FANTUZZI, Francesco
Nacque a Bologna nel 1466 da Carlantonio, cavaliere e membro della magistratura cittadina dei Sedici riformatori dello Stato di libertà, e da Elena di Gaspare degli Usberti.
La famiglia paterna, assai influente per patrimonio accumulato esercitando l'attività mercantile e tradizionalmente di parte guelfa geremea, aveva favorito l'affermazione al governo della città dei Bentivoglio, di cui rimaneva uno dei più fedeli sostegni. Il matrimonio del F. con Caterina di Matteo Malvezzi, avvenuto nel 1487, rafforzava i legami fra i Fantuzzi ed un'altra potente famiglia bolognese anch'essa, per il momento, vicina ai signori di Bologna al punto di cambiare il proprio cognome in Bentivoglio.
All'ombra ed accanto ai Bentivoglio si svolse buona parte della vita pubblica del Fantuzzi. Nel 1487 egli partecipò al corteggio per le nozze di Annibale Bentivoglio con Lucrezia di Ercole d'Este e nel 1488 accompagnò Giovanni (II) in pellegrinaggio a Padova. Nel giugno dell'anno successivo moriva Carlantonio, ed il giovane cortigiano assunse la sua prima carica con la successione al padre nella tesoreria della Fabbrica di S. Giacomo. Finalmente nel 1495 il F. entrò nei Sedici al posto di Pirro Malvezzi, privato del rango senatorio e bandito da Bologna al tempo della resistenza contro i Francesi. Una delle prime missioni affidate al F. fu un'ambasceria presso Cesare Borgia il duca Valentino, cui venne inviato nel febbraio 1501 insieme con Angelo Ranuzzi.
Cesare Borgia, impegnato nella conquista di Faenza, chiedeva a Bologna la consegna di Castel Bolognese. Acconsentire alla richiesta significava consegnare al Borgia un luogo strategico in quanto accesso meridionale al sistema difensivo bolognese: compito dei due oratori era di riportare il rifiuto del Senato ed invitare il Borgia a stabilire altrove gli alloggiamenti invernali. La missione non ebbe successo, e nuove minacce del papa costrinsero i Bolognesi a cedere Castel Bolognese, mentre l'intervento di Luigi XII tratteneva il Valentino dall'occupare la stessa Bologna.
Il 16 luglio 1501 il F. partiva per una nuova missione: questa volta era diretto a Milano, presso il cardinale di Rouen, Georges d'Amboise, a sollecitare ancora una volta la protezione del re di Francia per Bologna e, secondo il Ghirardacci, a chiedere la restituzione dei castelli donati dal duca di Milano ai Bentivoglio. Ma la protezione di Luigi XII non giungeva al punto di indurre Alessandro VI a desistere dal suo progetto di sottrarre Bologna ai Bentivoglio: nel settembre del 1502 giungeva a Bologna un commissario del papa e del Valentino a chiedere la consegna della città. Numerose ambascerie bolognesi si susseguirono a Roma; il 14 sett. 1502 partì anche il F., insieme con Alessandro Bottrigari, con il compito di difendere presso il papa l'autonomia di Bologna richiamandosi ai capitoli di Niccolò V - che regolavano la speciale forma di subordinazione della città alla Chiesa - ed al recente trattato con il Valentino. Alle argomentazioni dei due ambasciatori il papa rispose che egli intendeva conservare i privilegi della città, dandole, però, un governo diverso da quello dei Bentivoglio, e li ammonì a non essere troppo fedeli a quella famiglia che avrebbe condotto la città alla rovina. Da successive lettere dei Sedici il F. ed il Bottrigari venivano informati della convocazione di Giovanni (II) Bentivoglio a Roma, del suo rifiuto di recarvisi e dei timori di una censura ecclesiastica contro Bologna. Il 21 ottobre i Sedici ordinarono ai due inviati di lasciare subito e di nascosto Roma e, nonostante un successivo contrordine, essi rientrarono il 7 novembre a Bologna.
