DELITALA, Francesco
Nacque il 28 febbr. 1883 a Orani (prov. di Nuoro) da Bardilio, medico condotto, e da Adelaide Corti. Seguì a Sassari gli studi di medicina frequentando, come allievo interno, gli istituti di farmacologia e di clinica chirurgica e brillantemente laureandosi nel 1908 con una tesi, poi pubblicata, su argomento chimico-farmacologico. Già da studente aveva dato alle stampe alcune note a carattere sperimentale. L'anno seguente entrava, quale assistente di laboratorio, all'Istituto ortopedico Rizzoli di Bologna, diretto da A. Codivilla. Se veramente la sorte lo favorì, come egli stesso affermava, portandolo giovane assistente in quell'istituto sotto la guida di due grandi maestri, il Codivilla e V. Putti, largamente egli la ripagò, poiché seppe raggiungere le massime vette con le doti del suo ingegno. Assistente per cinque anni (prima in laboratorio, poi in chinesiterapia, indi in divisione chirurgica), diveniva aiuto nello stesso istituto nel 1914 sotto la guida del Putti, essendo intanto scomparso il Codivilla. Sempre nel 1914 conseguì la libera docenza in clinica ortopedica. Chiamato alle armi nel 1915 col grado di capitano, prestò servizio fino al 1917 all'Istituto Rizzoli, addetto alla cura chirurgica e alla protesizzazione dei monconi delle migliaia di soldati mutilati ivi ricoverati.
Nell'agosto 1917 fu assegnato come caporeparto all'ospedale militare di Cividale, dove rimase fino al 1918. Tornato a Bologna col grado di maggiore, riprese l'attività sotto la guida del Putti e nel maggio 1918 fu nominato aiuto della clinica chirurgica dell'università. Mantenne tale posto fino al novembre 1920, quando si trasferì all'ospedale civile di Venezia, come primario di ortopedia e chirurgia infantile, avendo vinto il relativo concorso. Assumeva, inoltre, la consulenza chirurgico-ortopedica, soprattutto per la cura della tubercolosi osteoarticolare, in alcuni istituti marini del Veneto.
Il periodo veneziano (1920-1939) fu particolarmente fecondo per l'intensa attività chirurgica, per l'approfondimento di problemi clinici e anatomopatologici dello scheletro, nonché per lo studio di applicazioni tecniche in traumatologia. Ne fanno fede le pubblicazioni sulla tubercolosi osteoarticolare, sul trattamento causale della lussazione abituale di spalla, sulla pressione diretta sullo scheletro: sparse in riviste della specialità e di medicina, sono in buona parte raccolte nel volume Scritti medici, pubblicato a Bologna nel 1973 a cura degli allievi.
Nel 1923 il D. ebbe l'incarico ufficiale della cattedra di clinica ortopedica presso l'università di Padova, incarico che mantenne per sedici anni, fino al 1939. Lo stesso anno venne nominato insegnante nel corso di perfezionamento in chirurgia generale e in pediatria. Svolse, inoltre, intensa attività didattica ospedaliera, come è documentato da 380 lezioni della "Scuola Minich" tenute a medici e studenti in Venezia.
Sposatosi nel 1922, ebbe tre figli: la sua serena vita famigliare doveva venire funestata dalla tragica morte, nel 1957, per tumore vertebrale maligno, della primogenita Elena, che il D. stesso operò, insieme con i suoi allievi, e seguì in tutta la drammatica evoluzione fino alla morte. In quei mesi, assistendo giorno e notte la figlia, scrisse il libro Endoprotesi (Bologna 1956).
Nel 1939 il D. vinse il concorso per la cattedra di ortopedia dell'università di Napoli, ma l'anno seguente, in seguito alla morte del Putti, venne chiamato alla cattedra di clinica ortopedica dell'università di Bologna e alla direzione dell'Istituto Rizzoli.
Iniziava così un periodo di lavoro particolarmente fecondo, che continuava la gloriosa tradizione del Putti. Poi vennero gli anni della seconda guerra mondiale e l'Istituto Rizzoli, occupato dai Tedeschi, dovette trasferirsi altrove. Terminata la tragedia, il D. con rinnovato vigore tornava al colle di San Michele in Bosco a dirigere l'Istituto. Ideava tecniche chirurgiche che portavano l'ortopedia bolognese ad ampi riconoscimenti, mentre la produzione scientifica del maestro e dei suoi allievi si allargava, interessando molti campi dell'ortopedia e della traumatologia. Oltre 800 malati, provenienti da tutto il paese e da oltre il confine, affollavano, in lunga lista d'attesa, le corsie dell'Istituto Rizzoli; l'attività ferveva, schiere di giovani venivano ad addestrarsi in quella grande "palestra ortopedica", numerosi erano gli allievi provenienti da ogni parte d'Italia e dal Sudamerica.
