DE MURA, Francesco
Nacque a Napoli il 21 apr. 1696 da Giuseppe (nativo di Scala - Salerno - e dimorante a Napoli, alla via Orto del Conte, commerciante di lane) e da Anna Linguito (cfr. Napoli, Arch. del Pio Monte della Misericordia, Pel Pio Monte della Misericordia contro la Regal Casa Santa dell'Ave Gratia Plena... 1782, p. 1).
Per una controversia che sorse alla morte del D. tra la Casa Santa Ave Gratia Piena e il Pio Monte, che beneficiò, per lascito testamentario, dell'intero immenso patrimonio dell'artista (un capitale che raggiungeva la impressionante cifra di 55.454 ducati, oltre 187 suoi quadri, argenti, carrozze, nonché altre numerose fedi di credito), fu avanzata, da parte dell'Ave Gratia Piena, che pretendeva l'eredità, la versione secondo la quale il D. era stato un trovatello "esposto" alla ruota dell'Annunziata, battezzato col nome di Francesco e successivamente affidato, perché lo allevasse, ad Andreana Pastore, moglie del lanaiolo Pompilio di Amura (cfr. Causa, 1970, pp.5 2 s.). Per questo il De Dominici (1743) scrive che era figlio di Pompilio.
Uno scolaro del pittore giordanesco G. Simonelli - vista la prepotente attitudine del piccolo D. al disegno - consigliò di far frequentare al ragazzo la bottega di Domenico Viola, presso la quale egli restò per circa un anno "istradato con tutta carità nelli principi del disegno..." (De Dominici, p. 694). Dopo di che, il D. fu inserito nell'affollato atelier di Francesco Solimena - contava poco meno di dodici anni - presso cui restò all'incirca venti anni (dal 1708 al 1729-30).
Fu senza dubbio presso il Solimena - che subito lo predilesse e lo considerò il più dotato dei suoi allievi - che il D. acquisì, anche sulla scorta degli insegnamenti del Giordano, del De Matteis e del "colorare" di Giacomo Del Po, il suo mestiere e la capacità di un disegno forbito e delicato insieme (De Dominici, p. 694).
Nel 1713 copiò (da Solimena) un S. Michele arcangelo che scaccia Lucifero per l'abate Zola, maestro di cerimonia del cardinale Francesco Pignatelli (De Dominici, p. 695) e dipinse, dopo poco, la sua prima opera pubblica, un Cristo morto in croce con s. Giovanni per la chiesa napoletana di S. Girolamo delle Monache a Mezzocannone, opera nella quale refluirono soprattutto le lezioni di quel tenebrismo neopretiano inculcatogli dal breve discepolato presso il Viola e dal quale il D. subito si staccò, propendendo, poi, sempre più, per un graduale ed ininterrotto alleggerimento, addolcimento e schiarimento di tutta la gamma dei suoi colori.
Tale processo è già evidente nella sublime Immacolata ed angeli (1715-18 circa), dipinta per la chiesa napoletana delle monache di S. Maria Porta Coeli ai Mannesi ed attualmente, dopo la distruzione di quella chiesa, custodita nella sacrestia del Divino Amore, sempre a Napoli: tela che costituisce uno dei raggiungimenti poetici più alti della prima produzione del D., agganciandosi l'opera alle Immacolate del seicentesco Bernardo Cavallino cui il D. dovette sicuramente guardare nella sua attività giovanile (cfr. Rizzo, 1978, fig. 1). Sotto tale influsso sono anche da inserire il S. Antonio da Padova della pinacoteca del Pio Monte e la Madonna col Bambino e s. Domenico del Museo Duca di Martina (villa della Floridiana) di Napoli, nonché la tela di stesso soggetto presso il napoletano Monte Manso di Scala, tutte opere però in cui già sono evidenti gli impeti rococò, densi di reflussi giordaneschi, non scevri di bagliori dorati, che furono propri del Giordano.
Ad attestare ancora di più la grande lezione di Giordano c'è la tela di S. Oronzo che predica (Napoli, S. Pietro a Maiella, cappella Marescalli), eseguita nel 1723, il cui bozzetto è nella sacrestia della cappella del Tesoro di s. Gennaro, nel duomo di Napoli (cfr. Catello, 1977, p. 51).
