DUODO, Francesco
Terzogenito di Pietro di Francesco e di Pisana Pisani di Vettore di Marino, nacque a Venezia il 16 dic. 1518.
Ricche entrambe le famiglie, i cui membri compaiono di frequente, in quegli anni, tra i "pieggi" (garanti) delle galere di Fiandra e del Levante; inoltre il Sanuto ricorda lo splendido banchetto offerto dai Duodo nel palazzo di S. Maria Zobenigo, nel 1533, e ancora, nell'estimo di quattro anni dopo, essi risultano possedere diverse case a Venezia, centoventi campi ai margini della laguna ed un altro centinaio a Monselice, dove sorge pure una loro abitazione con orto e giardino.
Non sappiamo quali studi il D. abbia compiuto; certo, in età adulta risulterà un appassionato cultore di monete antiche ed opere d'arte, ma a vent'anni era già governatore di galera, iniziando cosi la carriera nella flotta militare, sull'esempio del fratello maggiore Andrea. Il 17maggio 1545 passava sul naviglio mercantile, in qualità di comandante della "muda" per Beirut, ma per qualche tempo doveva essere questo l'ultimo imbarco: decise infatti di accasarsi, dapprima con Lucrezia Dorià di Alvise, poi con Chiara Bernardo di Sebastiano, che sposò nella primavera del 1546. Essa gli portò in dote 10.000 ducati e gli diede sette figli, quattro maschi (Pietro, Andrea, Girolamo, Alvise) e tre femmine (Cecilia, Pisana e Maria), queste ultime tutte destinate al matrimonio.
Le nuove incombenze famigliari trattennero il D. a Venezia per alcuni anni, e dal luglio 1546 sino al novembre del 1550 ricoprì la carica di patrono all'Arsenale, dove ebbe modo di approfondire le sue conoscenze nel campo della progettazione e costruzione navale; l'anno seguente, mentre sembrava profilarsi il pericolo di un conflitto con i Turchi, fu nuovamente eletto governatore di galera, ma il positivo evolversi degli eventi non rese più necessario il suo imbarco.
Tornò agli impieghi civili: dal 1555 al 1557 ricopri la carica di ufficiale alle Rason Vecchie, dall'11 marzo 1557 al 10 marzo 1558 fu savio alle Decime; poi riprese la vita del mare e dal maggio fu per un anno provveditore delle triremi dei condannati, ossia si trovò a comandare un tipo di navi di stazza e dimensioni superiori e dall'organizzazione di bordo più complessa.
Tra il 1559 ed il 1561 fu quindi bailo e provveditore a Corfù, il che equivaleva a renderlo in pratica responsabile dei rifornimenti destinati alla flotta del Levante; sostituito nel maggio da Nicolò Dandolo, dall'ottobre del 1562 ricopri la carica di provveditore sopra le Fabbriche in Rialto; fu poi provveditore all'Armar (16 apr. 1564 - 31 marzo 1565) ed infine luogotenente ad Udine tra il 1565 ed il 1567, dove portò a compimento l'atrio e la facciata del Castello, come ricorda una lapide colà esistente, e realizzò un importante progetto per rafforzare le difese cittadine. Al rientro a Venezia, sono ancora le date di elezione alle diverse magistrature a segnare le tappe della sua vita: provveditore sopra l'Armar e poi alle Fortezze tra il 1567 ed il 1568, quindi membro del Consiglio dei dieci e podestà a Bergamo, e ancora patrono all'Arsenale agli inizi del 1570.
Quest'ultimo incarico doveva rivelarsi di grande importanza nella vita del D., perché si svolse nell'imminenza dell'offensiva turca: fu infatti proprio a lui, come ad uno dei massimi responsabili dell'attività cantieristica e, nel contempo, dei principali esperti della forza navale della Repubblica, che il giorno stesso in cui il Maggior Consiglio ne decretò l'allestimento venne affidato il comando delle dodici galere grosse alle quali sarebbe toccato il compito di rappresentare lo strumento decisivo, nel disegno strategico veneziano, per abbattere il mito, sino ad allora ben vivo ed operante, dell'invincibilità della flotta ottomana.