Alla fine del 1953, per raggiunti limiti di età, il D. lasciava la direzione del Rizzoli e l'insegnamento universitario, per ritirarsi a vita privata. Continuò l'attività professionale per alcuni anni, poi la cessò dedicandosi agli studi umanistici e di storia della medicina, alla numismatica, alla pittura. Nel libro che chiude la sua vita e che egli volle argutamente intitolare Tra bisturi e scalpelli, le penne e i pennelli facciamo punto e basta, figura una raccolta dei suoi quadri, di incisioni, medaglie commemorative e di storia nella medicina.
Operato nel 1957 per malattia maligna intestinale, affrontava gli anni da vivere, ottimisticamente sperando in una lunga sopravvivenza. Aveva ragione: sarebbe morto centenario, a 100 anni e 5 mesi a Bologna il 29 luglio 1983.
Il D. aveva avuto la ventura di vivere, sempre in prima persona e con incisiva presenza, i grandi mutamenti della ortopedia: dall'inizio, quando essa si staccava dalla matrice della chirurgia generale ed entrava nelle sale operatorie con l'antisepsi, fino all'era più recente. Nel 1974, nel suo discorso inaugurale al congresso nazionale della Società italiana di ortopedia e traumatologia, affermava: "la vecchia ortopedia, intesa nel senso classico del termine, è morta, perché è mutato il terreno sul quale lavora".
Uomo dalla personalità multiforme, chirurgo abilissimo, dinamico realizzatore, era dotato di un acuto senso critico al letto del malato come nella vita. Portato alla sintesi in ogni forma di pensiero, non rifuggiva dalla polemica, fino alla pungente, ma non astiosa, ironia, sorridendo, alla fine, dei difetti degli altri, concedendo poco all'indulgenza verso se stesso.
Le sue doti pratiche risaltavano particolarmente nella sala operatoria, nelle originali lezioni universitarie nelle quali rifuggiva dalla "pomposa, facile accademia", ma anche in ogni azione, in ogni atto della vita, secondo uno stile personale, inconfondibile. Caposcuola non comune, si poteva bene definire concettoso ma sintetico, concreto ma immaginifico, un misto di pragmatismo e fantasia. Fu relatore ufficiale a numerosi congressi nazionali e internazionali della specialità. Per tre periodi (1923; 1937-39; 1947-48) venne eletto presidente della Società italiana di ortopedia e traumatologia, la più antica società specialistica chirurgica del mondo, fondata quando il D. era bambino.
Quale presidente o quale socio, partecipò intensamente alla vita di varie associazioni culturali. Gli veniva conferito, negli ultimi anni della vita, il titolo di "Membre d'honneur" della Società internazionale di ortopedia e traumatologia, mai conferito prima a un italiano. Era stato invitato più volte a tenere conferenze e a dare dimostrazioni chirurgiche in vari paesi del Sudamerica: acclamato ovunque, portava i frutti della sua grande esperienza di chirurgo e di scienziato, maturata sulla imponente casistica raccolta ed elaborata a Venezia e all'Istituto Rizzoli di Bologna.
La produzione scientifica del D. fu vastissima e spaziò pressoché in tutti i campi dell'ortopedia.
Dopo alcuni lavori sperimentali di farmacologia pubblicati prima della laurea, diede alle stampe 280 lavori scientifici. Se ne citano qui alcuni, riferiti ai principali argomenti elaborati. Alla lussazione abituale di spalla portò un contributo fondamentale, chiarendone i presupposti anatomopatogenetici e proponendo una tecnica chirurgica semplice e razionale, attuata per la prima volta nel 1936 a Venezia, in grado di risolvere alla base la causa della lesione. Sull'argomento, dopo le comunicazioni presentate alla Società medico-chirurgica veneziana nel 1937 e alla Società emiliana romagnola di chirurgia nel 1942, pubblicava nel 1947 il lavoro magistrale Il fondamento anatomo-patologico e la cura della lussazione abituale di spalla (in Chirurgia degli organi di movimento, XXXI[1947], e in Scritti medici, Bologna 1973, pp. 665-676). Pochi interventi chirurgici, come quello in parola, possono vantare risultati costantemente positivi. Un po' amareggiato, constatava come la tecnica da lui ideata, consistente nella fissazione con chiodino della capsula e del cercine disinseriti, venisse attribuita ad altro autore oltre Atlantico.
