FRANCESCO da Empoli (Francesco di San Simone da Pisa)
Nacque intorno al secondo decennio del XIV secolo: nulla si sa del luogo di nascita, della famiglia, della sua prima formazione culturale e delle circostanze del suo ingresso nell'Ordine francescano.
È stata avanzata l'ipotesi che possa essere stato lettore a Oxford, in sostituzione di Pietro da Gaeta, o che sia stato nominato lector sententiarum dal capitolo generale dell'Ordine tenutosi a Marsiglia nel 1343. Nota è, con certezza, la sua presenza a Oxford intorno alla metà degli anni Quaranta del XIV secolo perché, in occasione del capitolo provinciale tenutosi a Pisa nel 1345, fu deciso di sostenere le spese necessarie alla sua permanenza presso quella università (Archivio di Stato di Pisa, Fondo S. Francesco, n. 1, c. 6r). Bartolomeo da Pisa lo annovera fra i confratelli che ricevettero a Oxford la laurea in teologia. I documenti del convento di S. Croce a Firenze attestano che F. vi svolse l'incarico di vicario nel 1347: il 27 maggio 1359 venne nominato professore in teologia presso lo Studium fiorentino, mentre fra il 1360 e il 1367 ricoprì anche l'incarico di ministro per la provincia toscana dell'Ordine. Secondo la testimonianza del Sacchetti, fu provinciale di Toscana anche nel 1369-1370.
La fama di F. è legata all'importante ruolo che svolse nel dibattito sorto intorno al Monte comune di Firenze. Poco dopo la fondazione del "Monte vecchio" (1345-1347), prima istituzione di gestione del debito pubblico fiorentino, fu a lungo dibattuta la liceità morale degli interessi da pagare sui prestiti, forzosi o volontari, nonché del mercato concernente i "crediti di Monte", ossia la vendita a prezzo ridotto dei diritti spettanti al primo acquirente, pratica questa che coinvolgeva migliaia di cittadini.
Il dibattito viene riassunto nelle parole del cronista Matteo Villani, funzionario del Monte ed estimatore di Francesco: "era in quei tempi [1353-1354] in Firenze copia di maestri in teologia, fra i quali de' più eccellenti era maestro Piero degli Strozzi de' frati predicatori, e maestro Francesco da Empoli de' minori; maestro Piero dicea che non era lecito contratto, e predicavalo senza dimostrarne le ragioni chiare; perché maestro Francesco de' minori avendo sopra ciò con grande diligenza avute molte disputazioni con altri maestri in divinità, e con dottori di legge e di decretali, e tenne, e predicò, e scrisse ch'era lecito, e senza tenimento di restituzione a chi li facea, senza fare contro a sua conscienza" (Cronica, III, p. 106).
Sia F. sia Pietro Strozzi condannavano quei cittadini che avessero fatto prestiti al Comune con l'intento di riceverne profitto. Per definizione, infatti, il loro comportamento era usurario, essendo considerato tale qualsiasi sovrappiù dato e accettato oltre l'ammontare del prestito. I due concordavano inoltre sul diritto per il creditore di ricevere un compenso pari al 5% annuo quale ricompensa per il prestito forzoso subito. I due teologi erano viceversa in disaccordo (sempre secondo il Villani) in merito al mercato dei titoli di credito. Per lo Strozzi e i suoi discepoli, in particolare Domenico Pantaleoni, chiunque acquistasse da terzi i crediti del Monte doveva essere considerato usurario, mentre per F. il compratore era coinvolto in un contratto di vendita perfettamente lecito e legale.
La difesa di F. sul Monte comune - presentata nella concisa forma della disputa scolastica (determinatio) - è strutturata come una riflessione intorno ai rapporti fra due fittizi cittadini fiorentini, Petrus e Iohannes, e il Comune fiorentino. Petrus, costretto a prestare al Comune 100 fiorini, ha ottenuto dal Monte per il periodo durante il quale questo ha trattenuto il suo capitale, 5 fiorini quale indennizzo (interesse). Successivamente, Iohannes ha acquistato da Petrus per 25 fiorini i diritti riguardanti la restituzione dei 100 fiorini nonché gli interessi maturati. Poiché il contratto fra Iohannes, primo acquirente dei titoli del Monte, e il Comune non può essere ritenuto usurario, F. sosteneva che il contratto stipulato successivamente fra Petrus e Iohannes doveva parimenti essere considerato lecito.
