ZAMBRINI, Francesco Davide Maria
ZAMBRINI, Francesco Davide Maria. – Nacque a Faenza, di famiglia borghese, il 25 gennaio 1810, da Pellegrina Maccolini e da Antonio, farmacista.
A dodici anni fu avviato agli studi nel collegio di Ravenna, sotto la direzione di Pellegrino Farini, esponente di spicco del classicismo romagnolo, per passare a Imola alla scuola di Giuseppe Alberghetti. Nel 1829 si trasferì presso l’ateneo bolognese per compiervi gli studi legali, che però non portò mai a termine per essere stato coinvolto nei moti del 1831. A seguito di quei disordini nel maggio dello stesso anno fu incarcerato e poi esiliato. Fece quindi rientro a Faenza, dove l’anno seguente sposò Amalia Callegari. Dal loro matrimonio nacquero quattordici figli, undici dei quali gli sopravvissero (cinque femmine e sei maschi). Tre di loro emigrarono in America, uno solo, Antonio, raggiunse una posizione rilevante, divenendo medico chirurgo.
Nella città romagnola Zambrini mosse i primi passi come studioso, applicandosi con strenua disciplina agli studi linguistici, filologici, bibliografici ed eruditi, facendo proprio il principio purista del ritorno all’aureo Trecento. Durante gli anni della reazione sanfedista venne maturando la convinzione che la migliore opposizione allo stato desolante in cui versava la città romagnola fosse la scelta di ritirarsi a vita privata e solitaria, dedicandosi integralmente agli studi letterari e all’edizione degli antichi testi. Un primo passo in tale direzione fu rappresentato dalla raccolta di Rime antiche di autori faentini finora pubblicate nelle diverse raccolte d’antichi poeti italiani, pubblicata presso Montanari e Marabini, nel 1836. L’indirizzo metodologico che caratterizzò sin dall’origine la sua adesione al programma classicista fu perdente rispetto alle istanze romantiche.
A Faenza Zambrini intraprese l’attività di giornalista letterario scrivendo per L’Imparziale (esperienza proseguita prima a Imola, negli anni 1845 e 1846, grazie alla collaborazione con il periodico letterario fondato da Antonio Vesi e poi a Bologna, con la fondazione del mensile L’Eccitamento insieme ad Antonio Bertoloni e Luca Vivarelli).
«Seppure catafratto nei confronti delle rivoluzionarie esperienze della contemporanea filologia europea e specialmente tedesca, il panorama è tuttavia destinato a mutare sensibilmente a partire dagli anni Quaranta, quando si viene poco alla volta consolidando una prassi ecdotica, bensì empirica, ma più attenta e scrupolosa, interessata a vagliare, a confrontare, a discutere le specifiche operazioni, per ricavarne, almeno, le più elementari e comuni norme procedurali» (Cremante, 1989, p. 22), cui Zambrini non parve disattendere, reso in ciò avvertito dalla coeva filologia toscana e consapevole dei problemi che stanno di fronte all’editore di testi antichi (come appare dalla sua prefazione all’edizione della Cronichetta dei Malatesti scritta nel sec. XIV da Anonimo Riminese, stampata a Faenza da Conti, nel 1846). Le numerose edizioni di Zambrini si segnalano per l’attenzione della trascrizione, ancorché, non infrequentemente, affidata a copisti di fiducia, per lo scrupoloso rispetto della patina linguistica dei testimoni, per le note linguistiche sobrie e per il glossario in cui venivano registrate le voci mancanti nel Vocabolario della Crusca.
La fitta trama delle relazioni con altri studiosi, durante gli anni Trenta e Quaranta dell’Ottocento, è documentata dai numerosi carteggi conservati presso la Biblioteca comunale Manfrediana di Faenza. Gli anni faentini furono importanti sia dal punto di vista familiare sia da quello professionale: numerosi furono gli incarichi pubblici, amministrativi e culturali che gli furono affidati tra gli anni Quaranta e Cinquanta, quali quelli di segretario del consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio, di consigliere comunale, di capitano della guardia civica, di cassiere della Società filodrammatica, di consigliere di amministrazione dell’Asilo d’infanzia, di deputato ai Pubblici Spettacoli, alla Pubblica Istruzione e alle ispezioni delle biblioteche e degli archivi pubblici e religiosi. Esperienze che, accanto alla sua preparazione filologica, furono determinanti allorché nel 1860 fu incaricato della presidenza della Commissione per i testi di lingua di Bologna dal dittatore delle Provincie dell’Emilia, Luigi Carlo Farini, con cui intratteneva rapporti almeno dal 1840. Non deve essere trascurato il fatto che tanto il padre di Farini quanto il suo svolgevano la professione di farmacista, il primo a Russi, il secondo a Faenza.