Altro studio fondamentale è quello relativo all'ernia del disco e alla sciatica vertebrale. Dopo aver reso note nel 1935 le prime esperienze nella terapia chirurgica della sciatica, ne chiariva l'origine vertebrale quando dominava ancora il concetto della eziologia "reumatica" che, come egli scriveva, "copre soltanto la nostra ignoranza"; l'esperienza acquisita successivamente all'Istituto Rizzoli con il perfezionamento della tecnica chirurgica veniva sintetizzata nella fondamentale monografia data alle stampe in collaborazione con A. Bonola, Ernia del disco e sciatica vertebrale (Bologna 1943), basata su 217 casi operati. Sull'argomento seguivano successivamente altre note (Sulle sciatiche ribelli da ernia del disco, in Scritti medici, pp. 661 s.; Osteofiti vertebrali e sciatalgia, ibid., pp. 693 ss.; Interrogativi sull'ernia del disco intervertebrale, ibid., pp.747-752; Lombaggini e sciatalgie viste dal medico pratico, ibid., pp. 867-874).
Nel campo delle endoprotesi fu un precursore e un tenace sostenitore, essendosi interessato al problema già a Venezia, nel 1936, e avendo perfezionato successivamente il metodo al Rizzoli con nuove soluzioni tecniche fin dal 1941, quando, negli anni dell'ultimo conflitto, erano interrotti i contatti con l'estero. Usava endoprotesi diafisarie e articolari in sostituzione di segmenti scheletrici resecati per tumori e per esiti di osteomielite e di traumi. Dopo i primi, incerti risultati e insuccessi, metteva a punto i fondamenti biologici e meccanici che chiaramente illustrò nella monografia Endoprotesi (Bologna 1956), senza dubbio la summa di tutta la sua esperienza. In precedenza aveva dato alla stampa alcune memorie sullo stesso tema (L'endoprothèse métallique des os et des articulations chez l'homme, in Scritti medici, pp.683-692; Sostituzione di grandi segmenti scheletrici e di articolazioni mediante endoprotesi, ibid., pp. 799-802; Le endoprotesi in ortopedia, ibid., pp. 817-824).
Sempre nell'impiego di endoprotesi metalliche è da ricordare il tetto metallico ideato per le sublussazioni dell'anca (Il tetto metallico nella sublussazione dell'anca, ibid., pp. 755-758), nonché il chiodo endomidollare "perduto" a rinforzo del trapianto osseo nella cura delle pseudoartrosi diafisiarie (Dauernd verbleibender Marknagel bei Pseudarthrosenbekrandlung, ibid., pp. 713-721).
Per la cura chirurgica della lussazione congenita inveterata dell'anca eseguiva a Venezia, nel 1926, l'abbassamento-artrodesi. La tecnica, illustrata nel 1946 in collaborazione con C. Pais, fu successivamente presentata con abbondante casistica (Risultati a distanza in 50 casi di riduzione artrodesi per lussazione congenita inveterata unilaterale dell'anca, ibid., pp. 709-712).