Verso il 1723 dovettero essere dipinte le tre tele per la cappella di S. Paride nella cattedrale di Teano.1 rappresentanti S. Paride che uccide il dragone, La fuga in Egitto e S. Martino che dona il mantello al povero, commissionategli dal vescovo G. Martino Del Pozzo, che fece costruire la cappella (cfr. De Monaco-Zanone. La cattedrale di Teano, Teano 1965, pp. 47 ss., tavv. XXII, XXV, XXVI).
Ben presto la committenza più sofisticata cominciò ad accorgersi dei D. e si ebbero le prime richieste degne di nota, che dettero più tardi lo spunto al Solimena per una ingiustificata gelosia di mestiere.
Il ricchissimo Bartolomeo De Maio per il suo splendido palazzo alla Sanità commissionò al D., per 255 ducati, nel giugno 1727, quattro quadri di santi protettori dei quali parla anche il De Dominici (p. 695; Rizzo, 1978, p. 109, doc. n. 1). Di quest'anno è anche la tela firmata e datata con Ilsacrificio di Ifigenia, oggi a Providence nel Rhode Island School of Design Museum of Art (cfr. ibid., p. 108, fig. 22).
Per il rifacimento settecentesco della chiesa napoletana di S. Maria Donnaromita, la badessa Elena Giudice, nel 1727-28, pagò al D. ben undici tele per decorare l'intera navata del tempio (dieci Virtù e una grande Adorazione dei magi sovrapporta), che si pongono come l'anticipazione diretta - per bellezza di colori chiari e trasparenti e per una più intensa e commossa orchestrazione compositiva - dell'affresco di medesimo soggetto per la chiesa della Nunziatella che il D. eseguì quattro anni più tardi (cfr. ibid., pp. 102 s.).
Nel novembre del 1727 sposo Anna d'Ebreù, andando ad abitare sul colle di S. Efremo Nuovo (cfr. Ceci, 1933, p. 107). Quasi certamente è dello stesso anno lo splendido Ritratto di donna (Napoli, Pinac. del Pio Monte della Misericordia) in cui il D. raggiunse il culmine della sua capacità sia di ricerca della introspezione psicologica sia di atteggiamento del più saporoso rococò (cfr. Rizzo, 1978, p. 99). Anche del 1727 sono l'affresco con l'Assunzione della Vergine e le tele con la Pietà e l'Adorazione dei pastori per la sacrestia dell'Annunziata di Airola (ibid., p. 97, figg. 5-8).
Nel 1729, insieme con lo stesso Solimena e con D. A. Vaccaro, diede disegni (che saranno incisi da A. Baldi) per il volume del marchese di Cammarota (un imitatore napoletano di Corneille e Racine) su Le tragedie cristiane. Contemporaneamente pose mano alle tele e agli affreschi per la cappella di S. Nicola di Bari, nella chiesa dedicata al santo a via Toledo, su commissione dei padri pii operai, dove, quattro anni più tardi, nel 1733, affrescherà anche la cupola maggiore, per 500 ducati (cfr. ibid., doc.VIII) rappresentando Iltrionfo di s. Nicola e santi vescovi, dipinti tra finestrone e finestrone.
I bozzetti per gli affreschi nella cupoletta della cappella si conservano nella Pinacoteca del Pio Monte della Misericordia e sono importanti sia perché gli affreschi sono molto rovinati sia perché quest'opera riveste un significato particolare tra i lavori della giovinezza dei De Mura. Infatti, a parte la veemenza della descrittività degli eventi miracolosi, vi è una orchestrazione compositiva degna del miglior Giordano e del più composito Solimena, ma, nello stesso tempo, una raffinatezza espressiva e una politezza cromatica che già stavano alla base delle peculiarità stilistiche del De Mura.
Per le nobili monache di S. Giuseppe dei Ruffò, realizzò "un dipinto nel primo anno che, uscito di scuola, si ritirò a dipingere nella sua propria casa..." (De Dominici, 1743, p. 703).
I gesuiti, che intuirono perfettamente l'eccezionalità del suo temperamento e del suo talento, non solo lo considerarono degno del raro privilegio della promessa di sepoltura nella chiesa della Nunziatella, ma lo sollecitarono anche per varie opere da mandare fuori d'Italia. Infatti, nel settembre 1730, attraverso il gesuita G.A. Sepes, padre generale in Terrasanta, il D. inviò - per decorare la chiesa della Natività di Gerusalemme - quindici quadri rappresentanti i Misteri della Vergine e della Passione di N.S., nonché uno con S. Cristoforo per i quali aveva chiesto 750 ducati, ma si accontentò di 558, bonificando il resto della somma "per sua devozione" (cfr. Rizzo, 1980, p. 41, doc. n. 2).
