GUASCO, Francesco Eugenio
Nacque ad Alessandria il 3 nov. 1725 da Guarnerio Lorenzo, marchese di Castelletto d'Erro, e da Maria Violante Turinetti, dei conti di Perego. Secondo di quattro figli (il primogenito, Carlo, fu anch'egli poeta e storico), il G. scelse una via che gli avrebbe permesso di combinare il mestiere letterario con la ricerca di benefici ecclesiastici, vestendo l'abito religioso (prese gli ordini minori) e laureandosi a Torino nel 1746.
Cercò dapprima in Alessandria lo spazio per realizzare le sue ambizioni, promovendo con il fratello Carlo la rinascita di un antico e glorioso, ma decaduto, sodalizio culturale, l'Accademia degli Immobili, di cui fu principe col nome di Svegliato e di cui presiedette la solenne adunanza di rifondazione nel palazzo vescovile (28 giugno 1751). Tuttavia, non trovando quello spazio, lasciò la città subalpina per trasferirsi a Roma, anche per approfondire i prediletti studi eruditi; prima di lasciare Alessandria, però, nel 1753 il G. vi stampò la sua prima opera, le Lettere su Voltaire.
In queste lettere, indirizzate a G.M. Della Torre, pur tra superficiali accenni a motivi illuministici il G. si mostra fondamentalmente ostile al discorso di Voltaire, in particolare a quello delle Lettres philosophiques e degli éléments de la philosophie de Newton, opere che accusa di usare la scienza contro la religione istituzionale nonché di propagandare concetti e dottrine, quali quello di tolleranza e il deismo, giudicati il prodotto di un'incapacità di comprendere il vero messaggio evangelico.
A Roma il G. fu annoverato (1754) tra i pastori arcadi con il nome di Alcisto Solaidio, che nello stesso anno utilizzò per firmare un breve scritto pubblicato in appendice a un dramma del gesuita G.C. Cordara, in Arcadia Panemo Cisseo: La morte di Nice, dramma pastorale con alcune osservazioni di Alcisto Solaidio p. a., Genova 1754. Più indizi suggeriscono che a Roma, nei primi tempi, il G. fosse molto vicino ai circoli antigesuitici e rinnovatori: l'ascrizione, forse nel 1755 (sicuramente prima del 1758), a tre rinomate accademie, l'Etrusca di Cortona, quella degli Affidati di Pavia e del Buon Gusto di Palermo, centri di promozione degli studi sulle antichità romane ma anche luoghi di diffusione delle idee di rinnovamento, non solo in campo religioso (l'accademia siciliana, che già aveva annoverato L.A. Muratori, nel 1755 associò G. Bottari e G. Lami); la pubblicazione nel 1756 a Venezia, per i tipi di G. Bettinelli, di un testo insolito per un ecclesiastico, l'Epicuro difeso. Osservazioni critiche sopra la di lui filosofia, che difendeva la morale epicurea, pur associata alla metafisica malebranchiana del piacere come azione divina ed esaltata come teorica del repos e dell'equilibrio. L'indizio più significativo, però, è la stesura del proseguimento degli Annali d'Italia del Muratori per il periodo 1750-64, apparso anonimo a Lucca nel 1764 con il titolo Continuazione degli Annali d'Italia di L.A. Muratori.
Ancora diversi anni dopo, quando G. Gravier lo ristampò a Napoli come quattordicesimo e ultimo tomo della sua edizione dell'opera muratoriana, il lavoro apparve privo del nome dell'autore (Annali d'Italia compilati da L.A. Muratori dal principio dell'era volgare fino all'anno 1750 e continuati… dall'anno 1750 fino all'anno 1764, Napoli 1778). D'altronde il G., narrandovi la storia e i riflessi italiani delle espulsioni della Compagnia dal Portogallo nel 1759 e dalla Francia nel 1764, pur esprimendo compassione per le traversie cui andarono incontro tanti appartenenti all'Ordine, non esitò a esprimere giudizi di questo tenore: "Questo è quanto dicevano gli uomini al par di me disappassionati; quelli, cioè, che stimano i Gesuiti, e insieme non lodano lo spirito della Società; quelli che vedevano con dolore gli scandali che nascevano dalla guerra che si faceva ai Gesuiti, da infiniti per astio, da moltissimi per interesse, da pochi per vero spirito, e vero zelo di Religione" (Continuazione…, pp. 356 s.).
