DRAPERIO (Draperius, de Draperio, De Draperiis), Francesco
Mercante e imprenditore di famiglia genovese, fu uno dei maggiori esponenti del mondo economico del Vicino Oriente nel sec. XV. Allo stato attuale delle ricerche, rimangono ignoti il luogo e la data della sua nascita, nonché gli eventi che caratterizzarono la prima e l'ultima parte della sua vita.
Le ricerche sulle più antiche testimonianze riguardanti la famiglia genovese dei Draperio è resa difficoltosa dal fatto che non sempre è facile distinguere, quando nelle fonti il termine "draperius" compare dopo un nome proprio, se esso sia usato come cognomen o come appellativo indicante mestiere o professione. Un Rainaldo "Draperius", di cui non possediamo altre notizie, ad esempio, presenziò in Genova, in qualità di testimone, ad un rogito del notaio Guglielmo Cassinese dell'8 apr. 1191. Per il sec. XIII le notizie sono più numerose, anche se i dubbi permangono: un Raimondo "Draperius", savonese, comandò nel 1264 una delle galee della flotta annata dal Comune di Genova per l'imperatore di Costantinopoli; un Martino "Draperius" risulta comproprietario in Genova, nel 1267, di una saettia di 52 remi; un Nicolò "Draperius" è citato quale "socius portator" di un contratto di accomendacio in un atto del 1289, rogato in Caffa dal notaio genovese Lamberto di Sambuceto. Sappiamo che nel sec. XIV alcuni membri della famiglia furono presenti e particolarmente attivi negli stabilimenti coloniali genovesi d'Oltremare, dove assursero via via a posizioni di primo piano. Un Raimondo "Draperius, Ianuensis", è qualificato come "habitator Famaguste" nel novembre del 1300; uno Stefano "Draperius, Ianuensis", figlio di Giorgio "Draperius", detto "de Layacio" o "habitator Laiacii" in atti notarili dei primi mesi del 1301 e "olim habitator Laiacii" o, anche, "habitator Famaguste" in altri dei mesi successivi, commerciava attivamente in panni ed in frumento, spingendosi da Famagosta a Costantinopoli, a Tabriz ed in altri luoghi non specificati; un Guirardo "Draperius", detto "de Accon", si trovava anch'egli in Famagosta nel 1301 insieme con il fratello, Tommaso "Draperius".
La documentazione più rilevante relativa ai Draperio si riferisce tuttavia alla colonia genovese di Pera sul Corno d'Oro, di fronte a Costantinopoli, dove vissero più o meno stabilmente alcuni membri di quella famiglia e dove una contrada ne portava il nome. Un Lodisio "Draperius", patrono di navigli ed attivo nel commercio del grano, si trovava a Pera nella seconda metà del Trecento e forse ancora -ammesso che si tratti sempre del medesimo personaggio - all'inizio del secolo successivo. Soprattutto un Luchino "Draperius" o "de Draperiis" risulta dimorare stabilmente a Pera: vi aveva messo su famiglia sposandosi con una certa Iliera Paleologina, figlia di Caloiane Linodari di Costantinopoli, che gli aveva portato in dote 2.500 perperi; vi possedeva grandi proprietà immobiliari. Luchino collaborò all'amministrazione di Pera e vi sostenne un ruolo economico di primo piano. Anche suo fratello Giovanni e suo figlio Iane furono eminenti uomini d'affari, particolarmente interessati al commercio del grano. Iane, inviato come ambasciatore della Comunità perota presso il sultano ottomano Bayazid, ottenne il rinnovo degli antichi trattati, che furono ratificati dal podestà di Pera e dal Consiglio il 26 ott. 1389.