Fu nel 1731 che comparve, per cura di P. A. Orlandi e Antonio Roviglione, l'Abecedario pittorico "dall'autore ristampato, corretto ed accresciuto ... ed in quest'ultima impressione ... al Signor Francesco Mura, eccellente e magnifico pittore napoletano dedicato ...".
Oltre alla dedica, il libro conteneva, per la prima volta, un elenco delle opere che il maestro aveva realizzato fino ad allora e i nomi dei notabili per i quali aveva già lavorato. Fu questo il definitivo riconoscimento, da parte della critica ufficiale, della grandezza del D. (con un anticipo di dodici anni rispetto al De Dominici, che ne scriverà solo nel 1743): attestazione a stampa che irritò, com'era prevedibile, il più famoso Solimena. Questi si contrariò tanto da indurre il Roviglione (che, poi, era tra i meglio accetti del suo studio e, per giunta, uno dei suoi allievi) a distanza di pochi mesi, a far ristampare l'Abecedario con la drastica eliminazione della dedica tall'eccellente e magnifico pittore ...".
Ma la cattiveria non danneggiò minimamente il D.: anzi la sua fama si accrebbe al punto da ricevere la più ambita delle commissioni, quella cioè di affrescare, con l'Epifania il catino absidale della Nunziatella, la nuova chiesa sanfeliciana per il noviziato napoletano della Compagnia di Gesù, che aveva sede in uno dei posti più incantevoli della collina, sopra Pizzofalcone, laddove abitavano le famiglie più nobili e i personaggi più importanti.
Fu, in realtà, questa incantevole Epifania, la vera opera nuova di quegli anni (1731-32), che dimostrò quali erano le nuove direttive da seguire per il mutato gusto rococò: colori di luce vera, di pieno open air, di grazia indefinibile e, nello stesso tempo, di un certo rigoroso rappresentare la realtà: tanto che i padri gesuiti - esigentissimi in fatto di ultima moda - gli commissionarono diciotto anni dopo l'intera decorazione della stessa chiesa, la quale risulta, perciò stesso, il punto cardine di tutto l'excursus del D., che vi è perfettamente compendiato nella sua più succosa tipologia.
La fama che gliene derivò ebbe subito i suoi effetti: nello stesso 1731, Luigi Sanseverino, principe di Bisignano, gli pagò 100 ducati come anticipo dell'affresco che il D. avrebbe dipinto nella galleria del suo palazzo principesco "fuori Porta di Chiaia" (cfr. Arch. stor. del Banco di Napoli, Banco d. Pietà, Giorn. di cassa, m. 1642, 20 nov. 1731).
Le committenze, importanti proseguirono senza sosta: i benedettini dell'abbazia di Montecassino e quelli della chiesa napoletana dei Ss. Severino e Sossio gli offrirono interventi di notevole consistenza e prestigio che lo impegnarono per alcuni anni (1731-1745).
Già nel marzo 1731 pose mano alle molteplici tele che eseguì per decorare alcune cappelle, il coro ed altri ambienti dell'abbazia, che era stata già decorata dal Giordano nel 1677-78. Nel 1731 dipinse nella cappella di S. Bertario; nel 1735-36 furono compiuti tutti i dipinti per la sala del capitolo e la cappella di S. Gregorio e nei successivi 1737-39 furono ultimate le tele per le cappelle di S. Michele, della Pietà e della Vergine Assunta. Per tutte queste opere, che furono distrutte nei bombardamenti del 1943, il D. ricevette circa 3.000 ducati.
Datato 1740 è l'enorme affresco per la volta della chiesa napoletana dei Ss. Severino e Sossio, retta dai padri benedettini, rappresentante S. Benedetto e s. Scolastica che propagano le regole dell'Ordine, punto di riferimento per tutti i colti viaggiatori del grand tour, da Cochin a Fragonard. Per la stessa chiesa dipinse, tutt'intorno all'enorme navata, 32 Santi, Pontefici, e Vescovi benedettini, che furono pagati 1.800 ducati il 25 dicembre 1745 (A. Faraglia, in Arch. stor. per le provv. napoletane, III[1878], p. 128) e il grande quadro con la Madonna che bacia i piedi di Gesù all'interno della parete d'ingresso che fu pagato 515 ducati il 31 ag. 1746.
