FRANCESCO di Ubertino, detto Bachiacca
Figlio dell'orafo Ubertino di Bartolomeo (1450-1505) e di Francesca di Benedetto, nacque a Firenze il 1° marzo 1494.
Ebbe due fratelli entrambi artisti; Bartolomeo, detto Baccio (1484-?), da cui gli venne l'appellativo Bachiacca, attivo nella bottega di Pietro Perugino, e Antonio (1499-1572), anch'egli soprannominato Bachiacca. Di quest'ultimo si hanno più notizie: apprezzato ricamatore, fu forse tra i più ricercati a Firenze tanto che il duca Cosimo de' Medici gli affidò, intorno al sesto decennio del Cinquecento, la realizzazione - su disegno di F. - del sontuoso "letto reale". L'opera, interamente intessuta di preziosi ricami e perle, nel 1565 servì per le nozze di Francesco de' Medici e Giovanna d'Austria (Baldinucci, 1778).
La formazione artistica di F. si svolse presso la bottega fiorentina del Perugino, nella quale fu probabilmente introdotto dal fratello Bartolomeo. Tale alunnato, che può essere circoscritto tra gli anni immediatamente precedenti il 1505 e il 1511, quando il maestro umbro si allontanò definitivamente da Firenze (Abbate, 1965), determinò in maniera significativa i riferimenti artistici del giovane F. verso lo stile umbro tardoquattrocentesco. La Deposizione del Museo civico di Bassano, il Noli me tangere del Christ Church College di Oxford, la Resurrezione del Musée des beaux-arts di Digione, La Madonna con Bambino, s. Elisabetta e s. Giovannino di Asolo sono chiari esempi del primo stile di F.: in essi si può riscontrare l'uso di uno schema chiaramente derivato dai modelli perugineschi ma interpretato attraverso un linguaggio fiorentino che, passando per l'insegnamento del Franciabigio, già prefigurava il riferimento ad alcuni elementi della maniera di Raffaello. Tutto ciò determinò in quei dipinti un anomalo, quanto singolare, effetto arcaizzante più vicino alle opere del tardo Quattrocento che a quelle a lui contemporanee.
Dopo l'allontanamento del Perugino da Firenze, F. cercò di aggiornarsi sulle nuove tendenze. Così, fino al 1517 circa, pur continuando a prevalere l'influenza del Franciabigio, egli prese in considerazione alcuni elementi della produzione di Mariotto Albertinelli, fra Bartolomeo, Francesco Granacci e Raffaello, rielaborandoli alla sua maniera, come ad esempio nell'Adamo ed Eva del Museum of art di Filadelfia.
In questa fase e in quella immediatamente successiva, fino cioè al soggiorno romano citato da B. Cellini, lo stile di F. cominciò a prendere forma e a diventare costante: la giustapposizione di elementi diversi, la capacità di coniugare stimoli e tendenze tra loro distanti divennero il tratto comune dei dipinti di Francesco. Ciò avvenne soprattutto attraverso l'acquisizione di una progressiva capacità di comprendere e reinterpretare le proposte artistiche avanzate dall'amico Andrea del Sarto. Ad esempio, nella predella con le Storie della vita di s. Acasio, oggi agli Uffizi, ma originariamente destinata alla chiesa di S. Lorenzo a Firenze, F. propose un proprio compendio di stili diversi. Alcuni elementi nordici, derivati dalle incisioni di Luca di Leida e di Albrecht Dürer (possedute in gran numero da F.), furono riproposti attraverso l'elaborazione di un linguaggio vicino al leonardismo fiorentino di quegli anni. Un processo analogo, seppure con l'inserimento di ulteriori riferimenti (Piero di Cosimo), può essere riscontrato anche nel S. Francesco che riceve le stimmate della collezione Fareham (Abbate, 1965, fig. 35) e nel Tobiolo e l'angelo della raccolta Simon (Nikolenko, 1966, fig. 34). Al contrario, in altri quadri come La conversione di s. Paolo del Memorial art Gallery della University of Rochester e la Leda di Berlino le citazioni delle fonti nordiche sono più dirette ed immediate; in particolare quest'ultimo dipinto è ripreso dalla corrispondente incisione di Luca di Leida.
