DEL BAILO, Francesco
Più noto con il nome umanistico Francesco Alunno ("Fr. Musarum Alumnus, Fr. Pieridum verus Alumnus"), nacque a Ferrara presumibilmente nel 1484 da Niccolò e da Beatrice Ronchegallo. Della famiglia paterna, appartenente alla piccola nobiltà ferrarese, non conosciamo esponenti di rilievo. Più importante, per la formazione del D., l'influenza colta ed intellettuale esercitata dalla famiglia materna ed in particolare da Giovanni Ronchegallo Ghioldi, poeta e lettore del Petrarca, giurista famoso e insegnante di diritto allo Studio ferrarese e a quello pisano; a lui il D. dedicò la sua prima opera, le Osservazioni sopra il Petrarca.
È probabile che il D. abbia ricevuto a Ferrara una prima formazione scolastica ed umanistica: la menzione del minorita Agostino de' Righini "mio molto reverendo padre e Maestro" (Fabrica..., s. v. Ferrara) è forse soltanto un segno di deferenza ed omaggio verso il famoso predicatore e consigliere privilegiato dei duchi estensi. Non abbiamo infatti testimonianze che il D. abbia seguito l'insegnamento filosofico e teologico nella scuola ferrarese del Righini, né egli mostra mai una particolare cultura o interesse religioso. È ben vero tuttavia che nei Diari udinesi, Gregorio Amaseo narra una visita fatta il 2 nov. 1539 all'Aretino in Venezia, insieme con Tiberio Deciano e "pré Fr. Alunno"; è possibile dunque che il D. abbia preso, non più giovanissimo, lo stato ecclesiastico forse proprio per influenza del suo coetaneo e compatriota Righini.
Pur rimanendo sempre legato alla sua città natale, dove contava parenti e amici tra i funzionari intellettuali della corte estense come A. Guarino e B. Ferrino, al quali ricorreva per consigli anche letterari, il D. visse gli anni della giovinezza e della maturità fra Udine e Venezia.
In Udine lo troviamo, nominato nella serie cronologica dei maestri del ginnasio per il 1503, 1529-32, 1535 e regolarmente stipendiato, come maestro di aritmetica, abachista e calligrafo. Egli ebbe questa città "non meno cara che la natia patria Ferrara, imperciò che potrei quasi con verità dire di aver fatto in essa tanto di profitto quanto in me si ritrova e sì nell'arte dello scrivere e dell'arithmetica come nella lingua volgare et in altre facultati quali per hora lasciamo" (Fabrica..., s. v. Udine).
Il D. sembra aver dunque completato la sua formazione in questa brillante città del dominio veneziano, dove viveva fino al 1510 un calligrafo famoso, Eustachio Celebrino; e Niccolò Liburnio, cortigiano di Domenico Grimani patriarca d'Aquileia, in Udine scriveva Le tre fontane (Vinegia, G. de Gregori, 1526), il primo dei vocabolari repertori cinquecenteschi dedicati alla lingua di Dante, Petrarca e Boccaccio.
In Udine il D. insegnò con successo, lasciò il suo incarico ad un allievo fidato, Antonio Glisolino, si legò d'amicizia con importanti personaggi cittadini: i due fratelli Amaseo, Gregorio e Girolamo, umanisti e giuristi; Tiberio Deciano e Bartolomeo Lovaria, legisti.
Da Udine il D. passò a Venezia, dove compare nei registri ufficiali a partire dal 1532, stipendiato come maestro di calligrafia: "in questa città rallegromi benemeco spesso di aver speso la maggior parte de' miei più fruttuosi anni, con assai honorato stipendio dell'ecc.mo Consiglio dei X, per rendere disciplinati i giovini de la loro Cancelleria et fargli adorni di bellissimi caratteri delle nostre nuove foggie di lettere" (Fabrica..., s. v. Vinegia). Venezia fu per il D. una seconda patria, qui egli organizzò la sua attività e stabilì la sua dimora, se ne allontanò soltanto per brevi viaggi a Ferrara, Bologna, Roma.
Il D. morì a Venezia l'11 nov. 1556 dopo una breve malattia.
L'editoria veneziana, in fase d'espansione nel secondo trentennio del secolo, fu l'ambiente ideale per la pubblicazione delle poderose fatiche lessicografiche del Del Bailo. Le Osservazioni sopra il Petrarca furono edite presso F. Marcolini nel 1539 estampate insieme al testo del Canzoniere e dei Trionfi che era stato curato da P. Bembo per Aldo Manuzio nel 1501.
