ELMI, Francesco
Figlio primogenito di Brancuccio di Berto, conte di Santa Cristina, e di Trincia Elmi, nacque a Foligno (od. provincia di Perugia) sul finire del sec. XIV da antica e potente famiglia.
Impossibile, allo stato attuale delle ricerche, stabilire se sia da identificare col padre dell'E., che nel 1407 fu capitano di Giustizia a Firenze per il semestre iniziatosi il 20 maggio, quel Brancuccio Elmi che nel 1440 fu podestà di Bologna e che, appunto in quell'anno, contribuì ad istruire il processo contro Tommaso e Battista Canetoli, accusati di aver complottato contro la città.
Nel 1414 l'E. fu capitano di Giustizia in Firenze per il semestre iniziato il 28 gennaio. Uomo di fiducia di Corrado (III) Trinci, vicario pontificio e signore di Foligno, all'inizio del 1421 fu da quello inviato come podestà a reggere Nocera Umbra poco dopo la sanguinosa repressione della rivolta tentata dal castellano di quella città, Pietro Rasiglia. Dal 1º giugno al 1º dic. 1423 fu podestà a Trevi, altro centro di dominio pontificio allora sottoposto alla giurisdizione del Trinci. Il 23 ag. 1433, in occasione del passaggio per Foligno dell'imperatore Sigismondo di Lussemburgo, fu da questo creato, insieme con altri esponenti della nobiltà e del governo cittadino, conte palatino e investito dell'Ordine di S. Giorgio. Podestà a Siena nel 1435, in quello stesso anno venne incaricato dal Trinci di svolgere l'importante missione di rappresentarlo dinnanzi al papa Eugenio IV, allora a Firenze, dove aveva trovato riparo fuggendo la rivolta romana del 29 maggio 1434.
Una serie di rivolte e di sottomissioni aveva sin'allora caratterizzato i rapporti tra Corrado (III) Trinci e la Sede apostolica, cui formalmente apparteneva l'alta sovranità su una parte dell'Umbria e nel cui nome, come vicario, egli stesso governava Foligno, le terre di Gualdo Cattaneo e della Val Topina. L'ultima sollevazione risaliva all'anno precedente, quando il Trinci aveva ripreso le armi contro la Chiesa, per appoggiare le incursioni di Niccolò Fortebracci e di Niccolò Piccinino contro i territori umbri di dominio pontificio, da un lato, e, dall'altro, per contrastare i progressi delle milizie di Francesco Sforza, alla fine intesosi con il papa Eugenio IV, che lo aveva creato suo vicario nella Marca e gonfaloniere di S. Romana Chiesa. Nell'agosto del 1435, nella piana di Colfiorito presso Camerino le truppe del Fortebracci erano state annientate dall'armata dello Sforza: lo stesso Fortebracci perdette la vita combattendo.
Travolto dalla sconfitta dell'alleato, Corrado (III) Trinci aveva cambiato ancora una volta partito, scegliendo di avviare trattative in vista di un accordo con il pontefice. Ne affidò la gestione a due persone fidate, a lui consanguinee: l'E., appunto, e Giacomo Trinci, il potente abate di Sassovivo, che nominò suoi ambasciatori e procuratori presso Eugenio IV.
I negoziati procedettero rapidamente. Il 27 agosto, nel corso di una solenne cerimonia tenutasi nel palazzo Trinci a Foligno, l'E. e Giacomo Trinci ricevettero la procura dalle mani di Corrado (III). L'8 settembre, nel convento fiorentino di S. Maria Novella, presente Cosimo il Vecchio de' Medici, l'E. e l'abate di Sassovivo, da un lato, ed il cardinal camerario Francesco Condulmer in rappresentanza del papa, dall'altro, firmarono l'atto con cui Corrado (III) Trinci dichiarava di sottomettersi alla Sede apostolica, di essere pronto a prestare giuramento di fedeltà, e si impegnava a pagare i censi dovuti per il passato e per il futuro, mentre Eugenio IV, da parte sua, lo confermava suo vicario in Foligno, a Nocera e nella Val Topina. Il documento precisava esattamente i confini dei territori sottoposti alla giurisdizione del Trinci, il cui ambito risultava tuttavia nel suo complesso ridotto rispetto al passato, specie lungo il confine perugino; stabiliva inoltre che il Trinci dovesse procedere alla restituzione delle terre e delle città che non fossero espressamente indicate nel documento; ordinava infine lo sgombero delle terre di Bevagna e di Montefalco, da lui militarmente occupate.