Nel febbraio del 1854 ragioni di ordine privato e preoccupazioni per il futuro della prole lo spinsero ad abbandonare Faenza e a trasferirsi con la famiglia a Bologna, stabilendosi, nel giugno del 1855, in una villetta di Vallescura, dove poté mantenere una certa distanza dalla città e preservare l’isolamento congeniale allo svolgimento degli studi, estraneo e diffidente nei confronti del governo pontificio, da cui ottenne la cittadinanza bolognese soltanto alla fine del 1858. A partire dall’Unità d’Italia e per un quarto di secolo fu capace di dispiegare un’attività eccezionalmente feconda e di respiro non locale. Nel 1866 pubblicò con incrementi sostanziosi la terza edizione di quella che è considerata l’opera di maggiore rilievo della sua pur vastissima produzione editoriale, Le Opere volgari dei secoli XIII e XIV (la prima edizione del catalogo aveva visto la luce a Bologna nel 1857).
La stagione bolognese s’identifica quasi integralmente con le iniziative promosse dalla Commissione per i testi di lingua nelle Provincie dell’Emilia, istituita sotto la presidenza di Farini con decreto del 16 marzo 1860, che Zambrini resse fino alla morte, affiancando, grazie alla collaborazione con l’editore Gaetano Romagnoli, alla Collezione di Opere inedite o rare dei primi tre secoli della lingua, inaugurata nel 1861, la collana minore della Scelta di curiosità letterarie, avviata nel 1862 (entrambe ancora in vita).
All’inizio dell’Ottocento l’influenza francesizzante sulla lingua aveva rinfocolato la non mai sopita ‘questione della lingua’, che dal secondo decennio del XIX secolo si intrecciava con la polemica sul romanticismo, con i classicisti che propendevano per il modello linguistico rappresentato dagli autori del Trecento. Con Alessandro Manzoni la propensione dei romantici per la lingua parlata divenne teoria, indicando nel fiorentino parlato dalle persone colte il modello cui tendere. Accanto a questi dibattiti vi era la preoccupazione concreta delle autorità per la persistente pressione francesizzante, per un diffuso ibridismo gergale del linguaggio amministrativo e burocratico, per la sciattezza linguistica delle scritture pratiche, che convinse Antonio Montanari, ministro della Pubblica Istruzione, in accordo con Farini, a istituire la commissione con lo scopo di pubblicare in forma corretta gli antichi testi di lingua, raggiungendo due fini indicati nella proposta governativa: mantenere «l’indole e la purità primigenie» della lingua, alimentare l’amor di patria attraverso lo studio della lingua nazionale (Atti del Governo dell’Emilia. Raccolta officiale delle Leggi e Decreti pubblicati dal Governatore delle Provincie dell’Emilia, Modena 1860, pp. 126-128).
Alla commissione fu assegnata una cifra annua di lire 3000 e Zambrini venne coadiuvato da un primo nucleo di undici soci. Sotto la sua guida la commissione acquistò rapidamente un prestigio nazionale e divenne un’istituzione con numerose incombenze e con prestigiosi soci provenienti da ogni parte d’Italia e poi d’Europa, che contribuirono, questi ultimi, a favorirne la notorietà al di fuori dei confini nazionali.
Nel 1867 scrivendo ai soci della commissione Zambrini propose di dare vita a un giornale di filologia, sostenuto dal governo e dal concorso degli abbonati, cui intese dare il titolo di Il Propugnatore, nonostante alcuni soci ne preferissero un altro. Il nuovo periodico apparve alle stampe per la prima volta il 28 giugno 1868 e fu il primo giornale italiano ad avere un programma esclusivamente di ambito filologico. Tale iniziativa editoriale, che fu il primo e per un quindicennio l’unico periodico dedicato agli studi di lingua e letteratura italiana, è stata definita «l’impresa forse più significativa di Francesco Zambrini», rappresentando «uno dei capisaldi dell’erudizione italiana anteriore ai fasti del “metodo storico”» (Pasquini, 1989, p. 117). Della commissione Zambrini fu presidente per oltre cinque lustri.
Nel corso del 1876 cominciò a comporre un’autobiografia (Memorie sulla mia vita) che proseguì sino agli ultimi giorni di maggio del 1887. La genesi del testo va rintracciata nelle accuse che gli erano state mosse, principalmente, da Enrico Panzacchi, Giovanni Gozzadini e Prospero Viani. La polemica aveva seguito l’introduzione, premessa all’edizione della Defensione delle donne di anonimo autore del sec. XV, in cui il letterato faentino esprimeva il proprio disappunto nei confronti delle istituzioni scolastiche femminili.
L’esperienza esistenziale e quella culturale di Zambrini furono caratterizzate da una condizione complessiva di solitudine e d’isolamento, accentuata dal volontario ‘esilio’ di Vallescura, quasi una sorta di segregazione che negli ultimi anni della sua vita era divenuta pressoché assoluta, connotata da un’ostinata estraneità e incompatibilità al proprio tempo, manifestata in maniera eclatante dallo stile della sua prosa e dall’opzione per un arcaismo linguistico, che contrassegnò costantemente la sua indagine filologica.
La marginalità rispetto agli ambienti accademici, l’opposizione nei confronti della stampa liberale e democratica, la sponda di parte clericale e reazionaria, che ne celebrò maggiormente la figura di perfetto cattolico che quella del filologo letterato, furono alla base del silenzio che seguì alla sua morte, avvenuta a Bologna il 9 luglio 1887, all’età di settantasette anni.