È un indice di tutti i vocaboli petrarcheschi con la "dechiaratione delle voci e de' luoghi difficili": un vocabolario alfabetico ed insieme un lavoro di concordanze. La seconda edizione (Venezia, P. Gherardo, 1550), corretta in più luoghi dall'autore, è interessante, più che per la scialba invenzione di uno scambio epistolare diretto con il Petrarca (dove il D. è definito "eccellente notomista delle composizioni volgari"), per una lettera di G. Ruscelli che descrive all'opera, intorno alla stampa delle Osservazioni, un vero e proprio sodalizio letterario-editoriale formato dallo stesso Ruscelli, dal Dolce, dall'Aretino e dal Del Bailo. Gli anni veneziani furono infatti per il D. (che seguitò ad esercitare la professione di "pedante" sia pure in una "scola" prestigiosa come quella della Cancelleria) l'occasione di una proficua collaborazione con l'industria tipografica; non soltanto come autore e revisore di testi propri, ma anche, se è vera l'ipotesi del Mardesteig (p. 447), come disegnatore ed incisore dei punzoni per le stampe corsive del Marcolini. L'abilità calligrafica del D. fu infatti celebrata dai contemporanei più che non la sua sapienza filologica. In una lettera da Venezia in data 27 nov. 1537, l'Aretino lo supplicava per avere in dono un alfabeto miniato e ricordava come a Bologna, nel 1530, l'imperatore Carlo V ed il pontefice Clemente VII fossero stupefatti davanti ai cartoni calligrafici del D. ed alla sua abilità di micrografo, capace di trascrivere il Credo e l'Incipit "nello spazio di un dinaio". Di questa sua perizia il D. aveva fatto una vera e propria industria: "io ho fatto mostre e cartoni ad altri scrittori che sono nominati famosi e che sono stati mostri quasi per tutta Italia per suoi..." (Fabrica..., s. v. scriptor). La Biblioteca universitaria di Genova possiede alcuni di questi cartoni (Fondo Gaslini nuova segnatura: G VI 18).
Al lavoro sul Petrarca il D. fece seguire uno analogo sul Boccaccio: l'indicazione di un modello petrarchesco per le scritture in versi e boccacciano per la prosa è dunque fedelmente rispettata. Le Ricchezze della lingua volgare sopra il Boccaccio (Vinegia, Figliuoli d'Aldo, 1543, ibid. 1551; ibid., G. M. Bonelli, 1555 e reprint Milano 1962; Vinegia, P. Gherardo, 1557) sono dedicate al card. Alessandro Farnese.
Si tratta di un indice del Decameròn condotto sull'edizione curata da A. Delfino per i da Sabbio nel 1526. In appendice il D. pone le Regolette particolari della volgar lingua (ristampate anche negli Auttori del bel parlare, Venezia 1643, insieme ad altri testi grammaticali cinquecenteschi) in cui è avvertibile l'influenza del Bembo e dell'Accarisio. A questa breve grammatica seguono elenchi di parole straniere (latine, greche, provenzali, francesi, spagnole, tedesche, inglesi, gote) e dialettali, termini tratti da gerghi (marinareschi, militari, "voci de archimisti ed abachisti", ...), serie di allografi ed omografi, voci toscane arcaiche, proverbi, voci poetiche e prosastiche. Tutti questi materiali sono indice, nel D., di una curiosità linguistica e di un gusto originariamente più eterogeneo di quello bembesco. Non a caso, nel passaggio dalla prima alla seconda edizione delle Ricchezze rimane ferma la distinzione tra "voci che si usano in verso" e "voci che si usano in prosa", mentre sono eliminate tutte le forme dialettali e straniere ad eccezione di quelle appartenenti all'alta tradizione letteraria provenzale. Il successo editoriale di quest'opera fu grandissimo, se nella lettera dedicatoria dell'edizione del 1551 il D. dichiarò di aver esaurito in breve tempo 2.000 copie della prima edizione. Certo il D. si aspettava qualche riconoscimento dalla corte romana, il cui favore aveva cercato, senza troppa fortuna, fin dal tempo di Clemente VII (Fabrica..., s. v. Roma). Non riuscendo a diventare un cortigiano, il D., maestro autorevole, scrittore di successo, calligrafo ricercato, si avvicina al tipo cinquecentesco dell'intellettuale professionista; anche se la sua personalità è più povera di quella del suo amico Aretino, meno spregiudicata di quella di Matteo Franco, del Doni o del Ruscelli. Nella lettera famosa a F. Marcolini del 27 nov. 1540, l'Aretino disegnò del D. la figura ironica di un travet della letteratura: "Ma chi non lo invidiaria, avendo egli trovato la virtù d'una nuova pazienza e la maniera d'una strana facilità?". Di fatto l'importanza del lavoro lessicografico del D. è proprio nell'aver esaminato da vicino, pedantemente, il vocabolario dei due autori che l'autorità del Bembo proponeva all'imitazione.
