DE SANCTIS, Francesco
Nacque a Morra Irpina (Avellino) il 28 marzo 1817; morì a Napoli il 29 dicembre 1883. Scolaro a Napoli di Basilio Puoti, fu nel 1839 preposto dal Puoti stesso a un'altra scuola privata, che durò fino al 1848, nella quale il De S. iniziò la sua meravigliosa attività di critico: ed ebbe scolari, tra gli altri, Luigi La Vista, Angelo Camillo De Meis, Pasquale Villari. Quando scoppiò l'insurrezione liberale, al grido "Siamo noi un'Arcadia? La scuola è la vita!", professore e scolari accorsero alle barricate. Il De S., nominato segretario della Commissione provvisoria per la Pubblica istruzione, fu arrestato durante la reazione borbonica, e chiuso per tre anni e mezzo nel Castel dell'Ovo. Esiliato (1853), si rifugiò prima a Torino, donde passò a Zurigo, lettore d'italiano presso quel Politecnico, restandovi sino al 1859. Hegeliano convinto, formatosi politicamente sugli storici, i giornali e le riviste liberali francesi da un lato e la tradizione politica machiavellico-vichiana napoletana dall'altro, il De S. si trovò fin da giovane in una posizione indipendente verso i due maestri d'azione italiani del tempo: Mazzini e Gioberti, di cui doveva dare in età matura la più serrata valutazione critica. Nei conflitti d'ideali dell'emigrazione, egli sviluppò il suo pensiero e diede al murattismo, ultima rocca del particolarismo regionale napoletano, il colpo di grazia nel 1855 con una serie di articoli nel Diritto di Torino. Orientatosi in tal modo tendenzialmente verso l'unitarismo sabaudo, il De S., liberato il Mezzogiorno, ebbe prima il governo d'Avellino (9 settembre 1860), poi la cura della Pubblica Istruzione nella luogotenenza di Napoli e infine la carica di ministro della Pubblica Istruzione del regno (22 marzo 1861-5 marzo 1862). Il De S. sentì il problema scolastico più come problema d'uomini, che come problema d'istituzioni, e rinnovò, con scelta intelligente, l'alto personale universitario italiano. Vichiano, sentì il valore della religione per il popolo, ma criticò fino in fondo il principio della libertà ecclesiastica e molto si adoperò, di conserva col Mancini, per far mantenere nel sistema separatista italiano alcune cautele giurisdizionaliste. Comprese, invece, la funzione dialettica, altamente educativa per ambo le parti, d'un insegnamento religioso coesistente con quello laico. Credette necessaria per una sana vita parlamentare la formazione di due partiti e il loro alternarsi al potere e, uscito dalla maggioranza cavourriana, si sforzò di organizzare una nuova Sinistra sulle tracce del Rattazzi. Fu detto, e non del tutto a torto, che il De S. concepisse le evoluzioni dei partiti con lo stesso senno, col quale il Machiavelli dirigeva le evoluzioni delle ordinanze fiorentine (De Meis). Ma il De S., col suo atto, che parve tradimento ai suoi più cari amici, contribuì a incanalare nelle vie legali costituzionali le forze rivoluzionarie irrequiete della democrazia italiana, progredì sulle vie della libertà e uscì dalle secche delle consorterie regionalistiche, in cui troppo spesso incagliava il moderatismo.
Insegnante dal 1871 all'università di Napoli, il De S. tornò altre due volte al potere come ministro della Pubblica Istruzione (26 marzo-14 dicembre 1878 e 25 novembre 1879-i gennaio 1881): combatté l'analfabetismo e sviluppò l'istruzione elementare, mirando a fare delle plebi italiane un popolo libero. Mancarono al De S. le doti tecniche dell'uomo politico, l'arte di saper maneggiare uomini e clientele, la ricchezza inesauribile degli espedienti, delle piccole astuzie, e finì con l'averne consapevolezza egli stesso (Viaggio elettorale, Napoli 1875). Ma ebbe in sommo grado le doti dell'educatore politico: tutta la sua produzione è anche opera di educazione nazionale. Batté in breccia l'astrattismo radicale, il dottrinarismo storico, il quietismo rassegnato al destino e giustificatore dei fatti compiuti e propugnò il culto degl'ideali, che sorgessero dalle viscere stesse della realtà e non si sovrapponessero a essa.
