FICORONI, Francesco de'
Collezionista e studioso di antichità. Nato a Lugnano Valmontone (cittadina del Lazio) nel 1664, dedicò molta parte della sua vita allo studio delle antichità etrusche e romane e alla raccolta di un'imponente collezione, in prevalenza formata di oggetti antichi di piccole dimensioni (specchi incisi, monete, piombi, bulle) che andò dispersa subito dopo la sua morte, avvenuta a Roma il 1° febbraio del 1747.
Fu socio dell'Accademia Reale di Parigi e di Londra, dell'Accademia Peloritana di Messina, promotore generale e fondatore della Colonia Esquilina degli Inculti col nome di Acamato. Le sue opere scientifiche furono volte specialmente allo studio delle antichità della sua collezione (Le Bolle d'oro, Roma 1732; Dei tali ed altri strumenti lusori degli antichi, Roma 1734; Le maschere sceniche e le figure comiche degli antichi romani, Roma 1736; I piombi antichi, Roma 1740) e allo studio della topografia sia romana (Le vestigia e rarità di Roma ricercate e spiegate, Roma 1744) sia della località natale, che identificò con l'antica Labico. Il ricordo di F., più che alla sua attività scientifica, è legato alla collezione che raccolse, e in particolar modo al pezzo più bello, alla cista bronzea che da lui prese il nome.
Cista Ficoroni. - Originariamente compresa nella collezione F., fu donata dallo stesso proprietario nonostante le ricche offerte dell'inglese Frederic (ed è interessante leggere la commossa descrizione del donativo, scritta dallo stesso F.) al Museo Kircheriano del Collegio Romano; da qui passò in seguito al Museo Nazionale di Villa Giulia dove si trova ancor oggi . Scoperta nel 1738 a Preneste insieme ad uno specchio (definito erroneamente patera dal F.) con la rappresentazione del pugilato tra Amykos e Polydeukes (= Polluce), cioè del momento che immediatamente precede, nel mito, la scena rappresentata sulla cista, è la più bella e la più grande (altezza totale m 0,74; diametro m 0,35) delle ciste di forma cilindrica. Come si apprende dall'iscrizione incisa sulla base del manico, che sormonta il coperchio, si tratta di un'opera eseguita a Roma, come regalo di una certa Dindia Macolnia alla propria figliola; e l'autore è Novios Plautius (v.). Le parti applicate sono il manico al di sopra del coperchio, formato dal gruppo a tutto tondo di Dioniso - di tipo giovanile - appoggiato a due satiri, e pieducci, decorati a rilievo con un gruppo di Eracle, Iolaos ed Eros. Sul coperchio si svolge a rilievo una caccia al cinghiale e al cervo; sul corpo della cista, limitata tra due fregi di palmette composite di un tipo caratteristico della fine del IV sec. a. C., è raffigurata a leggera incisione la scena della punizione di Amykos (v. vol. i, fig. 476), che appare legato all'albero di alloro (come specificano le fonti ellenistiche riprese anche da Plinio). Il vero centro della composizione però è occupato dalla figura di Atena stante, che regge una lunga lancia. Intorno a lei si dispone il gruppo di Amykos e dei due Dioscuri; ai due lati sono raffigurati gli Argonauti (l'indentificazione di ciascuno di essi di volta in volta proposta, è sempre probabile e discutibile), la nave della spedizione, la fontana - causa del pugilato di Polydeukes col re dei Bebrici - presso la quale siede un corpulento sileno. La scena è ambientata in un paesaggio roccioso. La datazione della cista è sicura; per tipologia, disegno delle palmette, particolare tipo di guanti pugilistici che appare per la prima volta su anfore panatenaiche del 336-5, la cista è databile alla fine del IV sec. (o forse primi anni del III). Discussa è invece la datazione dell'originale pittorico da cui la raffigurazione di Novios Plautius deriva (dato che una scena così complessa non è certo creazione dell'autore della cista). Sono state avanzate varie proposte: di riconoscervi una copia diretta del dipinto degli Argonauti di Mikon, nel tempio dei Dioscuri - l'Anakeion - ad Atene, menzionato da Pausania (i, 18, 1) (Behn, Howe; quest'ultimo stabilisce un'affinità di contenuto col carattere delle composizioni di Mikon, che sempre raffigura il momento culminante dell'azione; la scena della cista seguirebbe la versione del dramma satiresco di Sofocle, e ciò si dedurrebbe dalla presenza, non strettamente necessaria, del sileno); oppure una composizione indirettamente derivata da motivi polignotei (Marchese); o anche (Ducati, Rumpf) una derivazione, più o meno diretta dal dipinto di Kydias di Kythnos, scolaro di Euphranor (Plin., Nat. hist., xxxv, 130); o una derivazione da un originale di un ignoto artista di valore, da porsi tra Zeuxis e Nikias (Fiehl, Albizzati, Speier, Mansuelli).
Nell'esame della raffigurazione sulla cista si nota che vanno tenuti distinti schema iconografico ed esecuzione stilistica: la composizione infatti risale certamente a una opera pittorica della metà del V sec. a. C. (si veda la kàlpis di Parigi del 440, simile nella distribuzione delle figure), attribuibile all'ambiente di Polignoto - probabilmente a Mikon - e certamente non è estraneo l'influsso del dramma sofocleo. Lo stile invece denota gran parte delle conquiste raggiunte dalle scuole pittoriche del IV sec.: la posizione dei personaggi non ha nulla in comune con quella polignotea; qui una più intensa ricerca di spazialità è ottenuta con l'abbondanza degli scorci (si vedano specialmente le anfore) e con lo stabilire equilibratissimi rapporti tra i vari gruppi e tra i vari componenti di ogni gruppo; il disegno dei corpi è corretto e sciolto; i particolari interni sono resi a tratteggio minuto, che è la traduzione grafica della resa del chiaroscuro; va notato inoltre che la figura di Atena è simile all'Artemisia del Mausoleo (Speier), e che la testa di Amykos ricorda la testa in bronzo da Olimpia ritenuta ritratto del pugilatore Satyros. L'archetipo pittorico dal quale ha derivato l'autore della cista F. si deve dunque porre nella seconda metà dei IV sec., forse molto vicino alla produzione di Euphranor; tale opera però non doveva essere una creazione del tutto nuova, ma si richiamava compositivamente a un'opera pittorica famosa della metà del V sec. a. C.
Bibl.: F. Behn, Die Ficoronische Cista, Rostock 1907; A. Della Seta, in Boll. d'Arte, 1909; id., Museo di Villa Giulia, Roma 1918, p. 481 ss.; E. Fiehl, Die Ficoronische Cista und Polygnot, Tubinga 1913; C. Albizzati, in Mél. Arch. Hist., XXXVII, 1918-19, p. 170, nota 3; E. Loewy, Polygnot, Vienna 1929, p. 36; H. Speier, in Röm. Mitt., XLVII, 1932, p. 80, nota i; G. Q. Giglioli, L'Arte Etrusca, Milano 1935, p. 52 con bibl. prec.; L. Marchese, in St. Etr., XVIII, 1944, p. 45 ss.; J. D. Beazley, in Journ. Hell. Stud., LXIX, 1949, p. 2; G. A. Mansuelli, in St. Etr., XX, 1950, p. 401 ss.; A. Rumpf, Mal. u. Zeichn. (Handbuch), Monaco 1953, p. 129; T. Ph. Howe, in Am. Journ. Arch., LXI, 1957, p. 341 ss.