Risale a questo periodo, e fu dovuto probabilmente alle eccezionali necessità finanziarie provocate dalla pressione militare del Borgia, un accertamento fiscale sui beni siti nel contado, ivi compresi quelli dei cittadini. Nel quadro fornito dalla Descriptio bonorum comitatus, pur limitato dall'esclusione di alcune zone della pianura, il F. compare come uno dei maggiori proprietari e, insieme con i fratelli Gaspare, Pasotto e Rodolfo, risulta in possesso di oltre 3.000 tornature di terra, poste per lo più nei Comuni di Altedo. Pegola, Vedrana, Viadagola.
Il trattato nuovamente concluso fra Cesare Borgia e Giovanni (II) Bentivoglio e la morte di Alessandro VI riportarono Bologna alla tranquillità, che fu, però, turbata dalla scarsezza dei raccolti del 1503 e del 1504: il F. fu inviato a Venezia a trattare l'acquisto di grano, che la Serenissima dapprima promise e poi negò, allegando il timore di rivolte popolari. La carestia e le calamità si venivano ad aggiungere al malcontento che i provvedimenti oppressivi, adottati dai Bentivoglio durante la lotta contro il Borgia, avevano suscitato nell'oligarchia cittadina. Su queste basi l'opera di Giulio II per riportare Bologna sotto il dominio diretto della Chiesa fu più agevole di quella del suo predecessore. Preso possesso di Bologna ed espulsi i Bentivoglio, il 17 nov. 1506 Giulio II stabilì un Senato di quaranta membri, fra i quali veniva ricompreso il F., già escluso dal magistrato che il popolo aveva eletto prima dell'ingresso del papa in città.
Per due anni il F. sembrò collaborare quietamente con il nuovo regime: il 13 luglio 1507 ebbe dal Senato l'incarico di accompagnare a Roma il legato uscente, cardinale Antonio Ferrero, ed il 10 dicembre dello stesso anno fu eletto oratore al papa insieme con Girolamo Sampieri. Il 7 genn. 1508 veniva sollevato dall'incarico avendo ottenuto l'ufficio di tesoriere pontificio a Perugia: stando a quanto il F. stesso afferma in una lettera successiva (Arch. di Stato di Bologna, Comune, Lettere, 7, cc. 223r-224), sembra che egli intendesse stabilire la propria dimora a Roma ed a questo fine avesse depositato un'ingente somma presso il banco dei Lomellini e dei Gaddi. Dunque il F. si trovava a Roma al momento della prima crisi grave del nuovo ordinamento bolognese.
Le pressioni dei Bentivoglio per rientrare a Bologna e la tensione fra le fazioni, mai spente, si erano già concretate in una congiura filobentivoliesca, sventata, e nella distruzione delle case dei Bentivoglio, promossa dai Marescotti. Alla fine del 1507, mentre i Bentivoglio si apprestavano ad una spedizione, veniva ordita una nuova congiura da parte di Gaspare Scappi e di esponenti delle famiglie Pepoli, Poeti e Marsili. Bersaglio della congiura furono i Marescotti, le cui case vennero assaltate ed incendiate, nella notte del 17 genn. 1508, mentre un'altra parte dei congiurati occupava Porta San Mamolo al grido di "Chiesa Chiesa. Sega, sega", inneggiando all'emblema dei Bentivoglio. Se anche l'intento dei rivoltosi fosse stato quello di aprire la porta della città ad Annibale e ad Ermes Bentivoglio, la sedizione sortì l'unico effetto di allontanare momentaneamente i Marescotti da Bologna.