Già in questa fase l'apprezzamento per il singolare percorso artistico proposto da F., che era molto conosciuto come pittore di cassoni e tavole di piccole dimensioni, dovette essere abbastanza diffuso tra i suoi contemporanei. Ne è testimonianza la sua partecipazione ad alcune delle più significative commissioni artistiche fiorentine di ambito profano: la decorazione delle "camere" Borgherini e Benintendi e gli allestimenti per la visita di Leone X del 1515.
Per la camera di Pierfrancesco Borgherini F. dipinse i pannelli con le Storie di Giuseppe ebreo (Londra, National Gallery; Roma, Galleria Borghese). Se dal punto di vista stilistico vi si può rilevare ancora l'influenza del Franciabigio e quindi avanzare l'ipotesi di una cronologia circoscritta tra il 1515 e il 1518, per quanto riguarda l'aspetto iconologico-contestuale è interessante verificare la stringente relazione tra la storia di Giuseppe come precursore di Cristo e le vicende della famiglia Borgherini (Braham, 1979). La conferma dell'eclettismo di F. viene data dal confronto tra quei pannelli e due tempere del Museo di Digione che, pur affrontando il medesimo soggetto, ne propongono un'interpretazione in chiave nordica talmente fedele nello stile da farle ritenere a lungo di mano fiamminga.
Una collocazione cronologica intorno al 1518-1519 può essere accolta per la miniatura raffigurante i Ss. Cosma e Damiano allegata alla Genealogia Medicea della Biblioteca Laurenziana, dedicata da Pietro Cattaci a Leone X. Le caratteristiche stilistiche di questo piccolo dipinto, vicino sia alle Storie di Giuseppe, sia a quelle di S. Acasio ne hanno definito ormai chiaramente l'autografia.
Per quanto riguarda i pannelli per l'anticamera di Giovan Maria Benintendi, F. realizzò due quadri di una serie di quattro. Il breve ciclo intendeva proporre una celebrazione cristiana grazie al confronto tra alcuni episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento: quelli attribuiti a F. sono la Leggenda del re morto (Dresda, Gemäldegalerie) e il Battesimo di Cristo (Berlino, Gemäldegalerie). Il lessico stilistico usato nella Leggenda del re morto è intessuto di numerosi e disparati riferimenti: si passa dalle architetture tratte da Luca di Leida e da Bramante alle citazioni da Franciabigio, mentre alla contiguità con Andrea del Sarto bisogna ricondurre alcune figure, e in particolare quella del re appeso, evidentemente derivata dal Marsia degli Uffizi. A ragione Chappell (1986) individua i disegni preparatori del re e della figura di donna in primo piano a destra in due fogli conservati al British Museum.
Indubbiamente la Leggenda del re morto si configura come il più alto e completo momento di giustapposizione stilistica mai raggiunto da F., ma allo stesso tempo svela l'esigenza di dare a quel medesimo stile, tanto particolare, nuova linfa. È in questo contesto, e a ridosso della morte del Franciabigio, cioè intorno al 1525, che bisogna collocare il soggiorno romano. Così nel momento di più intenso fermento artistico che precedette l'esplosione e la diffusione del manierismo F. ebbe l'opportunità di conoscerne i principali protagonisti e ammirare le loro opere non solo a Firenze, ma anche a Roma. Evidentemente il "pittore delle figure piccole" incontrò non poche difficoltà ad assimilare il gigantismo di Michelangelo (Venturi, 1925); tuttavia la dialettica tra lo stile di F. e la maniera di Michelangelo dovette essere ben più profonda come dimostra il cosiddetto "taccuino" degli Uffizi.
Questa raccolta di disegni e schizzi di F., da datare a partire dal 30 ag. 1527 (Marcucci, 1954), offre un vero e proprio compendio di citazioni dei maggiori artisti del tempo: da Giorgione a Dürer, da Raffaello ad Andrea del Sarto, passando per Giulio Campagnola, Luca di Leida e il Pontormo. Tuttavia l'elemento più significativo dell'intero taccuino è rappresentato dal desiderio di trovare, proprio in Michelangelo, una misura comune ai diversi stili che vi sono raccolti. Ciò dimostra un livello di conoscenza, assimilazione e perfino rielaborazione molto più alto e consapevole che nei dipinti.
