FRANCESCO da Rimini
Non sono molte le notizie documentarie che ci sono pervenute su questo artista, di origine riminese, attivo nel XIV secolo. Il suo nome risulta legato agli affreschi, da lui sottoscritti, nel refettorio della chiesa di S. Francesco a Bologna. Una firma analoga, che ne sottolineava l'origine riminese, si trovava, secondo quanto riporta Zampetti (1988), anche su un Crocifisso conservato fino all'inizio degli anni Cinquanta, presso il convento delle monache di Sant'Agata Feltria, andato in seguito distrutto in un incendio. L'unico documento che fa esplicitamente menzione dell'artista, ricordandolo ancora in vita, è quello reso noto dal Delucca (1992), con la data del 2 genn. 1333: si tratta di un contratto relativo a un canone enfiteutico stilato, come dice il documento stesso, "…in domo Francisschi pictorum".
F. doveva comunque essere già defunto prima del 1348, dal momento che, in un rinnovo enfiteutico di una dimora posta in contrada Sant'Innocenza a Rimini, è detto che questa confinava con gli "…heredes magistri Francisschi pictoris". La sua tomba viene menzionata nel sepoltuario, redatto nel 1362, della chiesa di S. Francesco a Rimini: qui fra le varie tombe è ricordata quella "magistrorum Francisci et Zantarini pictorum de contrada Sancte Innocentie", indicando con ciò che F. era stato sepolto insieme con il fratello, Zantarino, anch'egli pittore. Come rileva il Delucca, la definizione "in domo Francisschi pictorum", riportata nel documento del 1333, sembra fare riferimento, più che a una professione individuale, a un casato dei pittori. È comunque certo che il figlio di F., Salandino, ricordato come abitante nel 1362 nella contrada di Sant'Innocenza, svolgeva invece la professione di speziale.
Dell'unica opera sicura, sulla quale è possibile oggi avviare la ricostruzione della personalità dell'artista, il ciclo di affreschi in S. Francesco, restano oggi soltanto alcuni frammenti, sopravvissuti all'incontrollata campagna di strappi avviata sull'intero ciclo all'inizio del XX secolo. Tali frammenti sono divisi tra la Pinacoteca nazionale di Bologna e la chiesa di S. Francesco, mentre una testa di Madonna, una di un Angelo e un'altra di una Maddalena, provenienti sicuramente da questo ciclo, sono rispettivamente conservati alla Walters Art Gallery di Baltimora, in una collezione privata di Bologna e al Fogg Art Museum di Cambridge (MA).
Proprio prendendo spunto dall'analisi di questo ciclo, il Salmi (1932) tentò per primo di avviare una ricognizione sulla personalità di F., di cui egli ravvisava l'intervento, seguito in questo anche dal Longhi (1973), in un gruppo abbastanza omogeneo di opere, variamente collegate a quell'anonimo artista noto come Maestro di Verrucchio. Il riferimento fra l'altro della tavoletta con la Maddalena e santi (Perugia, Galleria nazionale), ritenuta antecedente al ciclo di Bologna, faceva orientare lo studioso per una datazione tardiva degli affreschi bolognesi, da lui collocati non prima del 1340-48. Il Corbara (1984) ha proposto di anticipare tale cronologia, richiamando l'attenzione su un documento, reso noto dal Supino (1932), nel quale alla data 1312 si faceva menzione di pagamenti che due pittori, Andrea e Franceschino, avrebbero ricevuto per la decorazione della cappella maggiore in S. Francesco a Bologna (oggi perduti tranne un piccolo lacerto con un s. Lorenzo, forse da riferire al non meglio conosciuto Andrea). La possibile identificazione di F. con il "Franceschinus" citato nei documenti ha indotto quindi a retrodatare l'esecuzione degli affreschi bolognesi intorno al 1320, secondo quanto ha proposto lo stesso Corbara, seguito dal Benati (1986) e dal Boskovits (1988, 1993). È quanto sembra anche suggerire il rapporto a più riprese sottolineato con gli affreschi del coro di S. Agostino a Rimini, con il cui autore, qui attivo intorno al 1318, è stato talvolta identificato. Non vi è dubbio che l'anticipazione proposta dal Corbara per gli affreschi di Bologna abbia portato ad accreditare a questa personalità una valutazione più alta, che lo ha posto a fianco dei più importanti e precoci interpreti della tradizione pittorica riminese. Lo proverebbe, sempre secondo il Corbara, anche la quasi totale indipendenza iconografica ravvisata negli affreschi bolognesi nei confronti del ciclo assisiate di Giotto: F. sarebbe venuto ad elaborare un progetto figurativo volto, sulla scorta dei testi scritti, a identificare "la figura mistica di Francesco quale alter Christus"; tuttavia non è escluso che si sia valso per questo, come suggerisce il Volpe (1965), di perduti esempi riminesi dello stesso Giotto. L'affresco bolognese originariamente era composto da nove scene poste su tre registri, di cui quelle dipinte nella fascia centrale erano a carattere cristologico (Risurrezione, Crocifissione, Ascensione e forse Assunzione), mentre quelle nelle fasce laterali riguardavano fatti della vita del santo. Certo, come è stato notato, a livello stilistico il ciclo rivela, nel suo greve e massiccio giottismo venato da un umore sempre espressivo, forti differenze rispetto alle altre opere che dal Salmi in poi si è ritenuto di avvicinare, malgrado le riserve espresse dallo Zeri (1958) e dal Benati (1986, 1994), alla mano di Francesco.