Nel 1758 il G. pubblicò a Lucca uno scritto erudito, I riti funebri di Roma pagana, nel quale, in ampie digressioni dall'argomento principale, esaltava quelle che indicava come virtù proprie del mondo latino e fondamento della sua letteratura. Ampio spazio, non a caso, era riservato all'opera di Orazio, al suo epicureismo e in particolare al suo ideale di equilibrio e moderazione. Risale allo stesso lasso di tempo un episodio dai contorni ancora in gran parte oscuri, documentato da una lettera al senatore G.F.M. Casali Bentivoglio Paleotti del 29 nov. 1757 (Rossi, p. 412). In quella data il G. aveva pressoché terminato un poema eroicomico, la Quaderna soggiogata, dedicato a L.M.C. Bassi Veratti e firmato con lo pseudonimo Eugenio Marcellini, il cui argomento era una breve guerra tra i Bolognesi e gli abitanti di Quaderna (l'antica Claterna) svoltasi nel IV secolo d.C. L'opera, la cui imminente stampa fu pubblicizzata da un manifesto del 30 marzo 1758 (Rossi, pp. 417 s.), non vide mai la luce e il manoscritto è perduto, forse distrutto dall'autore. Il motivo si trae da un'altra lettera al Casati, dell'estate del 1758 (Rossi, pp. 414-416): Carlo Emanuele III fece sapere al G. che non desiderava la pubblicazione e che una disobbedienza sarebbe stata punita con l'ostracismo da qualsiasi incarico ufficiale e collazione di benefici. Le poche e vaghe notizie sul contenuto del poema non permettono di capire cosa provocasse la contrarietà del sovrano.
L'episodio, in ogni modo, non lasciò strascichi significativi. Infatti negli anni seguenti il G. riprese a produrre con lena, pubblicando più lavori: una versione della Congiura di Catilina di Sallustio (Napoli 1760), letta e menzionata anche da J.J. Winckelmann (p. 211); una Lettera sopra un'antica statua rappresentante un oratore romano (Roma 1760), dedicata a mons. S. Borgia, governatore di Benevento; un Ragionamento sopra la rinuncia fatta da Lucio Cornelio Silla alla dittatura (Lucca 1763); una breve lettera polemica in appendice a un volume la cui stampa, secondo G. Melzi (Diz. di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani, III, Milano 1859, p. 29), fu promossa da G. Bottari (Satire di Benedetto Menzini poeta fiorentino con le note postume dell'abbate Rinaldo Maria Bracci, pubblicate da un accademico immobile coll'aggiunta d'un ragionamento epistolare d'Alcisto Solaidio p.a. sopra l'uso della satira contro il parere di Pier Casimiro Romolini, Napoli 1763); un contributo all'Eneide di Publio Virgilio Marone tradotta in versi da padre Antonio Ambrogi, con descrizione alfabetica dei luoghi nominati di F.E. Guasco (Roma 1764), elogiato dalla Gazette littéraire de l'Europe del 28 nov. 1764 (n. 47, p. 326). Non pago, nel 1763 il G. finanziò la stampa del Saggio di traduzioni di un conterraneo giunto a Roma da non molto, l'abate G. Cerutti.
L'amicizia con costui, personaggio molto ambiguo, gli attirò però sospetti e rancori: a Roma si arrivò a mormorare che i due piemontesi fossero i veri autori di un periodico che propagandava idee blandamente riformatrici, il Parlamento ottaviano, pubblicato a Torino dal 1762 al 1763 da C. Denina, nel quale comparivano resoconti di conversazioni che nella finzione letteraria si dicevano avvenute nel salotto di un inesistente nobile romano. Il sospetto, in realtà privo di fondamento, fu condiviso anche dal cardinale L.M. Torrigiani, che dopo avere ottenuto il divieto di stampa dell'opera dispose che il G. fosse sorvegliato per qualche tempo.