Per F. il vigore del suo ragionamento non poteva essere sottoposto a critiche se si interpretavano correttamente i rapporti fra i tre contraenti: il Comune di Firenze saldo nel suo ruolo di debitore, Petrus nella doppia veste di creditore e venditore e Iohannes come acquirente. Centrali rimangono nell'esposizione di F. i rapporti fra Iohannes e il Monte; gli oppositori come Pietro Strozzi sostenevano che, nell'acquistare i titoli di credito del Monte, Iohannes era diventato creditore del Comune medesimo. In un prestito - controbatteva F. - avveniva sì un trasferimento di proprietà ma, nel caso analizzato, nulla era dato al Comune. In effetti, vi erano state due conseguenze giuridiche in questa vendita. La prima era il trasferimento a favore di Iohannes di un libero diritto a esercitare le proprie rivendicazioni nei confronti del Comune. In questo contesto, Petrus non aveva trasferito tale concessione, ma solo il suo uso, definito commodatum. I benefici spettanti al venditore per il suo prestito, nonché i suoi diritti nei confronti del Comune venivano trasferiti all'acquirente, anche se quest'ultimo esercitava tale diritto in nome del venditore. Come seconda conseguenza tale libertà di azione doveva garantire a Iohannes un illimitato diritto di ricevere sia i 100 fiorini sia l'interesse dovuto all'acquirente. Questa finzione giuridica si rivela, nell'esposizione di F., decisiva: il Comune non era in debito nei confronti dell'acquirente, ma rimaneva obbligato unicamente nei confronti del venditore. Iohannes quindi non poteva essere considerato alla stregua di un creditore che avesse prestato il suo capitale al Comune, né egli poteva essere giudicato usuraio, perché dove non c'è alcun capitale o profitto, non c'è usura in merito al rapporto dell'acquirente con il Comune.
Nell'affrontare di nuovo gli accordi tra Petrus e Iohannes, F. affermava che il loro contratto di vendita non era simulato al fine di celare un accordo usurario: contratti di quel genere erano, al contrario, palesemente leciti. Quando Iohannes dà a Petrus 25 fiorini per l'acquisto dei titoli l'importo, a differenza del capitale del prestito, non verrà infatti restituito. La cessione dei titoli di credito, secondo F., doveva quindi essere concepita come un contratto di vendita dove i beni potevano essere lecitamente ceduti dietro una riduzione sul prezzo convenuto, poiché non era possibile determinare il futuro valore dei beni venduti: molti infatti esitavano a comprare, a causa dei dubbi sulla capacità e la volontà del Comune stesso di soddisfare i propri creditori. A suo piacimento, infatti, il Comune poteva differire il pagamento, decidere di non effettuarlo affatto, o abolire le norme che garantivano i diritti degli stessi creditori, che acquistavano quindi un titolo di credito dagli incerti profitti, nonché un compenso, o un diritto, per una rendita lecita.
Nella sua vasta e articolata analisi F. si spinse a riscontrare l'analogia tra la vendita dei titoli di credito del Monte e l'assicurazione marittima, divenendo così uno dei primi scrittori "moralisti" a discutere, pur se brevemente, sulla liceità dei contratti di assicurazione per i rischi connessi al commercio marittimo, da lui ritenuti leciti sul piano giuridico e morale. Secondo F. le mercanzie inviate via mare a Genova potevano essere assicurate pagando un premio pari al 10-20% del loro valore, se l'assicuratore assumeva su di sé il rischio di perdita del mercante. Egualmente, secondo F., vi era il rischio che il Comune venisse meno ai suoi obblighi e che il creditore originario non ricevesse alcunché; l'acquisto dei titoli di credito da parte di Petrus poteva quindi essere equiparato a un'assunzione di rischio, e il contratto stipulato era pertanto lecito. Egli concludeva che il profitto ottenuto dall'acquirente era il prezzo per l'assunzione di un rischio nel tempo, e non il prezzo del tempo stricto sensu cioè usurario.