A lui il Boskovits (1988, 1993), seguito in questo dal Bellosi (1994), ha proposto di annettere i gruppi stilistici sia del Maestro di Verrucchio che gli altri legati ai nomi del Maestro del Trittico Fesch, del Maestro della Madonna Cini e del Maestro della Beata Chiara, a suo tempo individuati dal Volpe (1965). Ciò nell'intento di meglio definire il percorso stilistico di F., i cui inizi resterebbero comunque legati, secondo quanto suggerisce il Boskovits, al suo intervento bolognese, a seguito del quale l'artista sarebbe venuto ad assimilare caratteri più marcatamente gotici, esibiti in opere come la Crocifissione della Galleria nazionale di Urbino e l'altra del Musée des beaux arts di Strasburgo. Pur tenendo conto della diversa cronologia e della differente tecnica esecutiva, la connessione tra gli affreschi di Bologna e il gruppo di tavolette riferite a F. appare tutt'altro che scontata, dal momento che il linguaggio di queste si presenta costantemente caratterizzato da un atteggiamento di studiata eleganza, non riscontrabile invece nel ciclo francescano. E questo anche nelle opere presumibilmente più antiche come dimostra ad esempio la tavoletta forse di dittico con il Cristo deriso e l'Andata al Calvario (Venezia, Fondazione Cini), riconfermata a F. anche dal Marchi (1995). Lo stesso si dica per le altre due tavolette compagne con la Crocifissione (Urbino, Galleria nazionale) e la Natività e Adorazione dei magi (Birmingham, Barber Institute), contrassegnate da un linguaggio più gotico, in linea, si direbbe, sia con le esperienze di Pietro da Rimini sia con quelle bolognesi. Una provenienza da Bologna è del resto attestata per le due tavolette divise oggi tra la Kunsthaus di Zurigo e la Galleria nazionale dell'Umbria di Perugia (si trovavano infatti nel convento dell'Osservanza di questa città), per le quali la critica si è espressa quasi unanimemente a favore di una attribuzione a F., malgrado i pareri contrari dello Zeri (1976) e del Benati (1986).
Più convincente risulta invece il raffronto tra gli affreschi bolognesi di F. e quelli frammentari con Storie francescane, la Pentecoste e la Missione degli apostoli, già nel refettorio della chiesa di S. Francesco a Ferrara (oggi alla Pinacoteca nazionale della stessa città) che il Corbara (1969) riteneva autografi del pittore, seguito dallo Zeri (1976). Qualche ricordo degli affreschi bolognesi lo si può poi cogliere in alcune tavolette (divise tra la National Gallery di Washington e il Coral Gables di Miami, Lowe Art Gallery), appartenute a un disperso altare dedicato alla beata Chiara già a Rimini, che con la possibile datazione successiva di poco al 1326, sono state considerate tra le opere iniziali del già citato Maestro di Verrucchio (una versione di poco successiva di questo altare, attribuita allo stesso maestro, si trova al Musée Fesch di Ajaccio).
Allo stile di quest'ultimo sembra doversi ricondurre il frammento di timpano con l'Orazione nell'orto, già in S. Guglielmo ora a Casa Romei a Ferrara, annesso dal Corbara (1984) al catalogo di F., come ha proposto di recente anche il Marchi (1995). Del tutto inattendibile appare invece il tentativo del Pasini (1990) di riferire a F. il dossale con la Madonna ed il Bambino e storie della vita del Battista, da ritenere eseguito da una diversa personalità non identificabile comunque con Giovanni Baronzio.
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