Poco si sa sugli anni dal 1765 al 1770. Di certo l'incidente fu superato presto, dato che nel 1768 sue rime furono pubblicate in Adunanza tenuta dagli Arcadi per l'acclamazione di sua eccellenza Donna Odescalchi Chigi (Roma 1768, p. 61; poi ripubblicate dal G., con altri componimenti poetici, in Sonetti sopra argomenti diversi, Alessandria 1772). Nel 1772 era già tornato nelle grazie della Curia pontificia, se nel novembre ottenne la nomina a custode e presidente del Museo capitolino, incarico che mantenne per circa sei anni e onorò anche con la pubblicazione di un'importante opera in tre volumi, Musaei Capitolini antiquae inscriptiones (Romae 1775-78). Ma tutta la produzione erudita del G. in questi anni, dalla Dissertazione tusculana sopra ad una iscrizione sepolcrale appartenente ad una ornatrice (Roma 1771) all'Urna sepulchrale (Romae 1773) e a Delle ornatrici e de loro uffici presso le antiche donne romane (Napoli 1775) è in qualche modo collegata all'ufficio che ricoprì. L'unica possibile eccezione è il ragionamento accademico La morte di Ottone Cesare paragonata a quella di Catone Uticense (Torino 1772), che sfruttando un tema allora alla moda magnificò l'antica Roma repubblicana, nella quale, secondo il G., trionfavano virtù e libertà, favorite dall'equilibrio e dalla moderazione nei costumi dei suoi spiriti eletti.
Il 16 giugno 1778 ottenne l'esonero dalla carica di custode del Museo capitolino; l'anno dopo, il 3 ottobre, fu ammesso nel capitolo della basilica di S. Maria Maggiore, beneficio che mantenne fino alla morte. Poté così dedicarsi interamente ai prediletti studi classici, stampando anche un'edizione della Apocolokyntosis di Seneca (Ludus in mortem Claudii Caesaris a F.E. Guasco illustratus, Vercellis 1787); soprattutto, però, iniziò un'intensa attività di polemista antigiansenista, abbracciando una posizione che sembrava contraddire quella sua precedente. In realtà, nel Dizionario ricciano ed antiricciano (Vercelli 1794) e in scritti che andò pubblicando tra il 1788 e il 1793 sotto vari pseudonimi, poi raccolti in due volumi di Opuscoli critici (Serravalle 1794), la polemica riguarda non tanto le posizioni dottrinali dei giansenisti quanto piuttosto l'anticurialismo dei loro epigoni italiani, in particolare l'attacco portato all'autorità del papa dal vescovo di Pistoia Scipione de' Ricci, soprattutto nel sinodo del 1786.
Secondo T. Santagostino (p. 228) nel 1798 il G. fu in predicato di essere fatto cardinale da Pio VI, ma alla nomina si opposero gli ex gesuiti e i loro sostenitori in Curia. Egli morì a Roma il 22 dic. 1798 e fu sepolto in S. Maria Maggiore.
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca universitaria, Mss., 383 (407), b. III, 21 lettere del G. (1757-66); Ibid., Biblioteca dell'Archiginnasio, A.1899, c. 102v e B.199, lett. 159-161 e 204 (altre 5 lettere del 1762); J.J. Winckelmann, Lettere italiane, a cura di G. Zampa, Milano 1961, p. 211. La principale fonte per la biografia è T. Santagostino, Settecento in Alessandria, Alessandria 1947, pp. 226-233. Vedi anche: T. Vallauri, Storia della poesia in Piemonte, II, Torino 1841, pp. 91, 388; G. Melzi, Diz. di opere anonime e pseudonime, Milano 1848-59, I, pp. 28, 288, 342, 397; II, pp. 105, 285, 308, 374; III, p. 29; C.A. Valle, Storia di Alessandria, III, Torino 1854, pp. 396 s.; G. Rossi, Varietà letterarie, Bologna 1912, pp. 411-421; G. Natali, Il Settecento, Milano 1929, pp. 277, 523, 1101; G. Gasperoni, Settecento italiano, I, L'abate Giovanni Cristofano Amaduzzi, Padova 1941, p. 133; Illuministi italiani, III, Riformatori lombardi piemontesi e toscani, a cura di F. Venturi, Milano-Napoli 1958, p. 706; M.E. Cosenza, Biographical and bibliographical Dictionary of the Italian humanists and the word of classical scholarship in Italy 1300-1800, II, Boston 1962, s.v.; A.M. Giorgetti Vichi, Gli arcadi dal 1690 al 1800. Onomasticon, Roma 1977, p. 13; V. Spreti, Enc. stor.-nobiliare italiana, Suppl., II, p. 187.