L'atteggiamento dell'E. nei confronti di Corrado (III) Trinci, tuttavia, cambiò radicalmente negli anni immediatamente successivi. Infatti si staccò decisamente da lui, quando il signore di Foligno, approfittando delle campagne condotte a partire dal febbraio del 1438 in appoggio alla politica del duca di Milano Filippo Maria Visconti, contro i territori di dominio pontificio, da Francesco Piccinino e da Taliano Forlano, riprese i suoi attacchi e le sue incursioni contro i possedimenti della Chiesa in Umbria, conquistando Trevi ed appoggiando la rivolta del castellano di Spoleto Pietro Tomacelli. Sicché, quando il card. Giovanni Vitelleschi, alla testa degli eserciti pontifici, entrò decisamente in campagna nel maggio del 1439 per reprimere la rivolta e, dopo aver recuperato Bevagna (11 luglio), si presentò il 17 sotto Foligno e la cinse di un duro assedio, l'E. si fece promotore, con un gruppo di nobili concittadini, di una congiura che mirava alla eliminazione del Trinci ed al raggiungimento di un accordo col cardinal legato.
Del complotto fecero parte tredici componenti del Consiglio dei nobili, che reggeva la città. Essi si mossero sotto la guida dell'E. e di Giacomo Trinci, abate di Sassovivo. Preso contatto con il cardinale legato, l'E. ed i suoi compagni avanzarono proposte e richieste ben precise. Offrivano la possibilità di conquistare Foligno senza colpo ferire; promettevano la consegna del Trinci e dei suoi fautori, si dichiaravano pronti a porsi nuovamente sotto la signoria politica della Sede apostolica. Esigevano, in cambio, che il Vitelleschi si impegnasse a riconoscere, in nome della Sede apostolica, le antiche costituzioni e gli ordinamenti interni tradizionali. Tali condizioni vennero accettate dal Vitelleschi, come fecero sapere due suoi emissari in un successivo abboccamento, nel corso del quale vennero presi gli ultimi accordi.
L'E. ebbe una parte di rilievo anche negli avvenimenti che portarono immediatamente alla caduta di Foligno. Presso la sua abitazione si radunarono infatti, nella notte fra l'8 ed il 9 settembre, i promotori della congiura, alcuni dei loro familiari, i loro armati, Atto Giovanni degli Atti "con circa duecento huomini con targoni, rotelle, lancie, e balestre… e quelli della contrada delle Poelle, che in tutti erano più di quattrocento" (Dorio, p. 235). L'E. guidò gli insorgenti ad impadronirsi della porta S. Maria. Fu ancora lui ad inviare, dopo il fatto, il messaggio con cui si avvisava il card. Vitelleschi del felice esito dell'impresa e si fissava l'ora in cui il legato stesso e le sue truppe avrebbero dovuto presentarsi dinnanzi alle mura. Fu così che una colonna comandata da Tartaglia da Foligno, conestabile dei fanti del legato, da Tartaglia da Trisciano e da Biagio dal Castel Piano, "ambedue Capitani Perugini", verso le 3 di notte, attraverso la porta presidiata dall'E. e dai suoi, poté entrare "senza saputa del Trinci, e col consenso quasi di tutto il Popolo" nella città e occuparla "con poca contesa". Il card. Vitelleschi, fatto il suo ingresso la mattina successiva, mantenne le promesse fatte all'E. ed agli altri congiurati. Con un documento del 12 settembre riconobbe infatti le tradizionali forme di governo e le antiche costituzioni cittadine. Premiò inoltre l'E. e gli altri capi del complotto, che gli avevano consegnato Foligno, concedendo loro beni e terreni già appartenuti ai Trinci.
