CORNER, Francesco
Primogenito di Marcantonio di Giovanni e di Cecilia Contarini di Giustiniano, nacque a Venezia nel 1547 (erronea la data del 14 ott. 1552, recepita, sulla scorta del Barbaro, dal Priuli e da diversi autori contemporanei).
Da due anni la famiglia risiedeva nel palazzo di S. Polo; ricchissima ed influente, proprio nella seconda metà del XVI secolo essa avrebbe visto numerosi suoi esponenti pervenire alle principali cariche della gerarchia laica ed ecclesiastica: lo stesso C. era infatti destinato a diventarne il sesto cardinale, e gli sarebbe anche toccata la sorte di essere fratello di un doge, nipote dei cardinali Alvise e Federico senior, e zio del cardinale e patriarca Federico iunior.
Sin da piccolo il C. dimostrò doti non comuni di intelligenza e sensibilità: aveva otto anni quando la nonna Andriana Pisani, "madre pia, saggia ed affettuosissima di tre prelati", lo ricordava nel suo testamento con particolare amore ed orgoglio. Della sua giovinezza sappiamo soltanto che, in occasione della guerra di Cipro, offrì 1.000 ducati alla Repubblica (va detto, peraltro, che la salvaguardia dell'isola stava particolarmente a cuore alla famiglia, che vi possedeva vaste proprietà), che si laureò a Padova in utroque iure nel 1571 e che, subito dopo, ottenne la commenda dell'abbazia di S. Bona di Vidor, nel Trevigiano, giuspatronato dei Corner. A trent'anni avvenne la svolta decisiva della sua vita, allorché lo zio paterno Giorgio gli trasmise il vescovato di Treviso, dove il C. fece il suo ingresso l'8 febbr. 1578.
Giorgio aveva attivamente partecipato ai lavori del concilio tridentino e si era molto adoperato per applicarne i deliberati nella sua diocesi: nel dicembre '66, infine, era riuscito ad inaugurare un nuovo seminario, alla cui disciplina aveva provveduto con l'emanazione di un regolamento - le cosiddette Regole Cornelie - che richiamava da vicino quello introdotto dal fratello Federico nel seminario di Bergamo; l'uno e l'altro, infatti, testimoniano chiaramente una comune derivazione borromeiana. Lo statuto del seminario trevisano non ci è pervenuto nel testo originale, ma in una stesura posteriore, ampliata e chiosata dalla mano stessa del C., che con tutta probabilità vi lavorò attorno, come afferma il Liberali, tra il 1592 ed il '93. Sappiamo, del resto, che la cura del seminario occupò lungamente le attenzioni del C., anche se egli dovette ricorrere alle più energiche pressioni per assicurarne l'esistenza, perennemente minacciata da angustie economiche. Invano ilpredecessore Giorgio aveva imposto ai monasteri ed alle parrocchie tutta una serie di contribuzioni in favore del nuovo istituto; la loro riscossione risultò sempre impresa aleatoria e, comunque, defatigante: a questo proposito, nell'80 il nuovo vescovo intentò causa alle camaldolesi di S. Parisio, a Treviso, che assolutamente si rifiutavano di fornire la loro sovvenzione. Così, quattro anni dopo, il 5 genn. 1584, al C. non restò che dotare l'istituzione, che nel frattempo aveva fatto ampliare e restaurare, di altri diciotto benefici semplici, per la maggior parte provenienti dal proprio patrimonio personale.
La carità e lo zelo dimostrati dal C. nel governo della diocesi sono concordemente sottolineati da tutte le fonti: gli influssi tridentini vennero da lui recepiti soprattutto come servizio verso i poveri e gli infermi e come sprone per una rigorosa sorveglianza della condotta del clero. All'inizio del suo ministero, Treviso era una città profondamente segnata dai guasti della peste del 1575-77; il morbo alfine era cessato, ma la vita sociale ed economica stentava a riprendersi, e la povertà era dovunque alimentata dalla carestia che si era abbattuta sulle campagne. Le ricchezze del C. riuscirono ad attenuare molti drammi, e alla generosità materiale il vescovo seppe unire una edificante disponibilità spirituale: era solito cresimare persino bambini di tre anni, recarsi di persona a visitare gli ammalati, ed accompagnar loro il viatico, quasi a fornire, con l'esempio della sua persona, un modello di comportamento per tutto il suo clero. A quest'ultimo, infine, provvide con frequenti sinodi, con la stampa, nel 1581, di nuove Costituzioni, ma soprattutto con lo sviluppo del seminario e delle scuole di dottrina cristiana.