In sostanza, si trattava di rovesciare i rapporti di forza in essere e di galvanizzare gli equipaggi dell'armata veneta (i quali oltrettutto erano consapevoli che qualche mese prima l'efficienza dell'Arsenale era stata gravemente ridimensionata da un incendio, cosa che aveva contribuito non poco a spingere il sultano alla guerra), sfruttando la propria superiorità tecnica per realizzare su vasta scala il prototipo di quinquereme ideato alcuni decenni prima dal celebre "proto" Vettor Fausto, ma che aveva fornito contrastanti prove, nonostante il plebiscitario successo che l'impresa aveva suscitato presso i circoli umanistici lagunari e patavini.
Compito primario del D. fu dunque quello di rendere operanti queste navi; e della loro reale efficienza ebbe modo di rendersi conto ben presto: negli ultimi giorni del maggio 1570 la sua squadra lasciò Venezia per ricongiungersi a Zara con il grosso della flotta, comandata da Girolamo Zane. Dalle sicure basi dalmate l'armata mosse poi alla volta di Candia, ed in settembre il D. si trovava a Settia, sulla costa nordest dell'isola; lì i Veneziani ricevettero la notizia della caduta di Nicosia, giudicata peraltro inespugnabile, senza che lo Zane avesse tentato di portare aiuto ai compatrioti; riunitisi a consiglio i capi delle squadre, il D. si pronunciò a favore di un'immediata azione offensiva (né fu questa l'unica circostanza in cui le fonti ebbero a sottolinearne il coraggio e lo spirito d'iniziativa), ma le perplessità del comandante in capo ed una tempesta che sorprese alcuni legni veneziani al largo di Rodi impedirono l'attuazione del'impresa.
Nei mesi che seguirono è probabile che il D. si sia dedicato al problema del miglioramento della capacità manovriera dei suoi galeoni e al potenziamento dell'artiglieria.
Sappiamo infatti che la vittoria di Lepanto (7 ott. 1571) fu dovuta in buona parte al fuoco devastante delle sei galeazze che precedettero la flotta cristiana, scompaginando come una sorta di ariete le linee musulmane; ancora, queste galeazze furono comandate dal D., al quale gli stessi comandanti spagnolo e pontificio, dopo il felice esito della battaglia, riconobbero un ruolo fondamentale; infine, nello studio del Morin sull'artiglieria veneta si ipotizza che le sei unità fossero dotate di un nuovo tipo di cannone, denominato "sforzato", ossia rinforzato, e in grado di sparare la metà più lontano degli altri. Questo speciale modello era stato studiato da un dipendente dell'Arsenale, Antonio Armeno, che in tal modo anticipava di una trentina di anni soluzioni che sarebbero poi state universalmente adottate per aumentare la gittata dei pezzi; è vero che, dopo la deliberazione senatoria del 6 sett. 1570 che affidava ai provveditori sopra le Artiglierie ed ai patroni all'Arsenale il compito di realizzare il progetto, sull'iniziativa le carte osservano il silenzio (ma a tale proposito è lecito supporre un intervento del Consiglio dei dieci); pure è altrettanto certo che l'Armeno era a Lepanto, quel 7 di ottobre, proprio accanto al D.: sembra dunque di poter concludere che i due collaborarono proficuamente per aumentare la capacità offensiva delle galeazze, ognuna delle quali venne armata con trenta pezzi di artiglieria.
Il D., che con esse partecipò valorosamente anche agli scontri del 7 e del 10 ag. 1572, lasciò una memoria scritta sulle loro caratteristiche tecniche, suggerendo taluni accorgimenti per migliorarne la capacità operativa, infine, il 13 dicembre di quello stesso anno, fu richiamato in patria. Motivi di salute, questa la spiegazione ufficiale, ma il suo prudenziale allontanamento dalla flotta suscitò il rammarico e le lamentele di don Giovanni d'Austria e del pontefice, che stimava "grandissimamente" il D. e lo giudicava "necessario in armata", proprio per la sua esperienza nel campo delle armi da fuoco.