La Fabrica del Mondo (Venetia, Niccolò de' Bascarini, 1548; ibid., P. Gherardo, 1556 ecc.: nel '500 furono fatte dodici edizioni) è la summa delle fatiche del Del Bailo.
In essa si contengono "tutte le voci di Dante, Petrarca, Boccaccio e d'altri buoni autori... con le quali si ponno scrivendo isprimere tutti i concetti dell'huomo di qualunque cosa creata". La dedica a Cosimo de' Medici si conclude nell'esaltazione della lingua toscana e dell'Accademia fiorentina. Quest'opera è la fonte principale per la ricostruzione della biografia del D., che, prendendo spunto da voci come "scriptor", "Vinegia", "Beatrice"..., ci informa sul suo lavoro, i suoi amici, i suoi viaggi. Sul piano filologico-linguistico si può notare uno spostamento da idee sostanzialmente vicine a quelle bembesche (lingua della prosa-lingua della poesia; canone fiorentino trecentesco) verso una posizione più sfumata; accanto a Dante, Petrarca e Boccaccio compaiono Ariosto e Sannazaro, costruendo l'immagine di una lingua comune d'alta tradizione letteraria. Ma l'aspetto più interessante della Fabrica è il suo ingenuo carattere cosmografico: "in essa si contengono, sotto bellissimo ordine, tutte le cose overo materie dell'Universo... chiuso ed ordinato sotto dieci capi principali cioè Dio, Cielo, Mondo, Elementi, Anima, Corpo, huomo, qualità, quantità, Inferno... in tal modo che volendo parlare alcuna materia, come saria di guerra e di tutte le cose appartenenti a quella, tu anderai al Cielo... e nell'ordine de' Pianeti troverai Marte, sotto i capi del quale troverai guerra...". Il pedante vocabolario degli auctores volgari ha l'ambizione di proporsi come dizionario analogico di tutto il sapere umanistico.
Fonti e Bibl.: Diarii udinesi dall'anno 1508 al 1541 di Leonardo e Gregorio Amaseo e G. A. Azio, a cura di A. Ceruti, Venezia 1884, p. 471; N. Franco, Le pistole volgari, Vinetia 1539, c. 39; G. Giraldi Cinthio, Discorsi, Vinegia 1554, pp. 88 s.; P. Aretino, Il primo libro delle lettere, a cura di F. Nicolini, Bari 1913, pp. 310 ss.; Id., Il secondo libro delle lettere, a cura di F. Nicolini, Bari 1916, I, p. 180; II, pp. 6 s.; Id., Teatro, a cura di G. Petrocchi, Milano 1971, p. 161; A. F. Doni, La libraria, a cura di V. Bramanti, Milano 1972, p. 104; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, Brescia 1753, pp. 552-57; L. Barotti, Memorie istor. di letterati ferraresi, Ferrara 1793, II, pp. 121-26; G. Fontanini, Biblioteca dell'eloquenza ital. Con le annotazioni di Apostolo Zeno, I, Parma 1803, pp. 65-71; L. Arrigoni, F. Alunno da Ferrara, Firenze 1885; S. Casali, Annali della tipografia veneta di F. Marcolini, Bologna 1953, pp. 103-105; O. Olivieri, I primi vocabolari ital., in Studi di filol. ital., VI (1941), pp. 127-49; A. Gallina, Contributo allo studio della lessicografia italo-spagnola, Firenze 1959, pp. 43-46; G. Mardesteig, F. Alunno da Ferrara, noto grammatico ma calligrafo sconosciuto, in Un omaggio a R. Mattioli, Firenze 1970, pp. 425-52.