Il F., a Roma, venne prontamente informato sui fatti con una lettera indirizzatagli il 23 gennaio dal Senato bolognese, in cui si cercava di attenuare l'effetto della rivolta, dicendola provocata dalla prepotenza dei Marescotti, "seditiosi et inquieti", e contro questi diretta. Tale era la versione che il F. e l'oratore Carlo Grati dovevano seguire nel presentare l'accaduto al pontefice, ma Giulio II, forse prevenuto dai Marescotti, pretese che il F. convocasse a Roma alcuni concittadini ritenuti responsabili del sacco. Nonostante la garanzia della tutela della persona e dei beni, i sei bolognesi - fra cui Pasotto fratello del F. -, giunti a Roma nel febbraio, vennero rinchiusi a Castel Sant'Angelo. Per quanto la permanenza a Roma lo ponesse al riparo dall'accusa di aver partecipato ad una rivolta palesemente di parte bentivoliesca, il F. ritenne prudente lasciare le terre della Chiesa, portando con sé i figli, Carlantonio e Camillo.
Imbarcatosi a Gaeta ai primi di marzo, egli giunse per via di mare a Lucca, dove sarebbe rimasto almeno fino al novembre 1508. Ufficialmente l'assenza da Bologna non aveva compromesso la sua posizione: la corrispondenza intercorsa fra il Senato, gli oratori bolognesi a Roma ed il F. testimonia dell'atteggiamento conciliante assunto dal papa e dal Senato. Tuttavia egli si sottrasse ai ripetuti inviti a fare ritorno a Bologna, pur senza mai prendere apertamente posizione contro il regime vigente. Intanto il legato, Francesco Alidosi, compiva a Bologna l'opera di normalizzazione: ripristinati nel loro stato i Marescotti, nel giugno 1508 fece strozzare Bartolomeo Magnani ed i senatori Alberto Castelli, Sallustio Guidotti e Innocenzo Ringhieri. Nella stessa circostanza il F., assente ormai da quattro mesi, venne surrogato nel seggio senatorio da Bonifacio Fantuzzi, consanguineo di altra linea, e, allo scadere del termine di un mese e mezzo assegnatogli per il ritorno a Bologna, venne dichiarato decaduto dalla carica. Nonostante le affermazioni contrarie del F., la sua presa di posizione in favore dei Bentivoglio era ormai indubitabile: il suo nome comparve fra quelli dei partecipanti ad un'ennesima congiura ordita da Cristoforo di Rainaldo Ariosti, e contro di lui venne formata inquisizione. I suoi beni vennero sequestrati ed affidati alla tutela del fratello Rodolfo, ancora depositario di Camera, per poi essere confiscati ed assegnati ad altri, mentre il F. e suo fratello Gaspare venivano dichiarati ribelli. Il F. aveva intanto lasciato Lucca per raggiungere a Milano i Bentivoglio, con i quali avrebbe partecipato ad una spedizione a Ravenna tentata nell'aprile del 1509.
Il riaccendersi del conflitto fra il papa e i Francesi e la mutata disposizione dell'oligarchia bolognese nei confronti del dominio pontificio fornirono ad Annibale e ad Ermes Bentivoglio l'occasione per tornare alla signoria della città. Il 23 maggio 1511 l'esercito francese occupò Bologna, ristabilendo i Bentivoglio; con loro rientrava anche il F., che riprese il suo posto nel governo cittadino fra i trenta che, a turni semestrali, avrebbero ricostituito la magistratura dei Sedici riformatori dello Stato di libertà. Al F. vennero subito affidati incarichi molto delicati per l'affermazione di un regime da poco ripristinato: nella seduta del 2 giugno venne nominato fra gli assunti al rinnovo delle borse per l'estrazione degli uffici da utile, e deputato, insieme con il luogotenente del legato, il suo auditore e alcuni giurisperiti, a conoscere le cause sorte intorno alle assegnazioni ed alienazioni di beni operate dal precedente regime, di cui egli stesso aveva sofferto. Dal 23 dic. 1511 il F. entrò nei Sedici riformatori. Intanto le difficoltà militari dei Francesi e la pressione cui Bologna era sottoposta da parte di Giulio II conducevano al definitivo distacco dei maggiorenti dai Bentivoglio. Le stesse famiglie che avevano sostenuto i signori nel periodo dell'esilio ed al momento della lotta per il rientro a Bologna si fecero parte attiva del loro allontanamento. È significativo che il F. ed i suoi fratelli, insieme con altri membri dell'oligarchia, fra cui i Castelli e gli Ariosti, fossero i destinatari di un breve, datato 25 febbr. 1512, con cui Giulio II prometteva l'assoluzione da qualunque imputazione e censura, se la città fosse tornata all'obbedienza alla Chiesa. Fu, dunque, il F., che nel giugno del 1512 ricopriva la carica di gonfaloniere di Giustizia, a trattare con i Bentivoglio perché lasciassero Bologna.