Negli stessi anni aveva dipinto (1733) tre tele per la chiesa di S. Gaudioso a Napoli (la Samaritana, l'Adultera, la Crocefissone di Gesù) che andarono anch'esse distrutte nei moti contrari alla Repubblica partenopea del febbraio 1799.
Nel 1738 aveva inviato a Madrid, alla regina madre Elisabetta Farnese, firmandoli e datandoli, i bozzetti (oggi nella Granja di Segovia e nel palazzo reale di Madrid) dell'affresco dipinto nello stesso anno per il palazzo reale di Napoli (Allegoria delle virtù di Carlo di Borbone e Maria Amalia). Nello stesso periodo affrescò l'alcova della regina (restano solo i bozzetti conservati a Napoli al Pio Monte: F. Bologna, Solimena..., in Prospettiva, 1979, 16, pp.53 ss.). Nel 1739 eseguì la Disputa di Gesù con i dottori del tempio, per la sala del capitolo alla certosa di S. Martino, in Napoli, tela che fu issata sulla porta che introduce al coro. Nello stesso anno, il D. eseguì le tele per la demolita chiesa di S. Spirito di Palazzo, incentrate su Episodi della vita di s. Domenico, s. Pio V e s. Vincenzo Ferreri.
Tra il 6 marzo 1738 e il 28 giugno 1741 erano stati inviati al D., per ordine del re di Sardegna, anticipi per recarsi a Torino (cfr. Schede Vesme) dove giunse finalmente il 10 luglio 1741.
Pose subito mano agli affreschi nel palazzo reale, nella cosiddetta sala delle macchine, raffigurando tre Storie di Teseo, con una finissima interpretazione che riscosse il plauso della corte sabauda.
Più tardi (nel 1748) da Napoli invierà cinque sontuose Allegorie muliebri, che furono sistemate nella stessa sala delle macchine. Nel 1742 lavorò agli affreschi con Storie di Achille nella sala chiamata gabinetto delle miniature. Affresco, poi, altre sale, col Concilio degli dei (restano oggi solo frammenti); e con la Vita di Achille (totalmente distrutto).
Gli ultimi affreschi ad essere eseguiti (prima della partenza da Torino che avvenne il 21 genn. 1743) furono quello raffigurante I giuochi olimpici, nella terza camera degli Archivi e quello con le Storie di Teseo nella sesta camera degli Archivi. Venticinque anni dopo, nel 1768, invierà delle tele sovrapporte (Storie di Alessandro Magno, Storie di Cesare, Storie di Achille) nonché "otto quadri ... per servir di modello per tappezzerie" (Schede Vesme;cfr. Mostra del Barocco..., 1963, p.28); e ancora nel 1769 due Madonne (Schede Vesme);e con questo concluse il suo rapporto con la corte sabauda.
Agli anni torinesi o a quelli immediatamente successivi (1742-1745) sono da datare i due mirabili dipinti di collezione romana, Paride saetta Achille e La partenza di Enea, nonché l'Allegoria della Carità (Chicago, The Art Institute), la straordinaria Allegoria delle Arti del Museo del Louvre (tutti in Spinosa, 1986, p. 160, tavv- 56, 58, 59, fig. 303).
È databile al 1744-45, l'affresco con Battaglia di Velletri nel salone delle feste di palazzo Marigliano, a Napoli, per il duca di Airola. Molto verosimilmente nel 1748, egli dipinse il superbo ritratto di un importante aristocratico inglese, in visita a Napoli, il Conte James Joseph O' Mahoney, figlio del celebre generale di origine irlandese (dipinto venduto presso Christie's, a Londra, nel 1979; cfr. Spinosa, 1986, pp. 160 s., fig. 304), pendant alla Contessa Mahoney (oggi Caen, Musée des Beaux-Arts), opera di Pierre Subleyras col quale il D. aveva moltissime affinità elettive (Rosenberg, 1982).
Gli anni dal 1745 al 1750 lo vedono freneticamente impegnato in diversi complessi chiesastici e monasteri nonché presso la nobiltà e la borghesia.
Nel 1746 dipinse una tela gigantesca per la rimodernata chiesa angioina di S. Chiara a Napoli da porre sull'altare maggiore (quasi fondale da palcoscenico), al di sopra della tomba di Roberto d'Angiò; rappresentava S. Chiara ed altri santi francescani nel trionfo dell'Eucarestia, e venne distrutta dai bombardamenti del 1943, ma ne resta un'ottima foto Alinari come di altre opere del D. nella stessa chiesa: S. Chiara che mette in fuga i Saracenicon Santissimo, dipinta poco dopo, e Salomone che dirige l'edificazione del tempio, dipinto nel 1751-52.