A questo proposito non è senza significato che nel '78, nel corso della sua prima visita pastorale, il C. si recasse anzitutto dal suo antico precettore, Angelo Franceschini, titolare della parrocchia di Rustega, nella quale il sacerdote aveva avviato una fiorente scuola di dottrina cristiana per fanciulli e adulti; il bilancio complessivo della visita diocesana risultò peraltro deludente: su 163 chiese ispezionate, solo 18 tenevano in piedi la scuola. I suoi incessanti sforzi furono tuttavia coronati da un discreto successo: un quindicennio più tardi, le scuole diocesane avevano raggiunto il numero di 71.
In margine all'attività pastorale, il C. non dimenticò le ragioni della politica, a cominciare da quella famigliare: nominato chierico di Camera da Sisto V, il 16 genn. 1588 ottenne dal gran maestro dei cavalieri di Malta che al nipote Federico fosse conferito il giuspatronato del priorato di Cipro. Infine, il 3 nov. 1595 depose il vescovato (al suo posto subentrò Ludovico Molin) e si recò a Roma, dove venne eletto cardinale da Clemente VIII, il 15 giugno dell'anno successivo, col titolo di S. Martino ai Monti. Il pontefice, desideroso di mitigare l'eccessiva influenza spagnola nel Collegio, volle premiare nel C. l'esponente di un patriziato neutrale ed un prelato che aveva saputo operare nello spirito più genuino e proficuo della Riforma cattolica; quanto al C., egli giungeva a Roma con la speranza di entrare a far parte della Congregazione del S. Uffizio. ossia di essere nominato inquisitore. Gliene mancò il tempo: morì improvvisamente a Roma, il 23 apr. 1598, quando stava per mettersi in viaggio con il pontefice alla volta di Ferrara, da poco recuperata alla S. Sede. È sepolto nella chiesa di S. Silvestro al Quirinale.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, M. Barbaro, Arbori de' patritii..., III, p. 47; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 15 (= 8304): G. A. Cappellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, cc. 325v, 335v; Ibid., Bibl. del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna 3781: G. Priuli, Pretiosi frutti, I, cc. 192v-193r; A. Ciaconius-F. Cabrera-A. Victorellus, Vitae et res gestae Pontificum Roman. et S.R.E. Cardinalium, II, Romae 1630. coll. 1892-1883; F. Sansovino, Venetia città nobilissima, et singolare. Venetia 1663, pp. 630-631; F. Policini, Ecclesiastica cronol. della Casa Cornara, Padova 1698, pp. 21-23; N. C. Papadopoli, Historia Gymnasii Patavini, I, Venetiis 1726, pp. 99-100; E. A. Cicogna, Delle Inscrizioni Veneziane, IV, Venezia 1834, p. 231; L. von Pastor, Storia dei papi, XI, Roma 1929, pp. 183, 459; A. da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, pp. 359, 364; G. Liberali, Documentari sulla riforma cattolica pre e post-tridentina a Treviso (1527-1577), I, Le "dinastie ecclesiastiche" nei Cornaro della Chà Granda, Treviso 1971, pp. 13, 15-18, 32, 52; III, L'aspettativa dei vescovi eletti e l'amministrazione perpetua dello zio card. Francesco Pisani (1527-70), ibid. 1971, pp. 11, 64; V, Le origini del seminario diocesano, ibid. 1971, pp. 23, 62, 68, 70, 73-77, 80, 90, 106, 113, 121; VII-VIII, La diocesi delle visite pastorali, ibid. 1976, pp. 26, 29, 40, 42, 46, 48, 71, 90, 121, 138, 168, 177, 182, 184, 212, 215 s., 237, 338, 361, 410; IX, Lo stato personale del clero diocesano nel secolo XVI, ibid. 1975, pp. 16, 19, 28, 39, 41, 162, 183, 191 s., 214, 225, 243, 253-656, 270, 302; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico ecclesiastica..., XVII, pp. 144-145; XCII, p. 555; G. Gulik-C. Eubel, Hierarchia catholica, III, Monasterii 1923, p. 329.