DE FRANCESCHI, Francesco (Francesco Senese, Senese)
Nacque a Siena, probabilmente intorno al 1530. Sulle sue origini e la sua giovinezza non si sa praticamente nulla. Circa i suoi ascendenti non si può affermare, ad esempio, che Nicolò di Giovanni Franceschi, capitano e gonfaloniere di Siena dal 1° novembre al 31 dic. 1531, sia stato un suo parente. Il Benvoglienti riporta una notizia del Cinelli che pone un Francesco Franceschi tra gli scrittori senesi: non si può escludere che si riferisca a lui, anche se non c'è traccia di una sua attività letteraria.
Il D. fu tipografo ed editore a Venezia negli ultimi quaranta anni del Cinquecento. In quel periodo la città lagunare, nonostante i primi segni di declino, era ancora una delle capitali europee del libro ed attirava numerosi tipografi da altre città. Da Siena oltre al D. si trasferì a Venezia anche Giovan Battista Ciotti, che lavorò per lui e per i Giunta. Non sappiamo quando il D. lasciò la sua città natale per stabilirsi sulla laguna. Possiamo però affermare che rimase molto legato a Siena, tenendo sempre a sottolineare le sue origini nelle sottoscrizioni dei libri da lui stampati o editi, nelle quali faceva seguire l'aggettivo "Senese" al suo nome, talvolta firmando semplicemente "Francesco Senese" (probabilmente anche per distinguersi da un omonimo tipografo "padovano").
L'attività dovette iniziare alla fine degli anni Cinquanta, anche se la prima edizione datata che si conosca è del 1561: De propositione inhaerente aliter, quam alii antea senserint explicatio di Remigio Migliorati, pubblicata insieme a De demonstrationis medio termine e De putredine disputatio dello stesso autore. Se si eccettuano i libri da lui stampati, non sono molti i documenti riguardanti il D. e la sua attività veneziana, che siano stati finora rintracciati. Uno dei pochi riguarda il "Capitolo de librai & stampatori", sottoscritto, tra gli altri, anche dal D. in qualità di "compagno alla banca" il 27 apr. 1572.
Lo troviamo nominato in qualche occasione nelle lettere dei Manuzio. Ma le notizie che se ne ricavano sono scarse e frammentarie. Paolo loda la sua correttezza nella vendita dei prodotti e lo descrive come un pagatore sicuro, ma lento. Inoltre siamo informati di una promessa del D. di stampare il suo commento alle Epistulae ad Atticum di Cicerone destinata a non essere mantenuta a causa degli indugi del Senese. Uguale sorte avrà il commento dello stesso Paolo alle Epistulae ad familiares. In una lettera ad Aldo il giovane Ercole Ciofani si lamenta poi delle condizioni fattegli dal D. per la stampa di un suo commento alle Metamorfosi d'Ovidio. Il Ciofani avrebbe dovuto dare un contributo di venti scudi, ricevendone in cambio cento copie dell'edizione. Questi mandò a monte la pubblicazione, che si realizzerà poi grazie proprio ai Manuzio.
Più organico è invece il profilo che si ricava dall'esame della produzione tipografica del De Franceschi. Esponente di maggior spicco di una famiglia che vantò numerose aziende, con ramificazioni in varie parti d'Italia, la sua attività merita certamente un posto di rilievo nel panorama editoriale della Venezia della seconda metà del sep. XVI. La sua azienda si può senz'altro includere tra le numerose di dimensioni medio-grandi, attive in quel periodo nella città. Se analizziamo quello che è giunto fino a noi della sua attività di tipografo, ci rendiamo conto che non è difficile mettere insieme, dai cataloghi delle principali biblioteche e da altre fonti bibliografiche, almeno 220 sue edizioni (in realtà saranno state certamente molte di più) in poco meno di un quarantennio. Inoltre, nonostante la sua attività si svolga pressoché tutta in epoca postridentina, non si può dire certo che essa subisca, come altre aziende contemporanee (basti pensare ai Giolito de Ferrari) gli effetti della svolta conciliare: i libri di carattere teologico-religioso o devozionale non solo non sono affatto più numerosi di quelli di altri generi, ma non sono neppure quelli più significativi. Si può invece affermare che buona parte del sapere tecnico-scientifico del suo tempo sia rappresentato nel suo catalogo: architettura, medicina, botanica, aritmetica, geometria, arte militare, musica ecc. Le dedicatorie delle sue edizioni sottolineano più di una volta il suo interesse dichiarato per una letteratura "professionale" che fornisca buoni testi a chi è chiamato a svolgere attività specialistiche.
La più significativa è quella premessa all'edizione dell'Orlando Furioso del 1584 (per ironia della sorte un libro letterario, il più famoso di quelli pubblicati dal De Franceschi). La dedica, indirizzata ad Ippolito Agostini signore di Caldana e balì di Siena, datata Venezia, 6 maggio 1584, può essere considerata un vero e proprio programma editoriale, oltre ad essere il documento scritto più lungo del D. che ci sia pervenuto. "È cosa convenevole - egli scrive - che tutte le professioni siano accompagnate da' suoi particolari studi". Per questa ragione si è messo da alcuni anni a girare l'Italia a prezzo di vari sacrifici ("con disagio della vita, spesa della borsa, & detrimento delle cose mie"). Ed è molto tempo che si preoccupa di dare alle stampe "opere nove, di profitto, & di gusto agli studiosi". Gli sono infatti capitati per le mani "molti libri sopra varie scienze" che viene via via pubblicando. Si reputa infine fortunato per aver potuto, tornato nella sua Siena, usufruire della ricca biblioteca dell'Agostini, oltre che della sua raccolta di medaglie, quadri, disegni, strumenti musicali "e mille altre cose celebri, rare, degne di essere ciascuna per se stessa particolarmente lodata" (cc. *2r-*3r). Un vero e proprio elogio della competenza, fatto nel periodo culminante della sua attività.
Il 1584 infatti è l'anno in cui la sua produzione tocca i massimi livelli dal punto di vista quantitativo: si conoscono infatti almeno tredici edizioni del D. stampate in quell'anno. Solo nel '90 sfiorerà questi vertici (dodici edizioni), mentre i minimi saranno toccati nel '74, '77 e '78, con una sola edizione individuabile finora. Già in precedenza, del resto, nella dedicatoria a Daniele Barbaro patriarca di Aquileia, posta all'inizio del Libro primo [-quinto] d'architettura diSebastiano Serlio, uscito a Venezia nel 1566, datata 25 maggio di quell'anno, il D. aveva sottolineato in qualche modo il suo desiderio di pubblicare opere di scienza, dedicandole di volta in volta a qualche personaggio la cui competenza in materia fosse fuori discussione e che fosse pertanto abilitato "à difenderlo dalle malvagie lingue" (c. A2r).
L'architettura rappresenta uno dei settori in cui l'attività editoriale del D. opera con maggiore continuità. Basterà ricordare la stampa de L'architettura di Leon Battista Alberti nel 1565 e quella del già citato Serlio dell'anno successivo. Nel 1567, in sodalizio con l'incisore tedesco ("pomeranus") Johann Chrieger, diede in luce la doppia edizione del De architectura di Vitruvio, in latino e nella versione italiana di Daniele Barbaro, che ripubblicherà poi nel 1584. Notevoli anche la stampa della versione latina del Serlio (De architectura libriquinque) fatta da Gian Carlo Saraceno, stampata nel 1569 sempre con la collaborazione del Chrieger per quanto concerne le illustrazioni, e infine la pubblicazione, sempre nell'84, di Tutte l'opere del Serlio. Altrettanto importante è la medicina, rappresentata dalle numerose edizioni delle Osservationi nel comporre gli antidoti e medicamenti che più si costumano in Italia all'uso della medicina, del parmigiano Girolamo Calestani, opera legata alle fonti tradizionali del sapere farmacologico, con l'identificazione e la catalogazione delle droghe medicinali. La prima edizione è del 1562 (non del '64 come si afferma nel Diz. biogr. d. Italiani, XVI, sub voce Calestani, Girolamo: cfr. Catalogus librorum sedecimo saeculo impressorum, I, VI, Aureliae Aquensis 1976, p. 214).
Si trattò d'una sorta di best seller, proprio in virtù del carattere di strumento di lavoro. Fu infatti ripubblicata dal D. nel '64, nel '70, nel '75, poi ancora nell'80, nell'84 e nell'89, per un totale di sette edizioni nel giro di ventisette anni, cui si aggiunsero le due del Vincenti negli ultimi anni del secolo. Nel 1563 il D. dette alle stampe Le medicine di Giovanni Marinelli, del quale aveva pubblicato l'anno prima Gli ornamenti delle donne.L'anno successivo uscì dai suoi torchi l'Anatomicarum Gabrielis Fallopii examen di Andrea Vesalio, con una sua lettera al lettore che offre un interessante quadro dei rapporti del D. con illustri medici contemporanei, tra i quali Agostino Gadaldini, figlio del libraio modenese Antonio, che erano soliti riunirsi nella sua bottega ("in taberna mea libraria": c.+2r). Quasi contemporanea è la pubblicazione dell'Apologiae Francisci Putei pro Galeno in anatome examen di Gabriele Cuneo. Ma soprattutto andrà ricordata la ristampa del De humani corporis fabrica del Vesalio nel 1568 in collaborazione col Chrieger, che non era mai stato pubblicato prima in Italia.
Il Chrieger incise le numerosissime silografie di questa edizione, sforzandosi di imitare il più possibile quelle (disegnate dal Calcar) dell'editio princeps di Basilea (J. Oporinus, 1543), con risultati eccellenti, considerate anche le più piccole dimensioni che il D. volle dare al volume, come si apprende dalla dedica ad Antonio Montecatini, dottore nel Ginnasio ferrarese (18 genn. 1568).
Andranno menzionate le due edizioni del De medicina Aegyptiorum libri quattuor di Prospero Alpino (1590 e 1591) e il De morbis veneficis ac veneficiis libri quattuor di Giovan Battista Codronchi (1595). Negli altri settori del sapere tecnico-scientifico sono certamente da ricordare il De plantis Aegypti liber, sempre dell'Alpino (1592), gli Arithmeticorum libri duo e gli Opuscola mathematica di Francesco Maurolico (1575), Della proportione, et proportionalità communi passioni del quanto libri tre di Silvio Belli, Del modo di misurare le distantie, le superficie, i corpi, le piante, le provincie, le prospettive di Cosimo Bartoli (due edizioni: 1564 e 1589), De l'arithmetica universale di Giuseppe Unicorni (1598), Librorum ad scientiam de natura attinentium pars prima-secunda di Francesco Piccolomini (1596) e le due edizioni delle Institutioni harmoniche di Giuseppe Zarlino (1562 e 1573). A conclusione della sua attività quarantennale il D. fu infine editore dell'opera di Ulisse Aldrovandi Ornithologiae hoc est de avibus historiae libri XII che fece stampare a Bologna da Giovan Battista Bellagamba nel 1599.
Decisamente meno consistente il numero di opere letterarie stampate o edite dal De Franceschi. La più famosa rimane senz'altro l'edizione dell'Orlando furioso adornato di figure di rame da Girolamo Porro (1584), già citata, con cinquantuno splendide incisioni una per ciascuno dei canti, a proposito della quale il Ridolfi ha dimostrato che le figure XXXIII e XXXIV sono uguali a causa di uno sbaglio del tipografo (che avrebbe scambiato la tavola XXVIII con la XXXIIII, accorgendosene quando ormai gli esemplari erano già stampati) e non per una sostituzione dovuta ad un intervento della censura, come ritenuto in precedenza da altri studiosi.
Sono comunque numerose le edizioni in volgare, circa la metà della produzione del De Franceschi. Tra queste non poche sono le traduzioni sia di classici sia di autori contemporanei. Ricorderemo la Geografia di Strabone, tradotta da Alfonso Bonaccioli, della quale il D. stampò solo la prima parte nel 1562, mentre la seconda uscì a Ferrara dai torchi di Valente Panizza tre anni dopo; le almeno cinque edizioni delle Metamorfosi di Ovidio, tradotte in ottave da Giovanni Andrea dell'Anguillara; la già citata Architettura di L. B. Alberti, nella traduzione di C. Bartoli, il Vitruvio, tradotto da D. Barbaro (anche questo stampato due volte, nel 1567 e nell'84); la Retorica d'Aristotele, tradotta dal concittadino del D., A. Piccolomini (1571) e le Opere di Oronce Finé tradotte ancora dal Bartoli e da Ercole Bottrigari (1587).
Anche da questo si ricava, in ultima analisi, il quadro di un'azienda tipografico-editoriale inserita pienamente nell'ambiente culturale del suo tempo, specialmente quello veneziano, ma con ottimi legami ancora con i circoli senesi, con un indirizzo di diffusione della cultura, non solo ai più alti livelli, ma anche e soprattutto in direzione del ceto intellettuale intermedio, quello appunto che si avvaleva di buone traduzioni. Il D., attento evidentemente agli andamenti del mercato, si preoccupò, oltre che di stampare opere nuove, anche di ripubblicare quelle di successo che avessero ancora possibilità di vendita, le cui precedenti edizioni fossero esaurite. È il caso, ad esempio, dell'Architettura dell'Alberti, fatta stampare dal traduttore Bartoli nel 1565 "in minore e più commoda forma", dal momento che le 1.500 copie della precedente edizione di Lorenzo Torrentino (Firenze 1550) erano ormai esaurite (dedica del Bartoli a Cosimo de' Medici, Venezia, 21 apr. 1565, p. 3).
L'attività del D. si svolse principalmente a Venezia. Come editore lo troviamo attivo anche a Bologna, dove fece stampare da G. B. Bellagamba la Pratica medica di Johann Jacob Wecker e l'Ornithologiae libri XII, che abbiamo già ricordato, dell'Aldrovandi. A Bergamo collaborò con Comino Ventura, a Colonia (ma potrebbe trattarsi di un falso luogo di stampa) con il conterraneo G. B. Ciotti per due edizioni dei Commentaria a Galeno di Francisco de Valles nel 1592 e nel '94 e molto probabilmente a Modena con Antonio Gadaldini, se è lui il Senese "ad instantia" del quale furono pubblicati gli Avvisi delli superbissimi trionfi, et successi per l'enttata [sic] di Sua Altezza in Ferrara, non molto dopo il 1560. Nel 1569 figura inoltre tra i componenti di una società che doveva stampare a Venezia, tra l'altro, il Corpus iuris civilis, insieme con Gaspare Bindoni, Nicolò Bevilacqua e Damiano Zenaro. I quattro fecero incidere per l'occasione un'unica marca tipografica che riunisce le loro quattro insegne e cioè: la Pace per il D., la mano che regge un candelabro per il Bindoni, la salamandra che brucia per D. Zenaro e la Pazienza per il Bevilacqua. Inoltre, dai frontespizi e dai colophon apprendiamo che collaborò, oltre che con il più volte citato Chrieger, con Pietro Dusinelli, con D. Zenaro, con Giorgio Angelieri, Paolo Venturini, Giacomo Vidali, Francesco Ziletti e i Giunta. Talvolta usò la formula vaga: "appresso Francesco de Franceschi Senese e compagni", come nel Furioso dell'84 e nei Versi di Bernardino Baldi del '90.
Per quanto riguarda la marca tipografica il D. usò sempre la raffigurazione della Pace: una donna seduta accanto ad una colonna con un ramoscello d'olivo in mano, recante talvolta il motto: "per me qui si riposa e 'n ciel si gode".