Comunque la "travagliata infermità" non impedi al D., una volta giunto a Venezia, di ricoprire l'incarico di consigliere ducale per il sestiere di S. Marco dal 1°giugno 1573 al 31 maggio 1574, per recarsi poi subito dopo a Padova, in qualità di capitano, da dove inviò vari dispacci al Consiglio dei dieci, sottolineando la necessità di potenziare quel corpo di artiglieria; savio del Consiglio dal 28 apr. 1576 al 30 settembre di quello stesso anno, fu poi sopraprovveditore alla Sanità nel 1577, nel corso cioè degli ultimi sviluppi della terribile pestilenza, e l'anno seguente andò capitano a Brescia, al fine di riorganizzarvi le truppe, dopo i guasti provocati dal contagio.
Fu poi ininterrottamente chiamato a ricoprire la prestigiosa carica di savio del Consiglio, a partire dal 1581, e nei periodi di contumacia si divise tra le magistrature finanziarie ed il collegio della Milizia da mar, dove continuò ad occuparsi di artiglieria e dell'Arsenale, che fece ingrandire, caldeggiando la costruzione del canale detto delle galeazze.
In riconoscimento di tanti servizi prestati alla patria, il 28 marzo 1587 venne eletto procuratore de ultra, nonostante l'opposizione dei "giovani", che non gli perdonavano i sentimenti filopontifici. Fine intenditore e raccoglitore di opere d'arte, ricco di sostanze e di prestigio, due anni più tardi il D., insieme con il fratello Domenico, acquistava gran parte del colle di Monselice, dove già la famiglia nel corso del secolo si era assicurata notevoli appezzamenti, cosi da farne il nucleo eminente della proprietà; la primitiva intenzione pare fosse quella di edificarvi una villa con oratorio, secondo la tradizionale prassi nobiliare, ma appena un mese dopo la morte del D. il figlio Pietro affidava a V. Scamozzi la costruzione di un tempio ottagonale, al quale poi si affiancarono sei cappelle che il papa avrebbe dotato di indulgenze pari a quelle delle sette basiliche romane.
La morte colse il D. fuori città, nell'espletamento dell'ennesimo incarico: nominato provveditore in Friuli, assieme a Marcantonio Barbaro ed a Giacomo Foscarini, per la progettata edificazione della fortezza di Palmanova, si spense durante il viaggio di ritorno, il 16 nov. 1592.
Fu sepolto a Venezia, nella chiesa di S. Maria Zobenigo, e la corazza con cui si era battuto a Lepanto venne collocata dai discendenti nella sala d'armi dell'Arsenale, dove tuttora si conserva.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia veneta 19: M. Barbaro-A. M. Tasca, Arbori de' patritii…, III, pp. 385, 387; Ibid., Avogaria di Comun, reg. 107: Cronaca matrimoni, c. 119r; Ibid., Segr. alle Voci, Elez. Magg. Cons., reg. 1, c. 18; reg. 2, cc. 13, 94; reg. 3, cc. 18, 23, 159; reg. 4, cc. 116, 140, 190; reg. 5, cc. 5, 140, 155; Segr. alle Voci. Elez. Pregadi, reg. I, cc. 32, 72; reg. 2, cc. 57, 67, 76; reg. 3, cc. 36 s., 41, 50, 100; reg. 4, cc. 20, 24, 28, 90; reg. 5, cc. 5-8, 24, 77 s., 124, 156, 183; reg. 6, cc. 1r, 2r, 3r, 4r, 55v, 77v, 103r, 111v, 112v-113r; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 198 (= 8383): Reggimenti, cc. 282r, 309v-310r, 311v, 335r; cod. 823 (= 8902): Consegli, c. 24r; 829 (= 8908), c. 89r; cod. 831 (= 8910), cc. 20v, 82v, 141v, 153v, 211v, 216v, 233v, 249v, 256v, 290v; in particolare, sull'attività navale, Arch. di Stato di Venezia, Senato. Mar, reg. 