Domenicani e agostiniani sostenevano, al contrario, che Petrus non poteva cedere la totalità dell'interesse. Se ciò accadeva, le condizioni in virtù delle quali Petrus aveva il diritto di ottenere un risarcimento da parte del Comune venivano automaticamente annullate. Egli si trovava, cioè, nella posizione di aver venduto un diritto che non possedeva più. Petrus - replicava invece F. - aveva facoltà di cedere i suoi diritti riguardanti il capitale e l'interesse in diversi modi: poteva cedere i suoi diritti sul capitale e mantenere per sé l'interesse; poteva cedere l'interesse e trattenere per sé il capitale; poteva infine vendere i suoi diritti sia sul capitale sia sull'interesse.
In conclusione, F. rammentava che quattro erano i punti essenziali. Primo: il contratto fra Petrus e Iohannes era un contratto di vendita e non un prestito. Secondo: in questo contratto venivano ceduti i diritti riguardanti sia il capitale sia l'interesse. Terzo: si doveva distinguere tra l'attuale ordine di 100 fiorini in contanti e il diritto di ricevere 100 fiorini, giacché uno può esistere senza l'altro, e uno ha un valore più grande dell'altro. Quarto e ultimo: come l'esperienza insegna, vi è sempre il rischio di perdita quando si acquistano titoli di credito del Monte comune.
Poco dopo la creazione, nel 1369, del Monte "dell'uno a due", un progetto che garantiva agli investitori il 10% sui prestiti volontari - in aperta violazione alla proibizione usuraria - Franco Sacchetti richiese a F. un parere sulla liceità del nuovo Monte. F., di ritorno a Firenze dopo un lungo periodo di assenza, gli promise di analizzare a fondo il nuovo istituto e di discuterne pubblicamente nel corso delle sue prediche. Allontanatosi di nuovo da Firenze per svolgere l'incarico di ministro provinciale dell'Ordine, F. vi fece ritorno, stando alla testimonianza del Sacchetti, poco prima di morire, e "de gli altri monti non predicò mai, né mai disse alcuna cosa se non del Monte Vecchio…" (Sposizione, 35, p. 228).
F. morì a Firenze il 12 ott. 1370 e venne sepolto nella chiesa di S. Croce. Il Sacchetti commemorò la morte del "degno maestro Francesco" con un sonetto (Libro delle rime, pp. 113 s.).
Nonostante la strenua opposizione dei domenicani, la forza delle argomentazioni di F. fu ben presente presso gli investitori, ufficiali cittadini, teologi e canonisti che discussero anche successivamente la liceità del Monte comune e delle operazioni da esso svolte. La sua apologia venne infine inserita nella normativa fiorentina emanata nel 1383, che assicurava a tutti gli investitori di poter riscuotere le loro indennità senza alcuno scrupolo di coscienza. Le sue argomentazioni furono fatte proprie dai successivi difensori del mercato dei titoli di credito del Monte, in particolare dal canonista fiorentino Lorenzo Ridolfi che, nel suo Tractatus de usuris redatto nel 1403, approvò, glossò e riprodusse in modo letterale l'opera di Francesco. Questa fu, senza dubbio, fra i contributi che più influenzarono il vasto dibattito sulla liceità del debito pubblico, gestito nell'Italia tardomedievale dai Monti cittadini.
Della Determinatio de materia Montis restano quattro manoscritti: il migliore, risalente al XIV sec., è conservato a Firenze, Bibl. Laurenziana, S. Croce, Plut. 31 dext., ff. 151r-154r (cfr. C. Mazzi, L'inventario quattrocentistico della Biblioteca di S. Croce in Firenze, in Riv. delle biblioteche ed archivi, VIII [1897], p. 108); gli altri manoscritti sono presso la Bibl. apost. Vaticana, Vat. lat. 2660, ff. 267r-270v, Vat. lat. 4272, ff. 128v-133v, e presso la Bibl. comunale di Monteprandone, ms. 39 bis, ff. 187-190.