Nel corso del sec.XV, ad ogni modo, risalta in particolare evidenza il nome del D., definito da Armando Sapori "una figura singolare, che dei pieno capitalista ha tutti gli attributi oltreché la forza economica: fino alla spregiudicatezza che lo porterà a comandare la flotta turca all'assalto di Chio nel 1455". Il D., infatti, deve essere annoverato fra i maggiori ed economicamente più potenti mercanti occidentali che trafficarono in Oriente nel corso del sec.XV. Aveva enormi interessi nel commercio delle più svariate mercanzie: cereali, cotone, mastice, panni, olio, sapone, schiavi, vino e, soprattutto, allume; agiva sia individualmente, sia in società con altri operatori economici genovesi. In una lettera che Ciriaco de' Pizzicolli di Ancona, il grande viaggiatore e profondo conoscitore dell'Oriente, indirizzò nel 1445 a Baldassarre Maruffo, podestà genovese di Pera, inviandogli un'epigrafe per le mura della città, il D. viene definito "agoranomus per Thraciam atque Asiam preclarissimus".
Il commercio dell'allume, prodotto essenziale per la concia delle pelli e grandemente usato come mordente nell'industria tessile, attirò particolarmente l'attenzione del D. e generalmente quella dei trafficanti genovesi d'Oriente, i quali, sulla scia di Benedetto Zaccaria, puntarono a monopolizzarne il commercio. Ce ne fornisce eloquente esempio un atto notarile del novembre del 1437, redatto nella loggia dei Catalani di Costantinopoli, con cui il D., Agostino Scoto e Marco Doria del fu Francesco, agendo anche a nome dei domini Lorenzo De Marini, Visconte e Paride Giustiniani, Antonio Paterio del fu Tommaso, Domenico Doria del fu Opizzino e Stefano Grillo, appaltatori delle miniere di allume di tutta la Turchia, la Grecia, l'isola di Mitilene e la Tracia greca, stipularono con due mercanti fiorentini, abitanti di Costantinopoli, un contratto di vendita per un totale di 16.250 cantari (secondo la misura genovese) di allume "de le Foie nove" (cioè di Focea Nuova), che s'impegnavano a consegnare totalmente entro il termine di cinque anni (3.250 cantari all'anno) dietro il pagamento di 4 perperi d'argento al saggio di Pera per ogni cantaro, da corrispondersi annualmente. 1 fiorentini - e questa è la clausola più interessante del contratto - si obbligavano a trasportare od a fare trasportare l'allume esclusivamente in Toscana, impegnandosi a non farlo pervenire a Venezia, in Sicilia, in Catalogna, nelle Fiandre, in Inghilterra né "ad aliqueni alium locum". Nel documento sono previste penalità molto elevate per eventuali trasgressioni.
Nella prima metà del sec. XV erano attive in Chio potenti società per lo sfruttamento delle miniere di allume e altre potenti società per l'organizzazione del commercio. Principale ed attivissimo partecipe delle prime fu il D., appaltatore delle miniere di allume di Focea Nuova nel decennio 1437-1447: egli, pure agendo in società con altri mercanti genovesi, riuscì a concentrare nelle sue mani, intorno alla metà del secolo, la quasi totalità della produzione orientale di allume ed a raggiungere il "quasi monopolio" dello sfruttamento delle miniere stesse. Altre due potenti società, anch'esse costituite da membri delle maggiori famiglie genovesi, si occuparono invece specificamente del commercio del prodotto verso l'Occidente, soprattutto verso Genova, l'Inghilterra, le Fiandre. Nel 1449 queste diverse società furono sostituite da un vasto consorzio che unificò le due attività e controllò la produzione, i trasporti e la vendita dell'allume d'Oriente, assicurandosi un vero e proprio monopolio. Il capitale di questa nuova società. la più potente che Genova avesse creato fino ad allora ed il cui atto di costituzione si conserva fra i rogiti del notaio Tommaso di Recco, venne fissato a 500.000 cantari (= 23.825 tonnellate) di allume. Il suo principale partecipe fu il D., la cui quota di capitale ammontava alla metà del totale; gli altri soci provenivano quasi tutti dalle preesistenti società che operavano nel settore.
