DIFNICO, Francesco
Nacque a Sebenico (Dalmazia) il 22 ott. 1607. figlio di Nicolò, di cospicua famiglia devotissima a Venezia.
I Difnico (in latino Difhicus e in croato Divnić, venetamente Divnich), presenti fin dal Trecento a Scardona, si erano divisi in vari rami residenti a Sebenico e a Zara. Tra i molti si distinsero il capitano Simeone, nominato "cavaliere aurato" da papa Innocenzo VIII (1490); suo fratello Giorgio, vescovo di Nona (morto nel 1530); Pietro, figlio di Simeone (circa 1525-1600), autorevole personaggio del Comune di Sebenico; l'arcidiacono Giovanni Battista (morto nel 1637), letterato; il fratello del D., Simeone, vescovo di Nona (1646) e poi di Feltre.
Seguendo le tradizioni familiari, il D. fu avviato agli studi, che compi a Zara e poi nell'università di Padova, dove si addottorò in diritto nel 1634. Fin dal novembre dell'anno precedente era stato ascritto all'Accademia dei Ricovrati di Padova.
Ritornato in patria, il D. partecipò alla vita cittadina assumendovi varie cariche e svolgendo ambascerie a Venezia per conto del Comune, in cui rivelò notevoli doti d'oratore. Compì il suo dovere nella difesa di Sebenico, duramente attaccata e assediata dai Turchi nell'estate del 1647, combattendo accanto al fratello Daniele e al cugino Pietro, capitani delle truppe veneziane. Vivendo in anni di guerra e di vittorie conseguite meritamente sul nemico, il suo orgoglio di cristiano e di suddito veneto crebbero e in qualche misura si travasarono negli studi storici, a cui pensò di dedicarsi dopo la grave pestilenza che nel 1649-50 spopolò la città. L'esempio e l'incitamento gli venivano dal cugino ed amico Giovanni Lucio, già noto per la sua erudizione.
Ebbe parte con Marino Statileo nel ritrovamento e nelle prime polemiche sull'autenticità del Fragmentum Traguriense (codice umanistico di Petronio, contenente completa la Cena Trimalchionis prima ignota, scoperto fra i manoscritti di Niccolò Cippico a Traù, ora Parisinus 7989; pubblicato per la prima volta a Padova nel 1664). Egli volle poi cimentarsi, contemporaneamente allo zaratino Simeone Gliubavaz e allo stesso Lucio, nella compilazione di una Memoria sulla Dalmazia (1652), con lo scopo di dimostrare il diritto della Repubblica di Venezia a continuare a fregiarsi delle, prerogative regie, anche perduta Cipro e sul punto di perdere Candia, in quanto le restava la Dalmazia, che anticamente era stata un regno. Lintento, assolto dal D. in un breve saggio rimasto inedito, spinse il Lucio ad affrontare con ben maggior respiro la storia complessiva del De Regno Dalmatiae et Croatiae libri sex (Amstelodami 1666), opera alla quale il D. collaborò con vari suggerimenti e offrendo la copia del Memoriale di Paolo de Paoli, cronista zaratino del Quattrocento (stampato nella seconda parte dell'opera, Venezia 1673).
Miglior contributo egli fornì agli studi storici patri con i due libri della Historia della guerra di Dalmatia tra Veneziani e Turchi dall'anno 1645 fino alla pace e separazione de' confini. L'opera, dedicata al cavaliere e procuratore di S.Marco Gian Battista Nani, è pervasa di caldo spirito di partecipazione, ricca di informazione e precisa nei dettagli. Essa dimostra quanto impegnative siano state le operazioni militari in Dalmazia durante la cosiddetta guerra di Candia, quando poco più di dodicimila uomini, condotti con perizia dal provveditore generale Leonardo Foscolo, in meno di due anni espugnarono e ridussero sotto il controllo veneziano tutta la parte centrosettentrionale della Dalmazia da Novegradi a Duare, a Tenin e a Signo. La zona veneta, costituita fino ad allora quasi solamente da una frangia costiera, venne ampliata in unità organica ben composta geograficamente e strategicamente. Il piano del Foscolo mirava poi al dominio delle Bocche di Cattaro e al riacquisto dell'Albania, ma dopo la conquista di Antivari e delle Bocche venne abbandonato. Lo stesso provveditore lasciò la Dalmazia nel febbraio 1651 per assumere il comando della difesa di Candia. Nei vent'anni successivi la guerra proseguì in tono minore con alterne vicende, ma non si realizzarono altre vittorie e la stessa solidarietà che si era cementata nel conflitto tra milizie italiane e dalmate, cernide, slavi e moriacchi non diede nuovi frutti e non seppe indurre altre popolazioni ad abbandonare il dominio turco per passare sotto la protezione di Venezia.