Il critico. - La prima educazione del De S. si formò sotto l'influenza del sensismo e del razionalismo allora dominanti nella cultura borghese; così che egli ebbe familiari filosofi moderni, come Cartesio, Spinoza, Malebranche, Leibniz, Hobbes, Beccaria, Genovesi, Filangeri. A una naturale tendenza alla speculazione filosofica, a scrutare il fondo delle cose, a cogliere e istituire relazioni e rapporti ideali, egli univa una fine sensibilità, un caldo entusiastico amore per l'arte. Nobile spirito, intese sin da giovane la vita con altissimo senso morale: "virtù, gloria, patria, giustizia, scienza, dignità, castità" egli dice, parlando di sé e dei suoi amici di gioventù, "erano per noi cose reali, non nomi vani".
Quantunque il De S. fosse per ingegno e temperamento assai diverso dal Puoti, l'insegnamento di questo, persona certamente assai dotta e avveduta, moltissimo gli giovò, inducendolo a leggere con cura i classici italiani e a studiarli con metodo perseverante e rigoroso. Ma quando egli stesso cominciò a insegnare, non tardò a staccarsi dal maestro, pur restandogli sempre molto affezionato, per svolgere, senza iattanza, quelle ricerche d'estetica e quelle applicazioni critiche cui lo conduceva il suo spirito acuto e inclinato alle idee generali. Queste lezioni, rimasteci, almeno in parte, in appunti di scolari, sono prevalentemente teoriche e dottrinali (pur non mancando la lettura diretta e l'apprezzamento estetico delle singole opere letterarie), e subiscono in particolare l'influenza della dottrina estetica hegeliana, che allora cominciava a esser nota in Italia. Esse spaziano attraverso le letterature antiche e moderne, seguendo e additando lo sviluppo dell'idea, che nei varî generi e popoli e momenti, quelle guida e informa, senza peraltro risolversi ad accettare la conclusione del filosofo tedesco, essere l'arte destinata a estinguersi tosto che il pensiero sia pervenuto all'assoluto possesso dell'idea. Adottando, anche in mezzo al rigore della dialettica hegeliana, una soluzione che non è senza influenze leopardiane, egli conclude che se certa poesia non è più possibile per la glaciale e dolorosa presenza del pensiero dissolvitore delle poetiche fantasie, il sentimento che scaturisce da questo moderno contrasto potrà a sua volta essere la nuova ultima poesia del secolo. A tali concetti sono informati i primi due saggi critici, scritti entrambi nel 1850 (quantunque il secondo sia stato dato alle stampe sei anni più tardi), che trattano Delle opere drammatiche di Federico Schiller, e della canzone leopardiana Alla sua donna.
Alle lezioni tenute a Zurigo dobbiamo invece il Saggio critico sul Petrarca, pubblicato più tardi, gli appunti sulla poesia cavalleresca dal Pulci all'Ariosto, raccolti da Vittorio Imbriani, e gli articoli apparsi in gran parte fra il 1855 e il 1856 su giornali torinesi, e che costituirono poi, con qualche aggiunta, la prima raccolta di Saggi critici, pubblicata nel 1866. Vi sono notevoli, fra gli altri, gli scritti di argomento dantesco, parti di un'opera su Dante cui il De S. attendeva in quegli anni.
In essi la critica desanctisiana è già avviata alla sua maturità sgombra da eccessive preoccupazioni teoriche. La raggiunta età virile e le fortunose vicende affrontate hanno liberato l'animo dello studioso da quelle nebulose incertezze sentimentali che si avvertono nella sua critica giovanile. Si opera anche in lui il passaggio dal romanticismo a un realismo inteso in senso filosofico. Il giudizio estetico tende a cogliere, di là dagli schemi, la vivente realtà dell'opera d'arte e la personalità del poeta, sulla via già aperta genialmente dal Foscolo per ciò che riguarda l'interpretazione psicologica. Non vi sono limitazioni aprioristiche all'arte, la quale vale non in rapporto a questo o quel contenuto, ma nei limiti in cui esso ha potuto tradursi nella forma, attraverso il sentimento personale dell'artista. Perciò il critico non dovrà mai fare il processo alle idee, ai concetti, all'argomento assunto, in quanto tali, ma porger l'orecchio alla vita poetica, al valore espressivo onde concetti, idee e argomenti, vita morale e condizioni politiche e civili si animano nell'ispirazione dello scrittore.
