GARBAGNATE, Francesco da
Figlio di Gaspare, giurisperito di fama e valente uomo d'armi, nacque a Milano probabilmente intorno agli anni Settanta-Ottanta del XIII secolo. La madre si chiamava forse Benvenuta: ipotesi suggerita dal fatto che la donna viene indicata come moglie di Gaspare negli atti del processo intentato nel 1300 contro i seguaci dell'eresia guglielmita, cui tutta la famiglia del G. aveva aderito (sempre che non si tratti di una seconda moglie). Ebbe un fratello, Ottorino, anch'egli citato negli atti del processo.
Il casato dei Garbagnate, originario del contado milanese, nel corso del XIII secolo aveva sostenuto la Credenza di S. Ambrogio ed era riuscito, in questo modo, a entrare a far parte del gruppo di governo. In seguito aveva saputo rafforzare la propria posizione politica e sociale aiutando i Visconti all'indomani della battaglia di Desio (21 genn. 1277), che segnò il temporaneo predominio dei Visconti sulla fazione guelfa sostenuta dai Della Torre. Relazioni importanti avevano infatti distinto politicamente il padre del G., spesso ambasciatore per il Comune di Milano, o direttamente inviato da Matteo Visconti a governare città del dominio; Gaspare, inoltre, aveva ricevuto numerosi incarichi all'interno dell'amministrazione della giustizia milanese.
La giovinezza del G. non è facilmente ricostruibile. Negli atti del processo contro l'eresia guglielmita, che costituiscono le prime fonti sulla sua vita, egli è qualificato con il titolo di clericus.
Tra il 1260 e il 1300 si era diffusa a Milano un'esperienza devozionale e "spirituale" particolare, incentrata sulla figura di Guglielma la Boema, intorno alla quale si era raccolto un cospicuo nucleo di devoti e soprattutto di devote che ne aveva accettato con fiducia il messaggio spirituale. Si trattava di persone che provenivano dalle fila degli umiliati, di monaci cistercensi e inoltre di cittadini di classi sociali benestanti ed elevate, tra cui i Garbagnate, i Cotta e - sembrerebbe - la madre di Matteo Visconti, se non Matteo stesso e i suoi figli. Alla morte di Guglielma l'attività spirituale non era stata interrotta grazie all'assidua opera di Maifreda da Pirovano, suora umiliata, e di Andrea Saramita. I due riuscirono, infatti, a dare grande impulso al culto di Guglielma (1281), mantenendo l'abitudine - avviata ai tempi dalla donna stessa - di raccogliere i fedeli in riunioni conviviali che si tenevano nella domus delle umiliate di Biassono o nelle case di Sibilla Malcozati e di Guglielmo Cutica. Ben presto queste congregazioni furono tacciate di eresia e perseguitate dal tribunale dell'Inquisizione, che condannò a morte alcuni tra gli esponenti più compromessi. Non era vista di buon occhio inoltre, la particolare forma di proposta religiosa al femminile di suor Maifreda, alla quale risulta essere stato molto affezionato il G. che, negli atti del processo, viene segnalato tra i suoi discepoli più devoti.
Il 5 ott. 1300 il G. venne invitato a comparire davanti al tribunale inquisitoriale. Non si conosce l'esito dell'esame, perché manca la documentazione ed è difficile stabilire quale possa essere stato il suo atteggiamento nei confronti delle accuse mosse. Suo fratello Ottorino non esitò a presentarsi all'inquisitore, a pagare la pena comminatagli e a giurare che avrebbe rispettato l'autorità della Chiesa cattolica. Il G. non seguì probabilmente l'esempio fraterno, come sembra far supporre il fatto che da questo momento ebbero inizio le sue peregrinazioni.
Nel primo decennio del sec. XIV studiò con tutta probabilità diritto all'Università di Padova dove in seguito sarebbe stato lettore, ma anche in questo caso le notizie sono poco chiare e i pareri discordi sulla sua reale posizione all'interno del corpo accademico. Qui, comunque, al riparo dalle persecuzioni dei Della Torre, rientrati in città nel 1302, e dalle attenzioni degli inquisitori, avrebbe a un certo punto venduto, stando le fonti, i suoi codici di diritto "et ogni altra cosa" e con il ricavato acquistato cavalli e armi con l'intento di sostenere la causa viscontea. Avrebbe poi preso la via della Germania, dove, anche in virtù delle sue capacità militari, sarebbe entrato nella cerchia di Enrico VII di Lussemburgo, eletto re di Germania nel 1308 ("facendosi familiare del re […] ne la corte sua havea grandissimo e gratioso introito": Corio, p. 597). Così, allorché il giovane sovrano decise di occuparsi del Regnum Italicum e di scendere nella penisola per ottenere la consacrazione papale, il G. non poté non fare parte del seguito.