Per queste ragioni non appare sorprendente che la cultura ufficiale non abbia riservato che un’attenzione fuggevole e marginale alla sua esperienza culturale, ai debiti che la scuola carducciana e persino la nuova filologia contrassero nei confronti della sua attività. Una sfortuna critica quella che connota la memoria dello studioso faentino, da considerarsi senza dubbio come uno dei protagonisti della filologia italiana ottocentesca.
Fonti e Bibl.: Francesco Zambrini ci ha lasciato una vastissima produzione di edizioni di testi di lingua, di opere di erudizione e di bibliografia, ma anche un consistente patrimonio documentario conservato a Bologna e a Faenza, in gran parte inedito. Il fondo archivistico di Zambrini costituito da circa 10.000 carte, distribuite principalmente nelle serie Lettere personali e Materiale a stampa, venne acquisito dalla Commissione per i testi di lingua intorno agli anni Trenta del Novecento dal nipote Renato, figlio di Francesco Saverio Zambrini, che si preoccupò insieme a Emilio Lovarini, segretario della commissione, di trasferirlo a Bologna presso Casa Carducci, per essere conservato accanto all’Archivio della commissione. A Faenza, presso la Biblioteca comunale Manfrediana, si conservano, inoltre, diversi manoscritti di pregio come un inedito volume che raccoglie le recensioni uscite a stampa, che avevano commentato la sua attività scientifica ed editoriale nel periodo compreso tra il 1842 e il 1858, oltre a quattro volumi manoscritti che raccolgono le lettere che gli furono inviate da uomini tra il 1836 e il 1855. Cfr. Faenza, Biblioteca comunale Manfrediana, Sezione Manoscritti, Carteggi personali, Francesco Zambrini; Bologna, Casa Carducci, Fondo Francesco Zambrini; Archivio della Commissione per i testi di lingua.
Defensione delle donne d’autore anonimo, scrittura inedita del sec. XV, ora pubblicata a cura di F. Z., Bologna 1876; F. Zambrini, Indice delle pubblicazioni sin qui fatte da F. Z., Imola 1883; L. Frati, Necrologio di F. Z., in Giornale storico della letteratura italiana, LXIII (1888), pp. 310-314; T. Casini, Ricordo di F. Z., in Fanfulla della domenica, 17 luglio 1927; F.S. Zambrini, Rievocando F. Z., in L’Avvenire d’Italia, 18 gennaio 1927; G. Contini, «Serto di olezzanti fiori», in Id., Altri esercizi, Torino 1978, pp. 25-29 (pubblicato originariamente sulla Nazione di Firenze, il 20 marzo 1962); C. Dionisotti, Scuola storica, in Dizionario critico della letteratura italiana, Torino 1986, pp. 138-148; E. Golfieri, Origine e sviluppi storici e stilistici del classicismo romagnolo, in Manfrediana, 1986, n. 21, pp. 3-13; Convegno di studi in onore di F. Z. Nel centenario della morte. Atti... 1987, Faenza 1989 (in partic. R. Cremante, F. Z. da Faenza, pp. 9-32; M.E. Francia - E. Melli, F. Z. e la commissione per i testi di lingua, pp. 33-90; E. Pasquini, Storia e caratteri del «Propugnatore», pp. 117-140); B. Bentivogli, F. Z. e i carteggi ottocenteschi nell’archivio della Commissione per i testi di lingua, in Percorsi di carta. I luoghi dei libri e dei documenti dalle accademie ai computer, a cura di A. Varni, Bologna 1995, pp. 163-166; E. Marchetti, Per l’edizione del carteggio Z.-Imbriani (1870-1886), in Il Carrobbio, XXI (1995), pp. 239-245; A. Mastroianni - L. Gasperini, L’album fotografico di F. Z., ibid., pp. 247-290; M. Marangoni, La corrispondenza tra F. Z. e A. Weselovskj, ibid., XXII (1996), pp. 177-189; S. Rizzardi, Un «resuscitatore delle parole estinte e storico delle parole viventi»: Ernesto Monaci e il suo carteggio con F. Z., ibid., pp. 191-209; E. Travi, Manzoni e la Commissione dei testi di lingua, ibid., XXIII (1997), pp. 187-196; F. Zambrini, Memorie sulla mia vita, a cura di A. Antonelli - R. Pedrini, premessa di E. Pasquini, Bologna 1999; A. Antonelli - R. Pedrini, Le Memorie sulla mia vita di F. Z. e l’Archivio della Commissione per i testi di lingua: vicende ed aneddoti tra carte ‘segrete e carte ‘ufficiali’, in Il Carrobbio, XXVI (2000), pp. 195-204; Archivio della Commissione per i testi di lingua in Bologna (1841-1974), inventario e indici a cura di A. Antonelli - R. Pedrini, con premessa di E. Pasquini e saggio storico di M. Veglia, Bologna 2002; A. Antonelli - R. Pedrini, F. Z. nel bicentenario della nascita, in Torricelliana, 2010-2011, n. 61-62, pp. 142-152.