Nel 1748 affrescò la volta del Sedile di Porto (detto di S. Giuseppe) terminato in quell'anno, oggi non più esistente.
Nell'aprile 1750 elaborò un modello per un Trionfo da eseguirsi in argento che il regio portolano Pietro Guido Sersale regalò a Carlo di Borbone (cfr. Napoli, Arch. stor. d. Banco di Napoli, Poveri, 1416, 30 apr. 1750).
Dal 1750 al 1751 fu impegnato per l'intera restante decorazione della chiesa gesuitica della Nunziatella, in cui aveva già affrescato, nel catino absidale, l'Epifania (1731).
Al centro della volta rappresentò in uno strabiliante luccichio di brillanti colori, di gamma ricchissima, l'Assunzionedella Vergine, conun concerto di angeli tra i più belli e affascinanti di tutto il rococò napoletano. Ai lati dipinse le allegorie della Carità e dell'Eucarestia nonché, en grisaille, quelle dell'Abbondanza, della Fede, della Speranza e della Temperanza. Negli spazi residui pose gruppi di putti e cherubini che giocano con serti di fiori, nelle armoniose decorazioni realizzate dal maestro ornamentista Tommaso Zini, in oro su fondo verde. Al di sopra dell'organo, affrescò alcuni episodi della vita di Gesù, come l'Infanzia e la Fuga in Egitto.
Essendo morto il Solimena nel 1747, il D. ormai era considerato "il primo dipintore oggidì in Napoli" come ebbe a riconoscere l'autorevole padre abate D. Placido TroyIi, patrizio e teologo, nella sua Istoria generale del Reame di Napoli (Napoli 1752, IV, 4, p. 445).
1120 maggio 1756 portò a compimento il magnifico ritratto del Cardinale Antonio Sersale (arcivescovo di Napoli dal 1754 al 1776; cfr. Spinosa, in Civiltà del '700 [catalj, 1979, 1, p. 200) ora in collezione privata negli USA, firmato e datato sul retro. Degli stessi anni è l'accorato ritratto del Beato Francesco de Geronimo, nella Pinac. del Pio Monte (ibid.), studio preparatorio della consimile figura inserita nel telone per il Monte Manso di Scala, che è datato 1758.
È anche del 1756 la grande tela raffigurante La Vergine che intercede presso la ss. Trinità in favore delle anime del Purgatorio che egli eseguirà, succedendo a C. Giaquinto che si era impegnato ad eseguirla per sua devozione, per la cripta dell'Arciconfraternita della Ss. Trinità dei Pellegrini.
La tela attualmente è al centro del coro ed è opera particolarmente importante della sua maturità perché vi convergono reminiscenze riberiane (nei dorsi senili) e addirittura caravaggesche (nell'angelo giovinetto che plana dall'alto).
Al 1757 vanno datate le tre tele con Storie della Vergine che andarono a sostituire quelle di B. Caracciolo nella cappella dell'Assunta, nella chiesa della certosa di S. Martino.
Le tre tele furono numerose volte replicate - anche con piccole varianti - sia dal D., per varie chiese della Puglia, sia dai suoi numerosi allievi, per tante altre chiese napoletane e di paesi vicini e di altre regioni, come la Calabria (per es., repliche della Visitazione e dell'Annunciazione sono visibili ancor oggi nelle chiese napoletane di S. Caterina a Chiaia e di S. Maria di Piedigrotta. Una Annunciazione un poco più tarda è nella chiesa dell'Annunciata di Airola).
Nel 1757, don Camillo Nolli, di Chieti, gli commissionò una Pietà, pagandogliela 60 ducati (cfr. Napoli, Arch. stor. d. Banco di Napoli, Banco di s. Giacomo, 29 ott. 1757, p. 698). Del 1758 è lo splendido telone con Giovani e santi gesuiti che invocano la ss. Vergine che il D. eseguì per la cappella del collegio gesuita del Monte Manso di Scala, datandolo e firmandolo (avvenimento, questo, eccezionale, dato che il maestro assai raramente firmava e datava le sue opere).