Da questo momento le notizie sul F. diventano lacunose e confuse: l'Ubaldini afferma che egli avrebbe lasciato Bologna, insieme con i fratelli, per sfuggire alle esose pretese dei pontifici. Ai primi di settembre del 1512 essi vennero catturati dagli uomini del cardinal d'Este e condotti prigionieri a Ferrara. Nel luglio 1513 fu eletto a Bologna un nuovo Senato, in cui fu compreso anche l'assente Fantuzzi. In favore del collega il Senato bolognese indirizzò reiterate proteste al duca di Ferrara ed ottenne l'intervento di Leone X per il tramite del cardinale de' Medici, ma la prigionia del F. ebbe termine solo nell'aprile del 1514, probabilmente dietro pagamento di una forte taglia.
Reintegrato nel suo stato e gratificato di privilegi ed esenzioni in ricompensa dei disagi patiti per la causa della Chiesa, il F. tornò al, suo seggio in Senato ed ai compiti ad esso inerenti. Nel giugno 1514 era a Firenze insieme con Marchione de' Manzoli e Lorenzo Malvezzi, in missione presso Giuliano de' Medici. Nel settembre dello stesso anno Leone X convocò alcuni rappresentanti delle magistrature cittadine, e, fra gli altri, fu inviato il Fantuzzi.
La delegazione, guidata da Ercole Bentivoglio, giunse a Viterbo alla fine di settembre e nei giorni seguenti ciascuno dei convenuti venne ricevuto dal papa in udienza separata. Ancora un mese dopo l'oratore bolognese residente, Virgilio Ghislieri, non era in grado di chiarire al Senato il motivo della convocazione. Secondo la cronaca dell'Ubaldini, Leone X chiedeva spiegazioni in merito a presunti negoziati con l'imperatore e con gli Svizzeri; secondo altre testimonianze, era intento del papa sondare gli animi dei Bolognesi sulla riammissione in città dei Bentivoglio. I delegati bolognesi furono trattenuti presso la Curia pontificia fino al gennaio del 1515.
Agli incarichi di amministrazione cittadina - commissario a Budrio nel 1517, assunto al rinnovo delle borse per gli uffici da utile nel 1519, prefetto del pane per nomina pontificia - il F. alternò altri incarichi diplomatici come oratore alla S. Sede ed al legato pontificio: a Roma nel giugno 1518, a Roma e Firenze dal gennaio al maggio 1521, di nuovo nel luglio 1522 a Firenze, dove lo raggiunse il figlio Camillo, reduce da una fruttuosa missione a Roma.
La posizione economica e politica del F. era uscita intatta dalle alterne vicende del trapasso di Bologna dalla signoria bentivoliesca al dominio diretto della Chiesa. Se già nel 1502 il F. apparteneva al novero ristretto dei più ricchi cittadini, la conversione dell'ultima ora alla causa pontificia gli aveva portato nuovi onori e privilegi. Manifestazione del grado raggiunto è il palazzo Fantuzzi, voluto ed iniziato dal F.: esso rappresenta uno dei primi esempi dei grandi palazzi senatori che sorsero a Bologna nel sec. XVI ad espressione di un'oligarchia ormai consolidata. Il palazzo sorge sulle case che il F. era andato acquistando dal 1489 nella "cappella" dei Ss. Vitale e Agricola e che nel 1509 gli erano state confiscate per essere concesse al senatore Giulio Pasi. Ristabilito nel suo possesso, il F. ottenne una prima deroga al mantenimento del portico nel 1517, seguita nel 1525 da una licenza analoga, relativa al lato sulla via S. Vitale, che sarebbe diventato la facciata del palazzo. Il progetto iniziale fu attribuito dal Lamo ad Andrea da Formigine, attivo in quegli anni a Bologna; in seguito vi avrebbero lavorato anche Antonio e Bartolomeo Triachini. Il palazzo si caratterizza per la facciata priva di portico, assai disegnata e massiccia, scandita da semicolonne appaiate e decorata ai due estremi dall'emblema della famiglia, l'elefante sormontato dalla torre.