Ad altri argomenti portò, sovente, il contributo di geniali intuizioni: la poliomielite, le paralisi spastiche, l'artrodesi mista di spalla con viti, l'artroplastica dell'anca con fascia lata. Sistematizzò la tecnica della mobilizzazione forzata nelle rigidità articolari; sulla tubercolosi osteo-articolare scrisse vari contributi maturati su una vasta esperienza vissuta a Venezia e in diversi istituti eliomarini; in traumatologia s'interessò di svariate lesioni di pace e di guerra (fra l'altro, fu relatore al IX Congresso nazionale della Società italiana di ortopedia e traumatologia, tenuto a Milano nel 1918, sugli esiti delle lesioni articolari da ferite di guerra e sul loro trattamento); sulla patologia dei monconi di amputazione scrisse numerosi contributi, proponendo soluzioni tecniche personali. Ideò strumenti e apparecchi, tra cui il metodo della pressione diretta sullo scheletro per le fratture scomposte (La pressione diretta sullo scheletro, ibid., pp. 519-525).L'elenco potrebbe continuare, ma i cenni forniti paiono sufficienti a dimostrare la vastità degli interessi scientifici del D., che in ogni studio clinico o argomentazione patogenetica e ancora più in ogni proposta di innovazione chirurgica procedeva con intuizione, prudenza, meditato controllo, prima di accettarne le risultanze definitive. Diede alle stampe alcune monografie riguardanti la vasta esperienza maturata a Venezia come primario e a Bologna come direttore dell'Istituto Rizzoli: Le deformità del ginocchio consecutive ad artrosinovite (Bologna 1918); Gli apparecchi ortopedici (ibid. 1920); Un centro ospedaliero di ortopedia-traumatologia e chirurgia infantile (Padova 1936). Pubblicò un Trattato di tecnica ortopedica e traumatologica, in coll. con R. De Gennaro (Milano 1950) e collaborò al quinto volume del Trattato di semeiologia fisica e diagnostica chirurgica generale e speciale di D. Taddei col capitolo Traumatismi e malattie dello scheletro e degli arti (Torino 1927, pp. 1-227); al Manuale di pediatria di G. Frontali, con la parte Nozioni di ortopedia indispensabili per il pediatra (Torino 1936, pp. 749-806); al trattato Tubercolosi extrapolmonare di M. Donati, con Tubercolosi osteo-articolare dell'arto superiore (II vol., Milano 1938, pp. 787-824). Infine pubblicò numerosi studi di storia della medicina, tra i quali è da ricordare particolarmente quello su Domenico Cotugno ed il suo studio "de Ischiade nervosa"(in Scritti medici, Bologna 1973, pp. 699-708). Tracciò, inoltre, il profilo biografico di molti chirurghi ortopedici del passato e suoi contemporanei. In una interessante monografia raccoglieva e illustrava il prezioso materiale della biblioteca del maestro Putti (incunaboli, libri rari, medaglie, ferri chirurgici del passato). Fino agli ultimi anni di vita continuavano a comparire i suoi scritti in Chirurgia degli organi di movimento (la rivista fondata dal Putti e diretta in seguito dal D.); gli argomenti erano i più vari: ricordi e commenti di casi clinici non comuni, riflessioni sullo sviluppo della chirurgia ortopedica, commenti e critiche a nuove metodiche di cura.
Pubblicava anche fino all'ultimo in riviste letterarie racconti, novelle, aneddoti, spesso accompagnando il testo con briosi disegni e schizzi caricaturali. In ogni pagina portava il suo inconfondibile spirito arguto e un instancabile humour. Nel volume Il satiro ela vergine, edito a Napoli nel 1971, sono condensati molti dei suoi scritti non scientifici: è possibile cogliervi l'aspetto extramoenia (come è detto nella presentazione di E. Buccafusca) dello scienziato e del maestro, che traspare da una prosa sobria, asciutta, scattante, concreta, così come egli era. Nello stesso anno usciva anche Pateticoaddio ai miei libri (ricordi di un chirurgo), in Chirurgia degli organi di movimento, LIX (1971), pp. 299-305. Nel libro già citato Tra bisturi e scalpelli, le penne e i pennelli, facciamo punto e basta (pubblicato nel 1981) è racchiusa la sua vita, raccontata col distacco del saggio, senza rimpianti, ma col sorriso di chi l'ha vissuta interamente, in profondità.
Fonti e Bibl.: Necrol. in Chirurgia degli organi di movim., LXVIII (1982-83), I, pp. 1-6; in Atti d. Acc. di scienze d. Ist. di Bologna, X (1982-83), pp. 115-125; in Arch. "Putti"..., XXXIII (1983), pp. 465-468; in Giornale italiano di ortopedia e traumatologia, X (1984), 3, pp. 8 s.; L. Bader, L'Istituto Rizzoli e la scuola bolognese di chirurgia ortopedica, Bologna 1965, pp. 244-259; S. Mastragostino, F. D., in Chirurgia d. organi di mov., LXVII (1981-82), 6, pp. 741 s.; M. Paltrinieri, La cerimonia del 27 marzo 1983 all'Istituto Rizzoli per il compimento dei 100 anni del prof. F. D., ibid., pp. 735-739.