Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’eredità tecnologica di Taccola, compresa la sua passione per l’antico, viene raccolta da Francesco di Giorgio Martini, artista-ingegnere senese, ricordato, oltre che per i contributi artistici e architettonici, per l’importante ruolo avuto nello sviluppo della letteratura tecnica: egli è il primo ingegnere di formazione esclusivamente tecnica la cui carriera può essere presa come modello per mostrare l’evoluzione sociale e intellettuale degli artisti-ingegneri del XV secolo.
La tecnologia scritta e disegnata
Animato da curiosità e interessi che spaziano in tutti gli ambiti delle arti, Francesco di Giorgio Martini è pittore, scultore, ingegnere militare, meccanico e soprattutto architetto. Legato professionalmente al duca di Urbino Federico da Montefeltro e membro attivo della Camera del Comune di Siena, sono numerose le sue opere di architettura; fra le più importanti vi è il completamento del palazzo ducale di Urbino, per il quale concepisce il fregio esterno, formato da 72 formelle in pietra, lavorate a bassorilievo, rappresentanti macchine da guerra e civili che suggellano sul piano monumentale l’importanza della tecnologia militare. Francesco di Giorgio è inoltre ideatore e costruttore di numerose rocche nel Montefeltro, concepite con la caratteristica forma arrotondata, così pensata per ridurre l’effetto dei colpi delle artiglierie. Sempre per quanto riguarda l’architettura militare a Francesco di Giorgio si attribuisce anche l’invenzione delle fortezze a pianta pentagonale.
Nella sua lunga carriera Francesco di Giorgio si occupa anche di ingegneria civile e militare e nella seconda parte della sua vita si impegna nella riqualificazione professionale della propria disciplina. Il 6 luglio 1475, rientrato a Siena da Urbino, chiude la sua bottega per non riaprirla mai più. Francesco si lascia alle spalle i suoi esordi di artista e ingegnere legati alla dimensione culturale delle botteghe artigiane, per trasformarsi in un intellettuale dell’architettura e dell’ingegneria, dedito allo svolgimento di un’attività esclusivamente progettuale e di rappresentanza pubblica e politica per la gestione e lo sviluppo del patrimonio tecnologico della Repubblica senese. Spinto dall’interesse per l’architettura e la meccanica degli antichi, Francesco si impegna in una traduzione del De architectura di Vitruvio dal latino all’italiano che culmina con la stesura, eseguita di proprio pugno, di un trattato di architettura nel quale la sua esperienza personale viene a fondersi in maniera critica con quella degli antichi. Questa traduzione di Vitruvio mette in risalto la tensione che anima l’esperienza intellettuale di Francesco e si pone come un tentativo emblematico, che sottolinea il raggiungimento di una notevole autonomia culturale.
Il recupero critico dell’architettura di Vitruvio conferisce al pensiero di Francesco di Giorgio il rigore e la sistematicità necessari per sviluppare in maniera organica le sue conoscenze. Prendendo Vitruvio come modello, ma anche approfondendo il pensiero di altri autori antichi come per esempio Aristotele, Francesco compie notevoli progressi sul piano dell’organizzazione teorica degli argomenti che intende trattare.
Nel preambolo della seconda stesura del suo Trattato di architettura Francesco afferma di procedere all’esposizione della scienza dell’architettura secondo lo schema fissato da Aristotele per la fisica, che prevede di trattare gli argomenti procedendo dalle cose universali a quelle singolari. Questa maturazione scientifica di Francesco emerge chiaramente da un confronto delle due stesure del trattato di architettura da lui prodotte negli anni Ottanta e negli anni Novanta del XV secolo, in cui possiamo vedere come gli incerti tentativi di introdurre un criterio di organizzazione e classificazione razionale dei dispositivi idraulici e meccanici, che caratterizzano la prima stesura, nella seconda versione diventano rigide categorie per tipi che registrano i principi fondamentali di un determinato sistema tecnologico, poi variabile all’infinito in relazione alle esigenze dell’artefice. A questi sforzi teorici corrispondono anche notevoli progressi per quanto riguarda la scansione grafica dei dispositivi tecnici, ora presentati con un estremo rigore prospettico e disegnati all’interno di originali strutture ideali con le quali viene fissata in maniera chiara l’architettura dei leveraggi e dei ruotismi componenti la macchina. In alcuni casi Francesco introduce anche riferimenti quantitativi che inducono a pensare a un tentativo di standardizzazione dei dispositivi disegnati, mentre altre volte si sofferma a riflettere sulle cause del funzionamento di una macchina e su come migliorarne il rendimento.
La seconda stesura del Trattato di architettura mette in evidenza come Francesco fosse ormai distante dal contesto culturale delle botteghe artigiane, nelle quali ogni questione tecnica costituiva un caso a se stante e l’abilità del maestro d’arte era determinata dal numero di casi che si riusciva a risolvere. Con Francesco di Giorgio la tecnica si caratterizza come un sapere rigoroso, determinato da un approccio geometrico-matematico, senza tuttavia irrigidirsi in una serie di giudizi incontrovertibili di tipo dogmatico. I suoi precetti, infatti, si configurano come delle linee guida generali che hanno lo scopo di aiutare l’architetto a prendere una decisione ma, nel caso in cui la questione rimanga controversa, questi non deve esitare a tornare sui suoi passi, confidando nella propria esperienza e nelle soluzioni che hanno incontrato un successo maggiore. Si tratta di un atteggiamento epistemologico inedito, che finirà col porsi come alternativa al sapere di tipo assiomatico-deduttivo caratteristico della filosofia del periodo e che tra la fine del XV e gli inizi del secolo successivo si concretizza proprio nelle opere di artisti-ingegneri come lo stesso Francesco di Giorgio, Leonardo da Vinci e Vannoccio Biringuccio.