Di qui la posizione del De S. nella critica romantica in generale. Mentre la vecchia critica classica s'era arrestata a giudizî generalmente formali e grammaticali, la critica romantica riallaccia vigorosamente la letteratura alla vita, e giudica la letteratura non alla stregua delle bellezze retoriche, ma in quanto è schietta espressione del sentimento, in quanto vibri in essa la vita dei tempi, con i suoi ideali, le sue aspirazioni, le sue lotte. Donde il metodo, tipicamente romantico, di ricercare la storia civile nella letteraria, comune a tutte le storie letterarie del nostro romanticismo. Se non che, la scuola lombarda e neoguelfa si era troppo impuntata sull'opposizione tra classico e romantico e, intransigente pel contenuto, che nella nuova letteratura doveva essere di necessità cristiano e cattolico, era finita nelle insofferenze del Tommaseo e del Cantù, nei quali l'irrigidirsi della critica moraleggiante doveva di necessità accompagnarsi a un ritorno della critica formalistica e retorica, dove certi principî della critica classica restano immutati. Anche il De S., per quanto riguarda il concetto della storia civile nella letteraria, rientra nel gran quadro della critica romantica; ma, uomo d'altro ambiente e d'altra preparazione, egli concepisce la storia letteraria con maggior libertà, e consente maggiore risalto ai singoli scrittori, mentre ha capacità incomparabilmente superiori di adesione ai varî contenuti artistici i quali, non urtando in preconcetti, vivono e si svolgono meglio e meglio appaiono nella loro particolare e diversa fisionomia. Il gusto romantico si manifesta piuttosto nel De S. in quell'amore dei contrasti e del colorito drammatico e nella contrapposizione cruda delle ombre e delle luci, ch'egli, in maniera quasi victorughiana, vagheggiava nell'arte moderna. Questi caratteri sono più appariscenti nella Storia della letteratura italiana, scritta dal De S. nel 1870, dopo che dal 1860 al 1868 gli eventi politici lo avevano distratto dagli studî letterarî.
La storia della letteratura italiana è presentata dal De S. nelle tre grandi partizioni di Medioevo, Rinascenza, Età moderna. Il mondo spiritualista e mistico è riassunto da Dante, il cui genio può nella prima cantica esprimere e rappresentare le forti passioni e i grandi personaggi poetici, laddove, poiché questo potente contenuto drammatico gli vien meno a grado a grado nelle due altre cantiche, e dà luogo al lirico, al mistico, all'incorporeo e all'astratto, l'elemento poetico viene a estinguersi a poco a poco, mettendo a più dura prova le risorse artistiche del poeta. Tramonta la potente sintesi dantesca; col Petrarca e col Boccaccio si esce dai simboli e dalle astrattezze teologiche e scolastiche per entrare nella realistica ricerca dell'uomo e del suo mondo. Nel corrompersi degli ideali ascetici si affermano e prevalgono un naturalismo di contenuto e un raffinato gusto della forma insieme congiunti, e via via, mentre il puro sentimento dell'arte soverchia e dissolve negli scrittori i sentimenti morali, religiosi e patriottici, il puro artefice della forma si sostituisce allo scrittore infiammato dagl'ideali morali; al poeta subentra l'artista, secondo la tipica definizione desanctisiana. Simbolo di questo secondo momento della vita letteraria italiana è l'Ariosto; dopo di lui vengono a mancare quei motivi che avevano creato la serena arte del Rinascimento, e la letteratura, attraverso il fastoso barocco, svapora nella musicalità del Metastasio e nelle leziosaggini dell'Arcadia. Ma una nuova fase, un nuovo risorgimento si preparava sin dai tempi del Machiavelli, del Bruno, del Telesio, del Campanella; e, col risorgere delle condizioni civili e culturali d'Italia nella seconda metà del Settecento, appare la nuova letteratura: Parini, Alfieri, Foscolo. Nel giudicare questi scrittori, il De S. ha sempre l'occhio al progresso delle forme ch'egli segue attraverso le singole persone degli scrittori, e che interpreta come avviato a una più compiuta risoluzione dei concetti ideali nel realismo dell'interpretazione: e da questo punto di vista è studiata l'arte manzoniana, in cui il tradizionale contenuto cristiano e morale, rappresentato in un mezzo storico e in un organismo sociale, si spoglia della sua generica e tradizionale astrattezza, diviene insomma, com'egli dice, "l'ideale calato nel reale", espresso con quella forza d'analisi e quella presenza dell'umorismo, onde è limitata e contemperata l'eccessiva idealità dell'argomento.