Sul finire del 1310, giunto Enrico di Lussemburgo ad Asti, il G. seppe ben perorare la causa di Matteo Visconti, esule a Nogarola, tanto da convincere il sovrano ad accettare di incontrare il Visconti. Appena avuto il consenso, il G. avvisò il suo signore che dal Veronese in poco tempo arrivò ed "entrò nela habitatione dil suo fidatissimo Francesco" (ibid., p. 596) che lo introdusse alla presenza del sovrano. Nei giorni successivi, per volontà di Enrico VII, si svolsero trattative di pace fra il Visconti e la fazione dell'arcivescovo ambrosiano Cassone Della Torre, esiliato dal cugino Guido, all'epoca capitano della città di Milano.
Il 23 dicembre Enrico VII entrò in Milano con a fianco proprio Matteo Visconti e Cassone Della Torre; anche in tale occasione il G. appare tra i suoi uomini di fiducia e il 2 genn. 1311 risulta teste, con la qualifica di iudex, alla conferma di privilegi e feudi concessi dal sovrano incoronato pochi giorni dopo (6 genn. 1311).
Il G., presumibilmente, non accompagnò oltre Milano il sovrano tedesco nel suo viaggio verso Roma, rimanendo a fianco del Visconti che nel luglio di quell'anno ottenne il vicariato imperiale. Nella primavera del 1312 fu inviato con Giovanni da Pirovano a una riunione delle città di fede ghibellina voluta dal luogotenente imperiale Rainaldo di Hassel; nel 1313 il G. fu scelto da Matteo come istruttore nella disciplina militare del figlio Galeazzo. Sempre Matteo gli affidò poi il ruolo di capitano dell'esercito durante la nuova offensiva contro i Torriani, che avevano ripreso con forza le ostilità alla notizia della morte improvvisa di Enrico VII (24 ag. 1313).
La scomparsa dell'imperatore, sul quale avevano riposto ampie speranze i ghibellini di molte città italiane, metteva la parola fine al suo ampio programma politico, mentre guelfi, Torriani e Angioini potevano sperare di porre termine finalmente al potere di Matteo Visconti. Pressato militarmente da più parti, Matteo Visconti inviò il G. insieme con Pasio Ermenzano, con fanti e cavalli, in soccorso di Galeazzo Visconti per sostenerlo nella difesa di Piacenza, assediata dai guelfi. Giunti alle rive del Po, i due comandanti riuscirono con un abile stratagemma ad attraversarlo e a ricongiungersi con il presidio della città. Ritiratisi ben presto gli avversari, Galeazzo Visconti pensò di inseguirli, ma ne fu sconsigliato dal Garbagnate.
Nell'0ttobre 1314 il G. entrò in territorio pavese, centro di raccolta delle forze guelfe, per assistere, assieme con altri uomini esperti quali Guglielmo Casati e Simone Crivelli, il giovane Luchino Visconti, figlio di Matteo, nella spedizione in Lomellina e sostenne una dura battaglia contro i Torriani a Mortara.
Gli anni che seguono sono scarsi di notizie in merito al G., almeno fino al periodo 1321-22. Tutto fa pensare che egli costituisse sempre un elemento valido, e tra i più fedeli, del gruppo di cui si circondò Matteo Visconti, dal 1317 "dominus et rector generalis" di Milano, negli anni di governo, soprattutto nei difficili momenti nei quali il Visconti venne chiamato ad affrontare le conseguenze politiche della scomunica papale, comminatagli formalmente nel gennaio 1318 insieme con l'interdetto che colpì la città di Milano.
In questo periodo, il rapporto così stretto e di lunga data tra il G. e Matteo Visconti dovette però, non si sa per quale motivo, incrinarsi.