Anche del 1758 è il ritratto del marchese pugliese Niccolò Fraggianni, potente giureconsulto e ministro dei Borbone (ritratto che G. Ceci vide presso gli eredi nel 1933) da cui fu tratta l'incisione che si vede nel frontespizio del volume Elogio funebre pel marchese N. Fraggianni, presso la tipografia Simoniana nel 1763.
Il 3 sett. 1759 ricevette 300 ducati dal Monte della Pietà (cfr. Rizzo, 1980, p. 36 doc. n. 8) per aver dipinto due quadri ovali, con le allegorie muliebri della Sicurezza pubblica vestita d'armi e della Disciplina, che possono agevolmente identificarsi in due dei quattro ovali della collezione dei Banco di Napoli, provenienti appunto dalla sala maggiore del palazzo del Monte di Pietà a S. Biagio dei Librai ed ora esposti al Museo di Capodimonte.
Dipinse, poi, S. Benedetto che adora la ss. Vergine col Bambino per il cappellone di destra della crociera dei Ss. Marcellino e Festo a Napoli, in collaborazione con gli architetti L. Vanvitelli e M. Gioffredo che ne avevano appena completato il rinnovamento architettonico (cfr. F. Strazzullo, Il monastero e la chiesa dei Ss. Marcellino e Festo, Napoli 1956). La collaborazione col Vanvitelli, che grandemente lo ammirava, proseguì per la decorazione dell'appena ricostruita chiesa della Ss. Annunziata di Napoli: il D. fu incaricato (1760) di dipingere gli enormi tre teloni per l'altare maggiore e la crociera (L'Annunciazione, La strage degli innocenti e Ilmartirio di s. Barbara);altre tele della chiesa vennero affidate ai migliori allievi del D. (cfr. G. B. D'Addosio, Origini e vicende della Ss.ma Casa dell'Annunziata, Napoli 1883). Contemporanee sono le tele per S. Caterina da Siena, sempre a Napoli, La Vergine del Rosario e S. Agostino d'Ippona, cuiforse collaborò G. Diano.
Del 1762 è l'Angelo custode dipinto per commissione della famiglia Carmignano, nella omonima cappella nella basilica di S. Lorenzo Maggiore a Napoli (cfr. Rizzo, 1980, p. 41). Nel medesimo anno affrescò diversi soffitti nei palazzi nobiliari dei Berio, dei Maddaloni, degli Orsini di Gravina: opere tutte scomparse.
Nel 1763 dipinse nei quattro peducci della cappella del Ss. Crocifisso dei Riario di Corleto, nella chiesa teatina dei Ss. Apostoli in Napoli, Angeli giovinetti reggenti i simboli della Passone.
Del 1764 è la tela della Allegoria della Pudicizia per la sala della Primavera nell'appartamento vecchio della reggia di Caserta, che è un modello pittorico per un arazzo (oggi nella reggia di Napoli) che fu tessuto in lana e seta dall'arazziere di corte Pietro Duranti (cfr. N. Spinosa, Arazzeria napoletana, Napoli 1971, pp. 50 ss.).
Il D. eseguì pure perizie ad opere d'arte per ordine del re (1764; cfr. R. Pane, F. Fuga, Napoli 1956, p. 213) e, nel 1765, insieme a G. Bonito, G. Sanmartino, C. Giaquinto e L. Vanvitelli, firmò la perizia con cui venivano ordinate alcune modifiche alla statua equestre di Carlo Borbone che doveva essere eretta al centro del Foro Carolino (cfr. E. Nappi, in Annali di storia econ. e soc. dell'Univ. di Napoli, VIII [1967], pp. 200 s.).
In quegli anni accaddero avvenimenti memorabili ed apocalittici, come la terribile eruzione del Vesuvio, del 1754, la peste del 1764 e l'altra eruzione del 14-20 ott. 1767; nel contempo i gesuiti venivano espulsi da Napoli: avvenimenti che dovettero sicuramente ispirare al D. le sue concitate e vibranti Scene di terrore (Pinacoteca del Pio Monte della Misericordia), che sono tra i raggiungimenti più alti della sua pittura di movimento, en plein air, pervasi di vapori cilestrini e azzurrognoli.
Il 20 giugno 1768 morì la moglie del D., che volle essere sepolta nella chiesa della Nunziatella a Pizzofalcone "in dove godo la mia sepoltura" (cfr. Test. Anna d'Ebreù, Arch. stor. d. Pio Monte della Misericordia, ms. 16 ag. 1768, pp. 3 ss.).