Il F. fece parte ancora delle due ambascerie inviate a Roma per la consacrazione dei pontefici Adriano VI e Clemente VII, ma in entrambi i viaggi fu tormentato dalla cattiva salute: un attacco di febbre terzana, che lo afflisse nel settembre 1522, fece temere il contagio di peste, diffusa in quel periodo a Roma.
Gli anni che seguirono videro il F. impegnato in ambito più strettamente cittadino. Morì a Bologna il 28 ag. 1533.
Dalla moglie, Caterina Malvezzi, aveva avuto tre figlie - Ginevra, sposata in prime nozze a Cesare Bargellini ed in seconde a Lorenzo Ariosti, Elena, sposata a Filippo Pepoli, e Cleofa, moglie di Bonaparte Ghislieri - e due figli, Camillo, che aveva sposato Lodovica di Lorenzo Campeggi, e Carlantonio, che successe al padre nel seggio senatorio.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Comune, Governo, Bolle, brevi, diplomi, b. 3; ibid., Riformagioni e provvigioni - Miscellanea, b. 16; ibid., Partitorum libri, regg. 13-14; ibid., Litterarum l., regg.6-8; Curia del Podestà, Notai forensi 1508, reg. II; Senato, Partiti, regg. 1-2; ibid., Lettere del Senato-Copiarii 1514, 1522; ibid., Lettere del Senato - Minute 1513; ibid., Lettere di principi e prelati 1513-15; ibid., Lettere degli ambasciatori 1512-13, 1513-15, 1522, 1524-25; ibid., Lettere di Roma e di Firenze; Istruzioni agli ambasciatori; Strumenti, A. 9, nn. 10, 37, 41, e A. 13, nn. 37, 50; Corporazioni religiose soppresse, SS. Trinità, 1.3612, 5.3616, 43.3654-44.3655; Copie degli atti notarili, libro 87, cc. 251r.-v.; Archivio Fantuzzi Ceretoli, Memorie di scritture II; Bologna, Bibl. univ., Mss. ital. 1790 (3908); Ibid., Bibl. com. dell'Archiginnasio, ms. B. 639, e ms. B. 1094: Cronaca di Bologna di Friano degli Ubaldini, cc. 543, 665 ss., 727, 779; B. Dovizi da Bibbiena, Epistolario, I, a cura di G. L. Moncallero, Firenze 1955, pp. 296, 337, 361, 367, 416, 427, 472; P. Vizani, Diece libri delle historie della sua patria, Bologna 1602, pp. 438, 446, 493, 505, 515; G. N. Pasquali Alidosi, Li gonfalonieri di Giustizia.... Bologna 1616, pp. 21 s., 24, 26 s.; P. S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili bolognesi, Bologna 1670, pp. 301 s.; G. B. Guidicini, I Riformatoridello Stato di libertà, I, Bologna 1876, pp. 67, 95; M. Sanuto, Diarii, XV, Venezia 1886, col. 22; G. Gozzadini, Di alcuni avvenimenti in Bologna e nell'Emilia dal 1506 al 1511, in Atti e mem. della R. Dep. di storia patria per le prov. di Romagna, s. 3, IV (1886), pp. 117, 154, 163-165; F. Malaguzzi Valeri, L'architettura a Bologna nel Rinascimento, Rocca San Casciano 1899, pp. 173 s.; C. Ghirardacci, Della historia di Bologna, a cura di A. Sorbelli, III, 1, Bologna 1933, pp. 237, 254, 287, 307, 313, 331, 333, 358, 384; A. