venticinque anni (centocinquantadue fascicoli), mantenendo una sua autonomia e consequenzialità ideologica, sia pure in un ruolo di crescente gregarietà e di progressivo svuotamento del vigore politico dei primi anni.
L'articolo del C. La pace italiana (in Politica, fasc. 1, dic. 1918) aveva rilanciato all'indomani dell'armistizio le "minime ed inderogabili" richieste territoriali, coloniali ed economiche che l'Italia avrebbe dovuto presentare nella trattativa per la pace secondo lo schema enunciato fin dal marzo 1915. Nei mesi seguenti il C. seguì direttamente le trattative parigine, con articoli che, apparsi su Politica, sarebbero stati raccolti in La pace democratica (Bologna 1921: periodo Orlando-Sonnino, dall'armistizio al trattato di Versailles) e La fine dell'Intesa (ibid. 1921: periodo Nitti-Tittoni, dal trattato di Versailles al trattato di Sèvres, giugno 1919-maggio '20). Un terzo volume, che avrebbe dovuto intitolarsi La liquidazione della vittoria (periodo Giolitti-Sforza: dal trattato di Sèvres al trattato di Rapallo) non venne poi raccolto, ma è facile ricostruirne l'indice dagli articoli pubblicati dal C. tra il maggio ed il dicembre 1920.
Avendo per anni rinfocolato il mito "imperiale" della guerra e della vittoria italiana ed eccitato le esorbitanti attese di compensi, l'esperienza del 1919, per i nazionalisti profondamente deludente, provocava in essi i miti complementari della "vittoria mutilata" e del "rinunciatarismo" dei nostri governi tardoliberali. Al di là delle esasperate requisitorie contro il wilsonismo, l'imperialismo anglosassone, le pretese francesi di fondare nell'Europa centrorientale una politica antitedesca senza tenere nel debito conto l'Italia, il "subdolo procacciantismo e la smisurata avidità" degli antagonisti balcanici delle attese italiane - in specie Iugoslavia e Grecia -, sembra nel complesso giustificata la critica di "irrealtà nazionalista" (Salvatorelli) per la singolare inconsistenza politica di questa ideologia. Ben altrimenti efficace la campagna nazionalista nel circondare i negoziatori italiani di discredito interno e di isolamento internazionale in quei delicatissimi momenti.
Nell'ottobre 1919, imminenti le elezioni, il C. e Rocco si erano recati a Fiume per proporre a D'Annunzio una "marcia" dei legionari su Trieste: i leaders nazionalisti ritenevano che all'annunzio dell'occupazione di Trieste a Roma sarebbe tutto crollato (Salvatorelli-Mira). Nell'ottobre 1920 un analogo piano d'azione fu minutamente discusso in seno al Comitato centrale dell'A.N.I. e di nuovo proposto a D'Annunzio: segni di un intento eversivo cui faceva riscontro la campagna aperta dal Tamaro sull'Idea nazionale ed in Politica per una dittatura, dalla metà del '20.
Da questo momento la funzione del nazionalismo come coscienza critica della controrivoluzione preventiva borghese viene sviluppandosi in tutta la sua forza sul terreno politico e parlamentare. Si parlava di progressiva cattura ideologica di un movimento fascista ancora magmatico e disponibile alla cooptazione in un blocco di potere tardoliberale, di rovesciamento del "diciannovismo" socialisteggiante del primo fascismo, di un ruolo di vera e propria egemonia nello svolgere dalla prassi mussoliniana d'illegalismo e di governo violento la dottrina e l'edificio giuridico dello stato "totale" (Ungari, Gaeta). Dopo un periodo di concorrenzialità delle rispettive organizzazioni fu determinante la fusione dell'A. N. I. col Partito nazionale fascista (febbraio 1923). propugnata dal C. stesso. La vittoria mussoliniana venne da questo salutata, dopo il successo militare della grande guerra, come nuova "vittoria dell'idealità nazionalista sopra le ideologie democratiche della decadenza europea". A poco più di un mese dalla marcia su Roma, in La restaurazione antidemocratica (in Politica, fasc. 39, dic. 1922), propose un significativo sistema di correlazioni tra la "rivoluzione fascista" e l'ideologia nazionalista: "Nata [la rivoluzione fascista], sia pure inconsapevolmente, da uno stato d'animo nazionalista, preceduta e guidata idealmente dal nazionalismo in tutti i carripi della politica, fiancheggiata dal nazionalismo nella dura battaglia quotidiana, sanzionata e consacrata dal nazionalismo nella sua vittoria, essa non può non riconoscere nel nazionalismo la propria coscienza, la propria essenza e la propria regola. A patto - asseriva il C. - che la rivoluzione fascista si riconosca e si affermi consapevolmente in quella organica interpretazione del più grande Risorgimento e della storia italiana nella storia del mondo che è appunto la dottrina nazionalista". Il C. parlava in questo articolo di "fase fascista della rivoluzione nazionalista" ed additava alla "grande restaurazione nazionalista di cui la rivoluzione fascista non è fino ad oggi che l'ultima fase vittoriosa" il "compito immenso di ricostruire lo Stato italiano, fondare l'Impero italiano".
Importante e non adeguatamente valutato il ruolo del C. nel progressivo nuovo orientamento della politica estera mussoliniana durante il primo decennio del regime, per l'assunzione dei capisaldi revisionistì ed imperialisti e per la determinazione delle priorità. Fin dal 1923 il C. indicava al nuovo governo la necessità di una "coscienza unitaria ed organica dei problemi storici italiani": al centro del necessario programma poneva il Levante ed il Mediterraneo, ed indicava quali elementi essenziali l'atteggiamento britannico, una politica danubiano-balcanica atta a "paralizzare il sistema degli Slavi meridionali gravitante sull'Adriatico", l'interesse alla permanenza di un contrappeso tedesco sul Reno tale da impedire che la Francia concentrasse tutto il suo sforzo nella competizione mediterranea. Rivolgendosi ad un governo che, "sia pure ancora paralizzato dal risorto mito dell'immediato pareggio finanziario", sembrava aver preso coscienza della necessità di ricostituire una forza militare, lo sollecitava a reinserirsi subito nella nuova gara degli armamenti, specialmente navali ed aerei, colmando le distanze. Il C. raccolse i due articoli qui sopra esaminati in un quaderno di Politica intitolato La rivoluzione fascista e la politica mondiale (Roma 1923) per il primo anniversario del governo fascista.
Delegato italiano alla Società delle nazioni nel periodo in cui la crisi di Corfù provocava i primi attacchi fascisti alla istituzione ginevrina, ed ancora nel 1924 allorché l'Assemblea approvò il protocollo di Ginevra "per il regolamento pacifico delle dispute internazionali", pur ribadendo la propria ostilità di dottrinario antipacifista ed imperialista nei confronti di quella istituzione che considerava un "relitto spettacolare fossilizzato del sorpassato sec. XIX", sconsigliava tuttavia l'Italia dall'abbandonarla.
Nel 1925 fu membro della delegazione italiana nella commissione della Società delle nazioni addetta alla importante questione del disarmo. Raccoglierà i suoi maggiori scritti relativi alla politica ginevrina (1921-1928) in La pace coatta (Milano 1929).
Membro della Commissione dei diciotto nominata dal governo il 31 genn. 1925 per concludere la riforma costituzionale fascista diretta da Alfredo Rocco, il C. vi rappresentava una minoranza di Destra (cosidetto "gruppo Coppola") la quale, discutendosi il problema sindacale e l'ordinamento corporativo, si poneva in atteggiamento di radicale rifiuto nei confronti di ogni soluzione di tipo corporativo, dominata a suo giudizio da "superstizione socialistica", e tale da "cristallizzare il cittadino entro Pangusta cerchia dei suoi interessi di categoria", impedendogli "una visione ideale della patria", e sminuendo la funzione dello Stato "a semplice federazione gerarchica d'interessi".