Gli scritti del D. restarono a lungo inediti, per quanto nel suo testamento egli avesse raccomandato all'amico Melchiorre Tetta di pubblicare l'Historia. Essi non rimasero però sconosciuti agli studiosi che ne videro e utilizzarono i manoscritti. Solo nel 1848, l'editore Battara, ex carbonaro e affiliato alla Giovine Italia, promuovendo a Zara la pubblicazione d'un giornale slavo, la Zora dalmatinska (Aurora dalmata), vi fece tradurre la Storia della guerra di Candia e di Dalmazia, per sottolineare la fratellanza fra i Veneti e i Croati. Successivamente, un altro settimanale zaratino, La Domenica illustrata, pubblicò in numerose puntate fra il 1889 e il '91 la maggior parte della Historia, e infine l'incompiuto Trattato dei confini vide la luce nel Tabularium di Zara nel 1902.
Il D. negli anni successivi, nonostante il progressivo indebolimento della vista, continuò a fornire aiuto all'amico Lucio per la sua raccolta di schede archeologiche e di documenti. Lo attestano le lettere di questo da Roma e i riconoscimenti contenuti nelle Inscriptiones Dalmaticae (Venezia 1673) di G. Lucio. Sui problemi giuridici e politici connessi alla difficile attuazione di quanto era stato stabilito nel Trattato dei confini col Turco in Dalmatia (pubblicato col titolo La delimitazione della Dalmazia nel 1671, nel Tabularium di Zara) egli redasse un lavoro rimasto incompleto. La morte infatti lo colse a Sebenico il 17 febbr. 1672. Il Consiglio cittadino di Sebenico, tessutene ampie lodi, deliberò di erigergli nella cattedrale un monumento funebre e assegnò allo scopo 100 ducati del denaro della Comunità (Libri dei Consigli, 23 febbr. 1672).
Fonti e Bibl.: Numerosi manoscritti dell'archivio di casa Difnico a Sebenico sono andati dispersi negli ultimi settant'anni, mentre pochi sono conservati dai discendenti a Trieste. Pure l'autografo dell'Historia, con aggiunte e correzioni di G. Lucio (già ms. 837 della Biblioteca comunale Paravia di Zara), è andato perduto. Si veda, inoltre: G. Lucio, Inscriptiones Dalmaticae, Venetiis 1673, p. 3; Id., Mem. stor. di Traguzio ora detto Traù, Venezia 1674, p. 31; F. A. Galvani, Il re d'armi di Sebenico, Venezia 1884, I, pp. 82-91; V. Miagostovich, La famiglia de Difnico, in Il Nuovo Cronista di Sebenico, III (1896), pp. 65-92; V. Brunelli, G. Lucio, in Rivista dalmatica, I (1899), pp. 7-52, rist. come introduz. a G. Lucio, Storia del Regno di Dalmazia e di Croazia, Trieste 1983, pp. 1-46; R. Sabbadini, Per la storia del codice traurino di Petronio, in Riv. di filologia e di istruzione classica, XLVIII (1920) pp. 27-39; U. Inchiostri, Codici ined. di storia sibenicense, in Arch. stor. per la Dalmazia, III (1928), t. V, fasc. 29, pp. 5-11; F. Sassi, Le campagne di Dalmazia durante la guerra di Candia, 1645-1648, in Arch. veneto, LXVII (1937), pp. 78-81; A. Maggiolo, I soci dell'Accademia patavina dalla sua fondazione, in Padova, XXI (1975), 3, p. 29; G. Praga, Storia di Dalmazia, Milano 1981, pp. 239, 268; Gli stemmidello Studio di Padova, a cura di L. Rossetti, Trieste 1983, nn. 73, 502; G. Valentinelli, Bibliografia dalmata tratta da codici della Marciana di Venezia, Venezia 1845, pp. 68 s.; S. Gliubich, Diz. biogr. degli uomini ill. della Dalmazia, Vienna 1856, p. 1062; Hrvatska Enciklopedija, Zagreb 1945, V, p. 106, s. V. Divnić; Enciklopedija Jugoslaviie, Zagreb 1958, III, p. 18, s. v. Divnić.