Se dalla sua produzione editoriale si può facilmente ricavare un quadro degli interessi del D. ed il suo modo di intendere l'attività tipografica, è molto più difficile, date le poche notizie che abbiamo, ricostruire gli altri aspetti della sua personalità. Nulla o quasi sappiamo, ad esempio, delle sue idee religiose. Si può solo ricordare che nel 1571 fu ammonito e rilasciato dal S. Offizio, mentre nel '99 fu inquisito insieme all'altro senese Ciotti, a Roberto Meietti e ai Sessa per l'importazione dalla Germania di un volume dei Centuriatori di Magdeburgo, di un libro d'astronomia proibito e di altre opere. Se la cavò con la minaccia di una multa di cento ducati. Non si può escludere, date le sue origini, che sia stato in contatto con il circolo dei Socini. Nel 1571 stampò infatti la seconda edizione dei Commentaria in quatuor (ut vocant) lecturas vespertinas di Mariano il Giovane. Né mancano, tra le sue edizioni, opere (e dediche) di personaggi legati in qualche modo a quell'ambiente, come Scipione Bargagli. A favore di quest'ipotesi si potrebbe addurre anche il legame col Barbaro, che espresse al concilio di Trento una posizione molto equilibrata (1562) sul controllo dei libri e la loro eventuale messa all'Indice. Anchela sua marca tipografica potrebbe far supporre una qualche simpatia per ambienti almeno inclini alla tolleranza. Ma non bisognerà dimenticare che la giovinezza del D. dovette trascorrere in buona parte tra le "guerre horrende" che devastarono l'Italia di quegli anni, compresa la sua Siena, e che pertanto un'aspirazione alla pace poteva essere giustificata anche da motivi non strettamente religiosi. Dei suoi numerosi parenti che esercitarono il mestiere di tipografo o libraio, poi, Iacopo e Giovanni Battista ebbero delle noie con la Congregazione dell'Indice per la pubblicazione a Venezia in collaborazione col Ciotti del quinto volume del De censuris di Francisco Suarez, del quale avevano omesso alcuni passi.
Non sappiamo esattamente quando il D. morì. È certo che dal 1599 compare, nei libri stampati dalla sua azienda, la sottoscrizione "heredi di Francesco de Franceschi", che si riscontra almeno fino al 1608. Probabilmente la sua morte sarà da collocare proprio negli ultimi scorci dei sec. XVI o all'inizio del XVII.
Numerosi furono gli altri De Franceschi che esercitarono attività connesse con il mondo del libro. Li troviamo in varie parti d'Italia, anche se non possiamo stabilire il grado di parentela col De Franceschi. Un fratello potrebbe essere Domenico, libraio a Pesaro e tipografo a Venezia dal 1557 all'87, "all'insegna della Regina" (notevole una sua edizione dell'Architettura del Palladio del 1570). In Frezzeria alla stessa insegna lavorò anche per un breve periodo Pietro, forse un altro fratello, (1573-76), del quale ricordiamo una edizione volgare delle opere di Cesare (1575) e che compare nel '76 come editore a Pesaro. Per una sola edizione è conosciuto Girolamo (senese), che esercitò il mestiere di libraio a Firenze: La pratica di prospettiva di Lorenzo Sirigatti, con splendide incisioni in rame, stampata a Venezia nel 1596, molto probabilmente con il materiale del D., oltre che con la sua marca, che compare in fine. A Palermo, dopo una fugace apparizione a Pesaro nel 1576, stampò Giovanni Antonio, dal 1558 al 1610, come tipografo camerale e del Senato. Secondo l'Evola dai suoi torchi fece uscire non meno di sessanta edizioni, usando due marche tipografiche: una raffigurante un'aquila ad ali spiegate all'ombra di un ramo d'ulivo col motto "da tal'ombra difeso" e l'altra con un albero carico di frutti sul quale si avventano alcuni animali velenosi col motto "procul este". A Roma troviamo nel 1585 un Sebastiano senese, libraio al Pellegrino all'insegna della Pace, che fu in società con Domenico Basa nella "Compagnia dei librai" da questo creata. Il Gianolio ricorda un Camillo stampatore a Venezia nel 1528 ed un Bartolomeo, attivo a Siena nei primi anni del Seicento. Non si può affermare infine che fossero discendenti del D. quei tipografi omonimi che nel Sei-Settecento si dedicarono a Bologna alle stampe popolari, ai fogli volanti, ai lunari e che nell'Ottocento ebbero l'insegna "alla Colomba" e il negozio sotto il portico del Pavaglione.
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