Accademico d'Italia dal 3 marzo 1929, professore di diplomazia e storia dei trattati presso la facoltà di scienze politiche dell'università di Perugia (1929), quindi di diritto internazionale nella università di Roma, fu dal 1926 al '29 redattore della Tribuna, dal 1932 collaboratore della Gazzetta del Popolo, collaboratore alla Nuova Antologia.
Fin dal giugno 1927, in una polemica condotta dalle colonne della Tribuna con T. Interlandi del Tevere, il C. prevedeva prima o poi inevitabile una guerra dell'Occidente europeo, simbolizzato da Roma cattolica e fascista, contro il "sovversivismo asiatico" (gli articoli della Tribuna furono raccolti, sotto il titolo di Roma e Antiroma, in Politica, fasc. 78, maggio-luglio 1927). In occasione della conciliazione egli si segnalava con articoli quali La croce e l'aquila (ibid., fasc. 84-85, febbraioaprile 1929) e Roma, il cristianesimo, il cattolicesimo e l'Italia (ibid., fasc. 88-89, ottobre-dicembre 1929), in rivendicazione della tradizione universalistica ed imperiale dell'Italia nei confronti del "particolarismo risorgimentale": dopo duemila anni di interiore dissidio il popolo italiano ritrovava l'unità religiosa e patriottica dello spirito; ordine cattolico ed ordine fascista, ora ricongiunti, erano il segno del genio romano nel mondo. Tale interpretazione suscitava reazioni e polemiche da parte cattolica.
Nel periodo 1928-32 ed ahcora fino al 1935 la politica estera del regime fu assai vicina alla linea - che aveva nel C. il massimo assertore - di un revisionismo da attuare pacificamente nell'ambito di una solidarietà latino-cattolica egemonizzata dal fascismo, in funzione imperiafista ed anticomunista. Tappa significativa della auspicata intesa generale italo-francese sono nel marzo 1928 i negoziati avviati nelle conversazioni Mussolini-de Beaumarchais, che il C. predisponeva pubblicisficamente sulla Tribuna (Esame in profondità, 22 dic. 1927) ed in Politica (Italia e Francia, fasc. 80, febbr. 1928), manifestando ufficiosamente le aspettative italiane. Più tardi, nel gennaio 1935, gli accordi Mussolini-Laval ed i susseguenti accordi di Stresa sembreranno per un momento aver conseguito l'intento.
Quantunque decisamente contrario al progetto briandista di confederazione europea, si oppose nel '30 alle correnti interne che negavano ogni solidarietà europea (Europa, antieuropa e paneuropa, in Politica, fasc. 90-91, sett. 1930). Tra gli interventi in politica estera degli anni successivi è da segnalare, in occasione del tentativo di unione doganale austro-tedesca del marzo 1931, la ripresa dei progetto di una restaurazione asburgica in Austria ed Ungheria, che il C. aveva già sostenuto nel 1921 in polemica con l'allora ministro degli Esteri Carlo Sforza (cfr. Anschluss o Asburgo 1921-1931, ibid., fasc. 96-97, maggio 1931): l'ipotesi, che in quell'anno mirava essenzialmente a ricostituire un antemurale antislavo facendo leva sulla ragione dinastica, avrebbe dovuto nel '31 e negli anni successivi scongiurare la minaccia dell'annessione austriaca alla Germania.
Una relazione da lui tenuta al convegno Volta del novembre 1932 sul tema "l'Europa", intitolata La crisi dell'Europa e la sua "cattiva coscienza", per la sua visione conciliante e collaborazionista - da intendersi nella prospettiva mussoliniana della preparazione dei patto a quattro e nei suoi sforzi per prendere le distanze da Hitler presentando il fascismo in una luce diversa dal nazionalsocialismo - ebbe l'effetto di provocare un intervento polemico di A. Rosenberg (cfr. Reale Accad. d'Italia, Fondaz. A. Volta, Convegno di scienze morali e storiche, 14-20 nov- 1932. L'Europa, Roma 1933, I, pp. 254-272). Nel 1933 assecondava la politica di direttorio europeo promossa da Mussofini nel patto a quattro (Il patto a Quattro. Roma e l'Europa, in Politica, fasc. 107-108, febbraio-aprile 1933).