Dure furono, invece, le rappresaglie contro gli esponenti più in vista del passato regime. Ugone e Francesco di Corrado Trinci furono linciati; Benedetto Rampeschi, cancelliere del deposto signore, fu decapitato insieme col figlio Giacomo. Corrado (III) venne arrestato: tradotto nella rocca di Soriano, fu strangolato nella notte del 14 luglio 1441. Lo stesso Giacomo Trinci, l'abate di Sassovivo, fu fatto arrestare dal Vitelleschi, "perché haueua inteso, che… haueua fatto molti mali, e viueua con molta libertà, e inosseruanza" (Dorio, p. 238), Tradotto a Civitavecchia, dapprima, e poi al carcere romano Tor di Nona l'abate finì in carcere i suoi giorni.
Nel 1442 l'E. faceva parte del Collegio di magistrati che governava Foligno. Nel dicembre di quell'anno represse una congiura ordita in accordo con Nello Baglioni e col Comune di Perugia da due suoi nobili concittadini, Astorre Vitelleschi e Antonio di Berto Boscari, per sopprimere l'E. e gli altri membri del governo e consegnare la città a Niccolò Piccinino, allora capitano generale della Chiesa.
È, questa, l'ultima notizia su di lui fornitaci dalle fonti a noi note.
Figlio dell'E. fu Giovanni Sensino, che il Dorio dice dottore in legge e che nel giugno del 1446 fu tra quei nobili di Foligno che congiurarono, in accordo con Federico di Montefeltro conte di Urbino, per consegnare la loro città a Francesco Sforza. Venne perciò arrestato ed inviato a confino. Tornato in libertà l'8 sett. 1447, fu coinvolto nel fallito tentativo compiuto dal nuovo Consiglio folignate che, a quanto riferisce il Dorio, su ispirazione di Niccolò Piccinati avrebbe inteso "ridurre la Città come una Repubblica" (p. 267). Podestà di Fermo nel 1453, e nel 1456 capitano di Giustizia in Firenze per il semestre iniziato il 4 marzo, nel 1459 Giovanni Sensino partecipò ad una nuova congiura per consegnare Foligno a Giacomo Piccinino, che fu sventata da Giacomo Tolomei. Arrestato, venne processato insieme con gli altri capi del complotto e condannato al confino in Assisi. Era ancora vivo nel 1472, quando da Foligno scrisse due lettere a Lorenzo de' Medici in data 17 giugno e 9 ottobre (altre due lettere aveva inviato allo stesso il 5 novembre ed il 9 dicembre dell'anno precedente).
Appartenente ad un altro ramo della famiglia degli Elmi fu Smeraldo, figlio di Marchese di Farratella. Portatore anch'egli del titolo comitale di Santa Cristina, nel 1414 fu "executor ordinarius iustitiae populi Florentini" per il semestre iniziato con l'aprile.
Fonti e Bibl.: C. Ghirardacci, Historia di Bologna, in Rer. Italic. Script., 2 ed., XXXIII, I, 2, a cura di A. Sorbelli, p. 53; Codex diplomaticus dominii temporalis Sanctae Sedis…, a cura di A. Theiner, III, Romae 1862, n. 277 pp. 331-333; Thomae Martani Commentarium, in Documenti storici inediti in sussidio allo studio delle memorie umbre, a cura di A. Sansi, I, Foligno 1879, p. 191; Archivio di Stato di Firenze, Archivio Mediceo avanti il Principato, Inventario, II, Roma 1955, pp. 9, 130, 144; D. Dorio da Leonessa, Istoria della famiglia Trinci, nella quale si narrano l'origine, genealogia, dominij, dignità, e fatti de' discendenti da essa…, Foligno 1638, pp. 193 ss., 215 s., 233-237, 265-268; G. Bragazzi, Compendio della storia di Fuligno, Fuligno 1858-59, pp. 23 s.; M. Faloci Pulignani, Il vicariato dei Trinci, in Boll. della R. Deputaz. di storia patria per l'Umbria, XVIII (1912), p. 35; M. V. Prosperi Valenti, Corrado Trinci ultimo signore di Foligno, ibid., LV (1958), pp. 82, 88, 98, 100, 104, 141.