La stanchezza (aveva ormai 75 anni) e il disgusto per le sopraffazioni subite in seno alla famiglia (cfr. Napoli, Pio Monte, Testamento, 17 febbr. 1770: "ebbi a soffrire molte inquietudini non compatibili né alla mia età né alle mie applicazioni..."), lo indussero a rinunziare alla prestigiosa carica di direttore della Reale Accademia di nudo, come risulta dalla lettera di dimissioni che firmò il 9 marzo 1770 (Lorenzetti, 1952). Malgrado la rinunzia all'incarico e l'accettazione delle sue dimissioni, al D. fu pagato lo stipendio sino alla sua morte.
Di questi anni sono la grandiosa Moltiplicazione dei pani (1771) per la sovrapporta interna della cattedrale di Foggia e le due tele per la cappella di S. Francesco di Sales nella chiesa dei gerolamini a Napoli. Pur soffrendo per gli acciacchi e l'avvilimento della solitaria vecchiaia (vedovo, senza figli, invidiato per l'estrema ricchezza raggiunta), il D. produceva ancora tele dense di vibrazioni poetiche e di splendide cromie come IlMartirio di s. Placido per il cappellone dei principi di S. Angelo nel transetto della chiesa napoletana di S. Giorgio dei Genovesi, in via Medina, databile al 1771, anno che risulta nell'epigrafe apposta sul medesimo altare.
Il 3 sett. 1772, L. Vanvitelli scriveva: "Il migliore di tutti li dipintori, che presentemente sono in Napoli, nel quale concorrono le parti che avere deve un valent'uomo, per distinguersi sopra gli altri, egli è Don Francesco de Muro, di cui sarebbe desiderabile averne qualche opera a fresco sulle mura del Real Palazzo di Caserta..." (cfr. N. Spinosa, L. Vanvitelli e i pittori attivi a Napoli nella seconda metà del Settecento..., in Storia dell'arte, 1972, 14, pp. 204 s .).
Del 1773 è la stanca, ma ancora assai mondana tela di S. Francesco d'Assisi che implora la ss. Vergine e Gesù Cristo per l'altare maggiore della chiesa napoletana di S. Francesco degli Scarioni a Chiaia, nella zona inferiore della quale vi è un tripudio di fiori e di putti. Dello stesso anno sono l'immensa tela della Pentecoste per l'altare maggiore della chiesa dello Spirito Santo e i tre quadri della cappella di S. Liborio nell'omonima cappella in S. Nicola alla Carità.
Dal 15 aprile al 13 giugno 1774 soggiornò a Napoli J.-H. Fragonard che eseguì una serie di studi su tipi popolari, soggetti sui quali pure si era cimentato il D., come risulta dall'elenco dei suoi quadri nell'Inventario ms. redatto dal suo allievo P. Bardellino, nel 1783, che si trova nell'Archivio storico del Pio Monte, pp. 21 ss.).
Del 1775 sono la tela per i Ss. Apostoli di Napoli, con Maria Burali che supplica il beato Burali d'Arezzo e i quattro sovrapporte e il sovraspecchio per la camera da letto del re alla reggia di Caserta, rappresentanti Putti che giocano;in questi ultimi il D. include realistiche nature morte di angurie, mele, pere, pesche, uva, zucche e struggenti, lontani paesaggi serotini. Nel settembre 1776, per commissione del duca di San Vito eseguì la Vegine che accoglie sotto il suo manto gli ammalati e i diseredati per l'altare maggiore della chiesa napoletana di S. Maria degli Incurabili o dei Popolo, opera di recente recuperata dopo secolare abbandono.
Del 1778 è l'ultima sua tela: Imartiri carmelitani s. Angelo, s. Pier Tommaso e il beato Franco, nel Carmine Maggiore di Napoli. L'11 ott. 1780, nel testamento redatto presso il notaio Valenzia di Piscinola, il D. dispose di essere sepolto "nella chiesa del convento di S. Pasquale di 88 alcantarini di Chiaja, al quale convento si ritrovano pagati ducati 50 per detto interro...". Aggiungerà poi altri codicilli il 16 luglio 1782. Il successivo 19 agosto, nel pieno della calura, il D. mori al terzo piano del palazzo del principe di Torino (nell'attuale via Foria, tratto Pontenuovo), dove abitava un appartamento di sedici stanze, in località, all'epoca, assai amena.