26, cc. 16r, 158r; reg. 27, c. 60r; reg. 28, c. 20v; Ibid., Milizia damar, b. 266 passim; Ibid., Archivio proprio Contarini, reg. 25, cc. 3v-5v (autografo del D. sulla battaglia di Lepanto, con suggerimenti di modifiche da apportare alle galeazze); Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Mss. P. D. 11 c: De' fatti egregi del cl.mo et ill.mo Sig. F. D. nel capitaneato delle galee grosse armate; su altri aspetti della sua attività politica, Arch. di Stato di Venezia, Lettere rettori ai capi del Consigliodei dieci, b. 291, nn. 214 ss. (sul bailato a Corfù); b. 171, nn. 30 ss., 35 (sulla luogotenenza a Udine, per la quale si veda ancora: Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Mss. Donà dalle Rose, 50, c. 71r); b. 83, nn. 145, 188 s., 194, 196 s. (sul capitanato a Padova); la relazione del capitanato a Brescia è pubblicata in Relazioni dei rettori veneti in Terraferma, XI, Podestaria e capitanato di Brescia, Milano 1978, pp. 151-161; sulla consistenza patrimoniale e la sua amministrazione, Arch. di Stato di Venezia, Dieci savi alle Decime. Redecima del 1537, b. 93/484; Venezia, Bibl. del Civ. Museo Correr, Mss. P. D. C2445/8: Conti per decime pagate ai XSavi da Domenico e Fuodo D.; Ibid., cod. Cicogna 480 c: Filze e registri di documenti di casa Duodo, cc. 19r-20r, 21r-28v, 41r, 42r, 63v (questa carta riporta il testamento del D., datato 12 nov. 1592), inoltre alle cc. 235r-435r sono descritti gli acquisti effettuati dai Duodo a Monselice dal 1446 al 1624; per i restauri ed i progetti relativi ai palazzi di S. Maria Zobenigo e Monselice, Ibid., Mss. P. D. 110 c: Famiglia Duodo, cc. 3v-4r; Mss. P. D. 215 b, fasc. 45; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, cod. 2290 (= 9466): F. Fapanni, Memorie e discrizioni venez., cc. non numerate; sulla raccolta numismatica del D., Ibid., Bibl. del Civ. Museo Correr, Mss. Gradenigo 198, c. 339r. Si veda inoltre: G. De Basegio, Epistola dedicata al clariss. M. F. D. dignissimo luocotenente de Udene, Venezia 1565; F. Morando Sirena, In foedus et victortamcontra Turchas…, Venetiis 1572, p. 230; F. Sansovino, Venetia città nobilissima, et singolare…, Venetia 1663, pp. 372, 611; A. Morosini, Historiae Venetae…, in Degl'istorici delle cose veneziane…, VI, Venezia 1719, pp. 264, 326, 481, 486; G. Cognolato, Saggio di memorie della terra di Monselice…, Padova 1794, p. 57; E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane…, III, Venezia 1830, pp. 177 s.; IV, ibid. 1834, p. 683; V, ibid. 1842, pp. 131, 495; VI, ibid. 1853, pp. 901 s.; G. Giuriato, Lepanto, in Archivio veneto, I (1871), 1, pp. 293, 295 ss.; A. Wiel, The navy of Venice, London 1910, pp. 62, 268; L. von Pastor, Storia dei papi…, VIII, Roma 1924, p. 558; G. Tassini, Curiosità veneziane, Venezia 1933, p. 237; G. A. Quarti, La guerra contro il Turco a Cipro e a Lepanto…, Venezia 1935, pp. 159, 169, 305 s.; M. Morin, La battaglia di Lepanto. Il determinante apporto dell'artiglieria veneziana, in Diana armi, IX (1975), 1, pp. 57, 59, 61; P. Preto, Peste e società a Venezia, 1576, Vicenza 1978, p. 117; M. Gemin, La chiesa di S. Maria della Salute e la cabala di Paolo Sarpi, Abano Terme 1982, pp. 66, 134, 167; E. Concina, L'Arsenale della Repubblica di Venezia, Milano 1984, p. 164; G. Moroni, Diz. di erudiz. storico-eccles…., XCII, pp. 378, 390.