La nuova società (che era diretta da un vero e proprio consiglio di amministrazione, costituito da otto dei suoi principali soci, il più importante dei quali appare il D., il quale disponeva da solo di un terzo dei voti) aveva propri rappresentanti a Genova, a Bruges e a Londra. I suoi scopi, chiaramente dichiarati e di stampo prettamente capitalistico, erano sia quello di aumentare i profitti di ciascuno, grazie ad una migliore organizzazione del traffico, sia, soprattutto, quello di mantenere elevati i costi del prodotto, grazie all'eliminazione della concorrenza, che era stata causa, negli anni precedenti, di forti crolli nelle quotazioni. Si sfruttavano le miniere più importanti (oltre a quelle di Focea, anche quelle di Grecia e di Turchia, affittate dal sultano), mentre si acquistava dai Gattilusio di Mitilene la promessa di chiudere le loro miniere per cinque anni (per evitare la diminuzione del prezzo del prodotto).
Una progressiva crisi di questa societa ebbe tuttavia inizio pochi anni dopo la sua costituzione, a causa dell'avanzare della minaccia turca. Il D., in ottimi rapporti con il sultano già dai tempi di Murad II, era probabilmente al corrente dei progetti espansionistici a breve termine di Maometto II, perché, poco prima della conquista turca di Costantinopoli, si preoccupò di monetizzare quanto di sua competenza. Ciò nonostante il governo della Repubblica di Genova, che sperava in un rapido ricupero della sua colonia di Pera, datasi spontaneamente al sultano nei giorni immediatamente successivi alla caduta di Costantinopoli, ancora nel marzo del 1454, consegnando le istruzioni ai due ambasciatori che stavano per recarsi alla corte del sovrano osmanlo per discutere sul destino della colonia e per chiedergli "ut dignetur earn urbem in pristino statu reponere, iubere ut muri reficiantur, turres reparentur et reliqua qualia prius erant fiant omnia", indicava il D. come colui "qui maximam solet habere cognitionem rerum curialium" e come la persona più adatta a fornire informazioni e consigli circa il comportamento da tenere con il sultano. Il D., ad ogni modo, aveva già allora giocato la carta turca. Risale infatti a quell'epoca l'episodio che gli valse il poco onorevole epiteto di "traditore di Costantinopoli", col quale è passato alla storia.
Dopo avere invano reclamato il pagamento di un credito di 40.000 ducati, che egli vantava nei confronti dei Maonesi di Chio, il D. si era rivolto a Maometto II, perché li costringesse a consegnargli il denaro. Il sultano accolse ben volentieri la richiesta: essa gli forniva infatti il pretesto per intervenire ancora una volta nelle vicende di Chio, i cui abitanti si erano salvati dalla conquista turca perché si erano acconciati a pagare un tributo annuo di 6.000 ducati. Haniza beg, ammiraglio della flotta turca armata per la crociera di primavera del 1455, ricevette pertanto l'ordine di dirigersi anche contro Chio e di farsi pagare il credito, se necessario, con la forza. Gli abitanti dell'isola si rifiutarono di ottemperare all'ingiunzione dell'ammiraglio turco; non solo, ma respinsero e volsero in fuga i reparti da lui inviati a terra, costringendoli ad un precipitoso reimbarco, nel corso del quale venne affondata una galera grossa, carica di soldati. Alla sfortunata incursione partecipò anche il D., che aveva preso posto sulla nave ammiraglia. Quando fu informato dello scacco subito dai suoi, Maometto II, da un lato, destituì Hamza beg e, dall'altro, offrì al D. la remissione di un debito di 40.000 ducati, che il mercante genovese aveva contratto con lui, in cambio della cessione in proprio favore di tutti i diritti che lo stesso D. vantava nei confronti degli abitanti di Chio. Questi ultimi - affermò il sultano - avrebbero dovuto pagargli il doppio di quella cifra, e in più una grossa somma, come indennizzo per il sangue turco versato. Il D. "baciò con gratitudine la mano al Sultano e in quella stessa ora fu decisa la guerra contro Chio" (Babinger, p. 141).
È, questa, l'ultima notizia relativa al D. che ci sia riferita dalle fonti a noi note.
Ebbe dimora abituale in Pera, dove risiedeva anche Tommaso Spinola, suo genero. In Pera, legata al suo nome, fu la fondazione della chiesa dei francescani, poi conosciuta come S. Maria "a Draperiis".