Il 1° maggio 1321 Matteo nominò, mediante un atto di procura, alcuni rappresentanti che dovevano recarsi presso il pontefice per ottenerne la revoca della scomunica: tra i testi all'atto di procura figura il G., che ricopriva in quel periodo la carica di capitano della Società dei mercanti di Lombardia, insieme con altri giuristi importanti e di fama: Andrea Dell'Orto, Francesco Visconti e Dionisio Bossi.
La lotta del Papato contro i Visconti fu ulteriormente accentuata nel 1322, allorché Matteo, con altri membri della sua consorteria, fu scomunicato come eretico, lasciando quindi al legato papale, Bertrando del Poggetto, la possibilità di procedere con le armi contro Milano. Dodici nobili cittadini tra i quali il G., "più temendo la divina sententia che la indignatione dil suo signore" (Corio, p. 674), ottennero di essere ricevuti dal cardinale legato. Essi erano stati probabilmente nominati dal Consiglio della città per trattare la possibilità di allontanare il grave pericolo che incombeva su di essi e per sapere come sottrarsi "ab obedientia" del Visconti; lo stesso Matteo non si era mostrato, stando al Corio, ostile a questa iniziativa e aveva anzi riposto molte speranze nella capacità di mediazione dei prescelti. Un primo incontro con i rappresentati pontifici ebbe luogo a Valenza il 10 maggio; in tale occasione il cardinale legato fece un discorso in cui sostanzialmente si richiedeva la deposizione di Matteo, che aveva resistito grazie all'appoggio datogli dalla cittadinanza, la sua sottomissione al pontefice e il ristabilimento degli ordinamenti cittadini, concludendo inoltre: "voi haverete tutto quello premio che saperete richiedere, remanendo come cari e veri figlioli di Santa Chiesia" (ibid., p. 676). Il messaggio non era privo di un implicito ricatto: abbandonare il Visconti avrebbe portato pace, onori e premi, ma avrebbe anche provocato la spaccatura del fronte ghibellino facilitando la vittoria guelfa.
Un resoconto dell'intera vicenda è fornito ancora una volta dal Corio che ricorda come "Francescho Garbagnato, già fatto intrinseco nemico dil Vesconte per non havergli voluto concedere il capitaniato generale de la militia" (ibid., p. 676) sostenne in modo deciso di non parteggiare più per il Visconti, e di impegnarsi a fondo per il suo allontanamento dal potere. Ottenuta una proroga, gli ambasciatori milanesi rientrarono in città e comunicarono con fermezza la loro decisione al Visconti, che, ormai avanti negli anni, decise poco tempo dopo di lasciare il governo al figlio Galeazzo.
Gli avvenimenti di quei giorni provocarono un instabile clima politico a Milano: con la medesima tenacia con cui aveva prima difeso e aiutato il suo signore, il G. osteggiò il giovane Galeazzo che egli aveva educato nell'arte militare, riuscendo a farlo allontanare da Milano (18 novembre), alleandosi nel contempo con Simone Crivelli e con Lodrisio Visconti, figlio di Uberto e cugino di Galeazzo, che i Dodici avevano collocato al potere. Dopo aver proposto a Lodrisio di assediare Monza, roccaforte dei guelfi milanesi, il G. partecipò alla dura azione di conquista e di saccheggio compiuta dagli stipendiari tedeschi con i quali avevano effettuato l'azione di forza. Successivamente però Lodrisio Visconti si riavvicinò a Galeazzo, richiamato in città il 29 dicembre; schieratosi ormai apertamente con la fazione guelfa, il G. fu collocato dal legato pontificio, sempre insieme con il Crivelli, a capo di un esercito di 12.000 fanti e di 4000 cavalli ricevendo l'ordine di procedere contro Milano, colpevole di aver ricevuto con onori Galeazzo: "non altramente che a ribelli di Sancta Chiesia" (ibid., p. 687).
Il 26 febbr. 1323 i due furono tra i primi a oltrepassare il guado di Bavia, sull'Adda presso il borgo di Trezzo, per congiungersi con le truppe angioine capitanate da Raimondo Cardona. Marco Visconti custodiva però i passi del fiume e sorprese il nemico: la battaglia che ne seguì, pur favorevole ai guelfi, vide la morte del G. e del Crivelli: fatti prigionieri dai soldati del Visconti, vennero uccisi dallo stesso Marco, che - dice ancora il Corio - incrudelì furiosamente sui loro corpi. Il G. fu poi sepolto nella chiesa di S. Giovanni a Monza.
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