Tutti i pittori napoletani della, generazione successiva alla sua, - anche se, a volte, solo per i loro esordi, - desumeranno da lui stilemi e gamme cromatiche: da D. Mondo a G. Traversi, da P. Bardellino a I. Cestaro, da Liani al Bonito, da Starace Franchis al De Caro, dal De Maio al Palumbo (l'unico allievo ricordato nel testamento dal maestro), da G. Diano a F. Narici e sino alle estreme propaggini del Canimarano, del Camuccini, del Molinaro.
Fonti e Bibl.: Oltre alla bibl. in U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XXV, pp. 279 s. (sub voce Mura, Francesco de) e in Encicl. Ital., XII, pp. 609 s., si veda in particolare: P. A. Orlandi-A. Roviglione, Abecedario pittorico..., Napoli 1731, p. 40; O. Morisani, La vita di Solimena, di Antonio Roviglione (estratto da La Rassegna storica napoletana, nn. 1 e 2), Napoli 1941, p. 4; B. De Dominici, Vite de' pittori, scultori ed architetti napoletani, III, Napoli 1743, pp. 692-705; O. Giannone, Giunte sulle vite de' pittori napoletani, a cura di O. Massimini, Napoli 1941, p. 194; Napoli, Archivio storico dei Banco di Napoli, giornali di cassa di: Banco dei poveri, mm. 1070, 16 giugno 1727; 1416, 30 apr. 1750; Banco del Ss. Salvatore, mm. 829, 27 luglio 1728; 839, 21 ag. 1728; 835, 11 sett. 1728; 834, 18 dic. 1728; 852, 5 dic. 1729; 868, 9 sett. 1730; 927, 19 ag. 1733; 942, 27 apr. 1734; 1133, 16 marzo 1745; Banco del popolo, m. 1046, 2 genn. 1733; Banco di S. Eligio, m. 1038, 7 febbr. 1736; Banco d. Spirito Santo, mm. 18 genn. 1746; Banco di S. Giacomo, mm. 1043, 28 sett. 1750; 1168, 29 ott. 1751; 1168, 29 ott. 1751; 720, 12 mag. 1725; Banco della Pietà, mm. 2147, 3 sett. 1759; 2155, 29 febbr. 1760. A Napoli nell'Archivio storico del Pio Monte della Misericordia, sono conservati tutti i numerosi manoscritti relativi al testamento del D.; nonché i vari inventari redatti dopo la sua morte (Inv. Bardellino, ecc.); Ibid., Elenco dei quadri di proprietà del Pio Monte della Misericordia, ms., anno 1905; G. Ceci, Lo studio di F. D. (estratto da Rassegna storica napoletana, I, nn.2 e 3), Napoli 1933, pp. 43-51, 107-118; C. Lorenzetti, in La mostra della pittura italiana dei secoli XVII... (catal.), Napoli 1939, pp. 188-194; Id., L'Accademia delle belle arti in Napoli, Firenze 1952, p. 52; M. Rotili, L'arte del Sannio, Benevento 1952, pp. 143 s.; G. Doria-F. Bologna, Mostra del ritratto storico napoletano (catal.), Napoli 1954, pp. 149 s.; Id. Francesco Solimena, Napoli 1958, ad Indicem;A. Griseri, Il Rococò a Torino e G. B. Crosato, in Paragone, XII (1961), 135, pp. 43, 48, 64; Id., F. D. tra le corti di Napoli, Madrid e Torino, ibid., XIII (1962), 155, pp. 22 ss.; Mostra del Barocco piemontese (catal.), Torino 1963, II, 1, pp. 14, 36 ss., 41 s., 89-91, tavv. XI, 105-115; II, 3, pp. 5, 28; M. D'Elia, Mostra dell'arte in Puglia ... (catal.), Bari 1964, p. 111; R. Enggass, F. D. alla Nunziatella, in Boll. d'arte, IL (1964), pp. 133-148; W. Vitzhum, Disegni napoletani del Sei e del Settecento (catal.), Napoli 1966, p. 81; Schede Vesme, II, Torino 1966, pp. 409- 12; F. De Filippis, Imodelli degli arazzi per la reggia di Caserta, Napoli 1967, p. 5 2; N. Spinosa, Domenico Mondo e il rococò napoletano, in Napoli nobilissima, s. 3, VI (1967), pp. 204, 216; Seventeenth and Eighteenth Century paintings. Hazlitt Galleries, London 1968, p. 35; H. Voss, Lorenzo De Caro..., in Festschrift Ulrich Middeldorf, Berlin 1968, pp. 494 ss.; M. 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