A una cronologia vicina agli anni del soggiorno romano o al massimo a quelli immediatamente successivi, possono essere ricondotte opere come: La morte di Abele (Bergamo, Accademia Carrara), Mosè fa scaturire le acque (Edimburgo, National Gallery of Scotland), il Giovane suonatore di liuto (Mc Comb, 1926, fig. 8; Caldwell, 1975). All'influenza di Aristotile da Sangallo, menzionata dal Vasari, può essere ricondotta l'elaborazione della cosiddetta Scena di strada (Amsterdam, Rijksmuseum, 1540 circa). Questo dipinto costituisce una delle rare testimonianze di una scena comica. Si tratta, come ha brillantemente sostenuto il Wind (1977), della riproduzione figurativa di una ben precisa tipologia di commedia, le cui scenografie richiedevano specifiche strutture architettoniche. Ciò dimostra l'attenzione di F. al dibattito sulla distribuzione degli spazi urbani reali o fittizi. In tale contesto non può destare stupore la sua partecipazione agli apparati predisposti nel 1539 per le nozze tra Cosimo de' Medici ed Eleonora de Toledo. In quell'occasione, che tra l'altro ne segnò l'accesso alle commissioni medicee, F. realizzò due scene, riscuotendo un discreto successo: Il ritorno di Cosimo il Vecchio dall'esilio e La visita di Lorenzo de' Medici a Napoli (Nagler, 1964).
Nel 1545, sempre per conto di Cosimo, F. si dedicò alla preparazione, documentata da numerosi e continui pagamenti, dei cartoni per la serie dei Mesi e per le spalliere a grottesche, che poi furono tessute dall'arazziere fiammingo Marco Rost (Allegri - Cecchi, 1980; Adelson, 1980). In particolare i cartoni dei Mesi raggiungono un livello qualitativo talmente importante da essere giudicati tra i migliori dei numerosi commissionati dal duca (Viale Ferrero, 1961). F. vi afferma con estrema lucidità la sua competenza nell'uso della tradizione figurativa fiamminga, dichiarando in tale maniera l'assoluta valenza pittorica nella produzione dei suoi cartoni. Ancora più interessante e complesso è l'uso della grottesca applicata alle spalliere. Non si tratta di una mera ripetizione dei modelli proposti da Perin del Vaga o Giovanni da Udine, ma di un singolare processo di dissoluzione dello spazio prospettico rinascimentale: le figure più grandi fungono da cornice a quelle piccole, che, svincolate da ogni rapporto con le misure reali, riescono a suggerire un insistente movimento di profondità rafforzando così l'illusione spaziale.
Tra le ultime commissioni affidate dal duca Cosimo a F. bisogna ricordare uno scrittoio in palazzo Vecchio, decorato con uccelli, racemi vegetali, pesci e altri animali, che venne portato a termine prima del 1552. Infatti a questa data si registra l'inizio della decorazione - terminata l'anno successivo - delle travi, della capriata e del fregio della cosiddetta "terrazza della duchessa", sempre in palazzo Vecchio. In entrambe le opere si può verificare la riproposizione, anche se in termini meno efficaci, del repertorio decorativo degli arazzi. I moduli compositivi sono drasticamente ridotti fino a diventare una semplice cifra ornamentale, priva dell'originaria freschezza esecutiva. Gli affreschi della "grotticina della Madama", nel giardino di palazzo Pitti, costituirebbero l'ultima commissione di Cosimo a F., secondo quanto documenta un rimborso al pittore in data 1555 (Baldini Giusti, 1979).
F.
Vasari ricorda che F. sarebbe raffigurato nella Discesa al Limbo del Bronzino (Firenze, S. Croce), insieme con il Pontormo e l'accademico fiorentino Giovan Battista Gello.
F. si sposò con Tommasa di Carlo d'Antonio di Prologo ed ebbe tre figli: Ubertino, Bastiano e Carlo; solo quest'ultimo ne seguì, anche se con scarsi risultati, le orme artistiche.
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