Ercole, Francesco
Nato a La Spezia nel 1884, si laureò in giurisprudenza nel 1907 all’Università di Parma e insegnò storia del diritto italiano nelle università di Urbino (1912-14), Sassari (1914-16) e Cagliari (1916-20). Fu quindi professore della stessa materia all’Università di Palermo, di cui fu anche rettore dal 1923 al 1932, per poi passare alla cattedra di storia moderna fino al 1935, quando si trasferì all’Università di Roma. Vicino al movimento nazionalista fin dagli anni della Prima guerra mondiale, si iscrisse al Partito nazionale fascista nel 1923 e iniziò un impegno politico che lo portò a essere eletto deputato tra il 1929 e il 1939, e ministro dell’Educazione nazionale tra il 1932 e il 1935. Presidente dell’Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea dal 1935, divenne socio dell’Accademia dei Lincei nel 1936. Dopo la caduta del regime fascista aderì alla Repubblica sociale. Morì a Gardone Riviera (Brescia) nel 1945.
L’interpretazione di M. fornita da E. si sviluppa attraverso un’analisi dei principali lemmi («virtù», «fortuna» ecc.) utilizzati dal Segretario fiorentino, che vengono però decontestualizzati per facilitare l’inserimento di M. all’interno di una più complessiva ricostruzione della formazione dello Stato italiano dal Medioevo alla contemporaneità. M. è infatti rappresentato come uno dei principali teorici del nazionalismo italiano ante litteram e, su questa strada, come un anticipatore del fascismo. È soprattutto nel volume La politica di Machiavelli (1926) – in cui sono raccolti saggi già pubblicati sulla rivista «Politica» diretta da Alfredo Rocco e Francesco Coppola – che E. mira all’appropriazione di M. da parte del fascismo. Il machiavellismo non è sinonimo di amoralità politica, bensì di nazionalismo e di patriottismo in grado di fondare uno Stato «morale»: «Ben lungi dall’aver separato l’attività politica dall’attività morale, il Machiavelli è colui che, più di ogni altro, ha sentito l’inscindibilità della politica vera dalla vera moralità» (La politica di Machiavelli, 1926, p. 45). I «fatti» non vivono senza «valori»; e viceversa, la «vera politica» è quella che non si limita a volere in astratto il fine morale (così come non lo è quella che astrae dalla moralità del fine), ma quella che propone quanto è necessario nei fatti per raggiungere il fine morale. La patria e il bene comune devono indicare il confine della libertà individuale: questa è l’essenza di ogni politica che considera nefasta la frammentazione dello Stato, promossa invece dal liberalismo. Dalla difesa del bene comune emerge infatti una concezione «organicista» dello Stato, mentre dalla difesa dell’atomismo individualistico emerge una concezione «meccanicistica». Sia M. sia il fascismo, secondo E., si schierano dalla parte dello Stato «organico»: lo spirito della romanità è presente tanto in M. quanto in Mussolini. Lo Stato machiavelliano mostra la sua virtù nella capacità del popolo di trasformare gli istinti naturali in istinti collettivi: la critica fascista dell’individualismo liberale – e della conseguente concezione della politica intesa come gestione degli appetiti egoistici e composizione degli interessi individuali – trova in M. un autorevole antecedente. Nella concezione organicista dello Stato gli appetiti individuali devono essere sublimati e subordinati alla volontà morale che si incarna nello Stato nazionale. Lungi dal presentare un’interpretazione relativistica dell’insegnamento morale e politico di M., E. individua nella sua opera l’elaborazione di un’idea di patria identificata in un popolo-nazione connotato territorialmente, etnicamente ed eticamente attraverso l’unità di spirito, lingua, religione e costumi: «Della nazione come unità etnica, storica, psicologica, oltre che geografica e territoriale, il M. mostra di avere un nettissimo concetto» (La politica..., cit., p. 110). Una tale coincidenza tra nazione e Stato è pertanto la tendenza, o il destino, a cui aspira ogni popolo. Con la sua concezione dello Stato-nazione, che vede la coincidenza tra il popolo vivente e il suo territorio, il M. di E. diventa un precursore della dottrina nazional-fascista.
Bibliografia: Lo Stato nel pensiero di Niccolò Machiavelli, Palermo 1917; Dante e Machiavelli, Roma 1922; La politica di Machiavelli, Roma 1926; Il pensiero politico di Dante, 2 voll., Milano 1927-1928; Dal nazionalismo al fascismo, Roma 1928; Pensatori e uomini d’azione, Milano 1935, pp. 147-77; Storia del fascismo, 2 voll., Milano 1939; Guicciardini e la “ragion di Stato”, «Rivista internazionale di filosofia del diritto», 1942, 22, pp. 359-420.
Per gli studi critici si vedano: G. Gentile, Studi sul Rinascimento, Firenze 1923, 1968, pp. 107-20; P. Carli, recensione a F. Ercole, La politica del Machiavelli, «Giornale storico della letteratura italiana», 1926, 45, pp. 337-41; N. Sapegno, Gli studi critici: Machiavelli, «Il Baretti», 1926, 3, 12, p. 119; L. Ginzburg, Scritti scelti, Torino 1964, pp. 25-27; A. Aquarone, L’organizzazione dello Stato totalitario, Torino 1965, pp. 23, 53 e segg., 208; M. Ciliberto, Appunti per una storia della fortuna di Machiavelli in Italia: F. Ercole e L. Russo, «Studi storici», 1969, 10, pp. 799-832; G.M. Barbuto, Gentile, Machiavelli e lo Stato etico di Campanella, «Laboratoire italien», 2001, 1, pp. 109-25; G.M. Barbuto, Machiavelli e i totalitarismi, Napoli 2005, pp. 35, 38 e segg.