Pur riconoscendo le benemerenze del partito nazionalsocialista nei più recenti sviluppi tedeschi, si manifestava nel 1932 sfavorevole ad una presa del potere di Hitler, cui per la chiusa ideologia razzista e per gli spunti socialisti negava una reale parentela col fascismo; a questo mostra di preferire il governo di von Papen e di Hindenburg (cfr. la Postilla a La lotta politica in Germania di G. Piazza, in Politica., fasc. 103-104, giugno-agosto 1932). In La politica danubiana e l'Italia (ibid., fasc. 113-114, gennaio 1935) aveva occasione di ribadire, prendendo spunto dal tentato putsch nazista di Vienna del 25 luglio 1934, una tenace diffidenza verso la Germania hitleriana: in ciò anche la "questione austriaca", con le sue implicazioni sudorientali. giocava certo un ruolo importante. Il discorso del C. continuerà ad indirizzarsi ad una Francia cui si faceva carico di non voler riconoscere all'Italia la posizione di potenzì continentale "a interessi generali", preferendo puntellare un sistema della Piccola Intesa non in grado dì contenere la pressione espansiva della Germania nell'area sudorientale. Solo la sfrenata mistica antibolscevica cui il C. si abbandonerà negli anni successivi varrà a dare giustificazione all'allineamento - che appare comunque circoscritto a ragioni di solidarietà estrinseca - alla politica ufficiale dell'asse Roma-Berlino.La guerra d'Etiopia (ottobre 1935-maggio '36) e la proclamazione dell'Impero aprirono un nuovo ciclo nella politica del regime, cui il C. dette ampio supporto ideologico ed apologetico in La vittoria bifronte (in Politica, fasc. 117-118, agosto 1936): vittoria ideologica - oltreché militare e coloniale - sulla Società delle nazioni che contro l'Italia aveva aperto la "guerra delle sanzioni". Un volume dal titolo La vittoria bifronte (Milano 1936) raccoglie, accanto a questo, altri articoli minori pubblicati dal C. sulla Gazzetta del Popolo tra il 9 luglio 1935 ed il 16 luglio 1936 e già periodicamente raccolti in Politica sotto la rubrica "Momenti della guerra societaria": pesantemente ahtisocietari ed antibritannici contengono moniti e sollecitazioni alla politica francese perché sottraendosi all'egemonia inglese si schieri a fianco dell'Italia e riconosca a questa la leadership spirituale e politica di un blocco "di conservazione" occidentale.
La guerra di Spagna (luglio 1936-gennaio 1939) sembrava confermare la previsione di un inevitabile confronto di blocchi ideologici. La conferenza e gli articoli (1935-38) raccolti in Fascismo e bolscevismo (Roma 1938) elaboravano i temi della sovversione internazionale bolscevica alle spalle dell'Europa, del cedimento francese (patto franco-sovietico del 1° maggio 1935) e della impotenza delle "grandi democrazie" europee e della Società delle nazioni a far argine a quella infiltrazione.
Dopo aver seguito il nuovo orientamento del regime verso la Germania all'insegna dell'antibolscevismo, esplosa la seconda guerra mondiale, rilanciava nelle pagine di Politica ilvecchio tema imperialista della "guerra rivoluzionaria", e l'altro della crociata per il salvataggio della civiltà europea: Italia e Germania, "le due più legittime rappresentanti della civiltà europea" combattevano nelle loro "guerre nazionali" una guerra "per la salvezza e la conservazione dell'Europa contro la barbarie bolscevica e quella americana, ed alla complice e suicida cecità britannica" responsabile della chiamata in Europa dei nuovi barbari (La chiamata dei barbari, in La Gazzetta del Popolo, 16 maggio 1939; Considerazioni su questa guerra, I, in Politica, fasc. 141146, febbraio 1941 e II, ibid., fasc. 149-152, aprile 1943).
Morì ad Anacapri il 10 febbr. 1957.
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