Ampi frammenti della Determinatio furono riportati e glossati da Lorenzo Ridolfi nell'autografo del Tractatus de usuris (Firenze, Bibl. naz., II, II, 366, ff. 87v-91), per l'edizione dell'opera del Ridolfi, cfr. Tractatus universi iuris, VII, Venetiis 1586, ff. 43v-44v. Anche l'opera del domenicano Domenico Pantaleoni, Tractatus… super casu de Monte contra magistrum Franciscum de E. Ordinis minorum, falsamente attribuita al canonista senese Federico Petrucci, contiene ampi frammenti dell'opera di F.; cfr. J. Kirshner, A note on the authorship of Domenico Pantaleoni's tract on the Monte Comune of Florence, in Archivum fratrum praedicatorum, XLIII (1973), pp. 73-81, edizione parziale in J. Lechner, Kleine Beiträge zur Geschichte des englischen Franziskaner-Schrifttums im Mittelalter, in Philosophisches Jarbuch der Görres-Gesellschaft, III (1940), pp. 379-382.
Fonti e Bibl.: M. Villani, Cronica, II, Firenze 1846, pp. 295 s. (poi a cura di G. Porta, I, Parma 1995, pp. 461 s.); Statuti della Università e Studio fiorentino dell'anno 1387, a cura di A. Gherardi, Firenze 1881, ad Ind.; Bullarium Franciscanum, a cura di C. Eubel, VI, Romae 1902, n. 599; Bartolomeo da Pisa, De conformitate vitae b. Francisci ad vitam Iesu, in Analecta franciscana, IV, Quaracchi 1906, p. 340; M. Bihl, Ordinationes Fr. Bernardi de Guasconibus ministri provincialis Tusciae pro bibliotheca conventus S. Crucis Florentiae a. 1356-1367, in Arch. franc. hist., XXVI (1933), p. 147; F. Sacchetti, Il libro delle rime, a cura di A. Chiari, Bari 1936, pp. 113 s.; Id., Le sposizioni di Vangeli, a cura di A. Chiari, Bari 1938, pp. 226-228, 230; N. Papini, L'Etruria francescana, Siena 1797, pp. 11 s.; E. Mancini, Un francescano empolese amico di Franco Sacchetti, in Arch. franc. hist., XVI (1923), p. 432; J.T. Noonan jr, The scholastic analysis of usury, Cambridge, MA, 1957, pp. 122, 204; A.B. Emden, A biographical register of the University of Oxford to A.D. 1500, III, Oxford 1959, p. 164; C. Cenci, Silloge di documenti francescani trascritti da P. Riccardo Pratesi, in Studi francescani, LXII (1965), p. 390; Id., Fr. Guglielmo Centueri da Cremona, Trattato "De iure Monarchiae", Verona 1967, pp. 14 s.; P.G. Pesce, La dottrina degli antichi moralisti circa la liceità del contratto di assicurazione, in Assicurazione, XXXIII (1966), pp. 42 s.; Chr. Bec, Les marchands écrivains, Paris 1967, pp. 235, 269, 333 n.; A. Spicciani, Un dibattito teologico sulle "prestanze" nella Firenze del secolo XIV, in Aevum, XLIX (1975), pp. 157-165 (aggiornato in Id., Capitale e interesse tra mercatura e povertà nei teologi e canonisti dei secoli XIII-XV, Roma 1990, pp. 97-111); E. Spagnesi, Aspetti dell'assicurazione medievale, in L'assicurazione in Italia fino all'Unità. Saggi storici in onore di E. Artom, Milano 1975, pp. 47-49; J. Kirshner, Reading Bernardino's Sermon on the public debt, in Atti del Simposio internazionale cateriniano-bernardiniano, a cura di D. Maffei - P. Nardi, Siena 1982, pp. 575 s.; Id., Storm over the Monte comune: Genesis of the moral controversy over the public debt of Florence, in Arch. fratrum praedic., LIII (1983), pp. 219-276; Id., "Ubi est ille?"Franco Sacchetti on the Monte comune of Florence, in Speculum, LIX (1984), pp. 556-584; M.W. Sheehan, The religious Orders 1220-1370, in The history of the University of Oxford, a cura di J.I. Catto, I, Oxford 1984, p. 203.