Si tratta dunque di una vigorosa e coerente interpretazione personale della nostra letteratura, condotta secondo principî che, come si è detto, s'inquadrano nella critica romantica per ciò che riguarda i rapporti tra vita e arte, e nella tendenza realistica dell'arte contemporanea. Questa storia desanctisiana è stata per un certo periodo censurata come sintesi troppo frettolosa e, per alcuni dati di fatto (pochissimi in verità, come è stato dimostrato), inesatta; poi la rinascita degli studî filosofici nel primo venticinquennio del nostro secolo le ha restituito il merito e l'importanza dovutile, e anzi l'estetica idealistica ha preso le mosse appunto dalle teorie desanctisiane. In ogni modo, la storia letteraria del De S. rimane il monumento dell'interpretazione romantica della letteratura italiana.
Affrettata nell'ultima parte per contingenze pratiche ed editoriali, la storia si continua nelle lezioni sul Manzoni, tenute dal De S. all'università di Napoli nel 1871-72, nella Letteratura italiana nel secolo decimonono, tratta essa pure da lezioni tenute nel 1872-73 e 1874, nello Studio su Giacomo Leopardi, argomento delle lezioni del 1876. I Nuovi saggi critici furono raccolti in volume nel 1872, e, in edizione accresciuta, nel 1879; vi sono notevoli particolarmente gli studî su Il Farinata di Dante, L'Ugolino di Dante, Ugo Foscolo, Giuseppe Parini, L'uomo del Guicciardini, La critica del Petrarca, e, utili all'intendimento di taluni principî desanctisiani, il Saggio sullo Zola, quello su Il principio del realismo e la conferenza su Il darwinismo nell'arte (1883).
Opere: Un'edizione completa delle opere del De S. in 18 volumi, metodicamente e criticamente disegnata, è stata iniziata a Napoli nel 1930, a cura di N. Cortese. Intanto si ricordano le edizioni delle principali opere: La giovinezza di F. De S., frammento autobiografico pubblicato da P. Villari, Napoli 1889; Le lezioni di letteratura di F. De S. dal 1839 al 1848, dai quaderni della scuola, in Critica, XIII, XIV, XV (1915-17); Saggio critico sul Petrarca, 2ª ed., Napoli 1883; La poesia cavalleresca: Pulci, Boiardo, Ariosto, appunti di lezioni, in Scritti vari inediti o rari, raccolti e pubblicati da B. Croce, Napoli 1892; Saggi critici, 3ª ed., Napoli 1874; Storia della letteratura italiana, 1ª ed., Napoli 1870-71; 1ª ed. critica a cura di B. Croce, Bari 1912; ed. popolare a cura di P. Arcari, Milano 1912; Manzoni, studi e lezioni, in Scritti vari cit., raccolti anche con notevoli aggiunte da G. Gentile, Bari 1922; La letteratura italiana nel secolo decimonono, scuola liberale, scuola democratica, lezioni raccolte da F. Torraca con prefaz. e note di B. Croce, Napoli 1897; Studio su Giacomo Leopardi, curato da R. Bonari, Napoli 1885; Nuovi saggi critici, 2ª ed., Napoli 1879; Saggi e Nuovi saggi a cura di P. Arcari, Milano 1914. Larga scelta in Antologia critica sugli scrittori d'Italia a cura di L. Russo, Firenze 1924. Per gli scritti politici, v. B. Croce, Per gli scritti e discorsi politici di F. De S., in Critica, 1913, p. 476 segg. La raccolta del Ferrarelli, Scritti politici di F. De S., Napoli 1889, è incompleta; cfr. B. Croce, Dai discorsi politici non mai raccolti di F. De S., in Critica, 1913.
Bibl.: Bibliografia delle opere complete del D. S., e degli scritti intorno a lui in B. Croce, Gli scritti di F. D. S. e la loro varia fortuna, Bari 1917; aggiornamento in Critica, XXI (1923). Del Croce anche i principali studî sul De S.; cfr. specialmente, Estetica, 6ª ed., Bari 1928, cap. 15°; La letteratura della nuova Italia, 3ª ed., Bari 1929, I. Inoltre: G. A. Borgese, Storia della critica romantica in Italia, Milano 1920, cap. 17°. Sull'attività politica del De S., v. B. Croce, prefazione a La letteratura italiana nel secolo XIX, Napoli 1897; L. Russo, F. De S. e la cultura napoletana, Venezia 1928.