Fonti e Bibl.: L. T. Belgrano, Prima serie di doc. riguardanti la colonia di Pera, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XIII (1877), 2, p. 263; Id., Seconda serie..., ibid., XIII (1884), 5, p. 981; G. Miffler, Doc. sulle relazioni delle città toscane coll'Oriente cristiano e coi Turchi fino all'anno MDXXXI, Firenze 1879, p. 169; A. Ferretto, Codice diplom. delle relazioni fra la Liguria, la Toscana e la Lunigiana ai tempi di Dante (1265-1321), I, Dal 1265 al 1274, in Atti d. Soc. ligure di st. patria, XXXI (1901), I, pp. 95, 183; Notai liguridel sec. XII, II, Guglielmo Cassinese (1190-1192), a cura di M. W. Hall-H. C. Krueger-R. L. Reynolds, Genova 1938, doc. 443; G. G. Musso, Navigazione e commercio genovese con il Levante nei doc. dell'Arch. di Stato di Genova (secc. XIV-XV), Roma 1973, pp. 25, 49, 149, 236-240; M. Balard, Gênes et l'Outre-Mer, I, Les actes de Caffa du notaire Lamberto di Sambuceto (1289-1290), Paris-La Haye 1973, doc. 172; II, Actes de Kilia du notaire Antonio di Ponzò (1360), Paris 1980, doc. 78; A. E. Laiou-Thomadakis, The Byzantine economy in the Mediterranean trade system, thirteenth-fifteenth centuries, in Dumbarton Oaks Papers, XXXIV (1980), pp. 219-222; Notai genovesi in Oltremare. Atti rogati a Cipro da Lamberto di Sambuceto (3 luglio 1300-3 ag. 1301), a cura di V. Polonio, Genova 1982, docc. 80 s., 185, 262, 401, 404; Id., Atti rogati a Cipro da Lamberto di Sambuceto (6 luglio-27 ott. 1301), a cura di R. Pavoni, Genova 1982, docc. 2, 28, 50, 73, 121, 122; Id., Atti rogati a Pera e Mitilene, I, Pera, 1408-1490, a cura di A. Roccatagliata, Genova 1982, doc. 57; J. De Hammer, Histoire de l'empire ottoman, III, Paris 1835, p. 22; C. Hopf, Storia dei Giustiniani di Genova, in Giorn. ligustico di archeol., storia e belle arti, IX (1882), pp. 17-19; G. Heyd, Storia del commercio del Levante nel Medioevo, Torino 1913, pp. 853, 886; M. L. Heers, Les Génois et le commerce de l'alun à la fin du Moyen-Age, in Revue d'histoire écon. et sociale, XXXII (1954), pp. 31-53; A. Sapori, Ibeni del commercio internaz. nel Medioevo, in Arch. stor. italiano, CXIII (1955), p. 24; F. Babinger, Maometto il Conquistatore e il suo tempo, Torino 1957, pp. 30 s., 47-48, 139-141; Ph. P. Argenti, The occupation of Chios by the Genoese and their administration of the island (1346-1566), Cambridge 1958, I, pp. 208 s., 489; III, pp. 658-659; J. Heers, Gênes au XV siècle. Activité économique et problèmes sociaux, Paris 1961, pp. 342, 387 s., 392 s., 395-398, 401, 404 s., 560; M. Balard, La Romanie génoise (XIIe - début du Xvè siècle), Roma 1978, pp. 97, 192, 196 s., 252, 257, 262, 320, 342, 367, 390, 393, 405, 758, 779, 847; G. Pistarino, IGenovesi nel Levante fra il tramonto di Costantinopoli e l'impero ottomano, in Aspetti della vita economica medievale. Atti del Convegno di studi nel X anniversario della morte di F. Melis, Firenze 1985, p. 105; Id., La caduta di Costantinopoli: da Pera genovese a Galata turca, in La storia dei Genovesi. Atti del Convegno di studi sui ceti dirigenti della Rep. di Genova, Genova ... 1984, Genova 1985, p. 10; Id., IGenovesi in Pera - Galata turca, in Id., IGin dell'Oltremare, Genova 1988, p. 419.