Senza pervenire al livello di astrazione e generalità raggiunto da Leon Battista Alberti nel suo De re aedificatoria, Francesco mette in evidenza come negli scritti di architettura non si possa prescindere dal disegno e reinserisce in questa disciplina quel sapere tecnico che in Taccola si era sviluppato in sostanziale autonomia. L’assimilazione del corpus tecnologico di Taccola da parte di Francesco di Giorgio segna la nascita di una tradizione letteraria scandita dalla redazione di trattati di architettura nei quali è dedicato ampio spazio alle macchine e da album che raccolgono numerosi disegni di dispositivi tecnici ripresi più volte dalle generazioni successive di ingegneri e architetti.
I trattati
La prima opera manoscritta attribuibile a Francesco è un taccuino tascabile noto come Codicetto, oggi alla Biblioteca Apostolica Vaticana di Roma (ms. Lat. Urb. 1757). Si tratta di un quaderno per appunti e schizzi la cui compilazione deve essere fatta risalire agli inizi dell’attività di Francesco a Siena, verso il 1465-1470. Il taccuino viene utilizzato anche dopo il trasferimento a Urbino nel 1477, quando vi aggiunge numerosi soggetti architettonici e militari. I temi principali di questo manoscritto riguardano la tecnologia delle macchine che egli recupera, interpretandola talvolta in maniera originale, da Taccola. Gli elementi tecnologici più innovativi che non trovano riferimento in Taccola sono l’utilizzo del dispositivo pignone-cremagliera e l’abbinamento del volano al sistema biella-manovella per vincere i tempi morti nel moto rettilineo-alternato; particolarmente interessante è la rappresentazione di un volano a sfere che sembra essere il disegno più antico di questo dispositivo in nostro possesso.
Il secondo manoscritto di Francesco di Giorgio è l’Opusculum de architectura, la cui copia autografa è oggi posseduta dal British Museum di Londra (ms. 197.b.21). Per quanto una sua datazione risulti molto difficile, si tende ad assegnarlo al periodo dal 1475 al 1478 sulla base della dedica a Federico da Montefeltro, che può essere interpretata come un tentativo di captatio benevolentiae in prospettiva del trasferimento dell’autore ad Urbino. Si tratta infatti di un quaderno di dimensioni maggiori rispetto al Codicetto con disegni realizzati in bella copia soltanto sul recto dei fogli. Privo di testi esplicativi presenta una machinatio essenzialmente pratica che spazia dall’arte della guerra di terra e di mare all’idraulica, ai sistemi di trasporto, alle macchine operatrici, e ad una serie di planimetrie di fortezze.
Il Trattato di architettura
La terza opera pervenutaci autografa è il Trattato di architettura, che Francesco ha realizzato in due diverse stesure successive. La prima, che ci è nota attraverso i codici Saluzziano 148, della Biblioteca Reale di Torino, e Ashburnham 361, della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze, segna gli esordi di Francesco come autore; a differenza dai suoi manoscritti precedenti, qui egli accompagna i disegni con dettagliate descrizioni verbali. Nonostante vi si rilevi un notevole sforzo per la riqualificazione culturale della professione, questa stesura è ancora caratterizzata dal forte interesse per le macchine e mostra il condizionamento della tecnologia di Taccola. I soli apporti originali – che non trovano riferimenti nemmeno nelle sue opere anteriori – riguardano le armi da fuoco e la tecnologia per il trasporto e la depurazione delle acque. L’Ashburnham 361 è un manoscritto gemello di quello torinese, molto probabilmente uscito dallo stesso scriptorium. La sua notorietà è dovuta ad alcune note autografe di Leonardo da Vinci che per lungo tempo hanno indotto gli storici ad attribuirgliela.
Di diversa e più moderna concezione è la seconda stesura del Trattato di architettura, che presenta una differente e più razionale organizzazione del materiale. Anche di questo manoscritto possediamo due copie, una conservata alla Biblioteca Comunale di Siena e una alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze; quest’ultima, l’unica autografa, contiene anche la traduzione di Vitruvio fatta da Francesco. Nella seconda stesura del trattato spariscono quasi del tutto le macchine da assedio, che restano soltanto come riferimento storico, per lasciare spazio alle artiglierie, delle quali Francesco ci offre uno dei primi tentativi di classificazione e standardizzazione dei calibri. Si registra inoltre una considerevole contrazione iconografica, conseguenza del tentativo di organizzazione delle macchine per tipi, che porta Francesco a individuare, ad esempio, sei categorie di mulini sulla base della fonte di energia impiegata: ruota idraulica alimentata dall’alto, ruota orizzontale a ritrecine, mulino a vento ad asse orizzontale, mulino a frucatoio con volano a sfere di metallo, mulini azionati a energia animale, mulino azionato da una ruota calcatoria. Una delle parti più innovative del trattato è quella dedicata alle fortezze: queste, per far fronte al potere distruttivo delle armi da fuoco, sono costruite più basse e con il profilo perimetrale spezzato e integrato con spazi atti a ospitare le artiglierie.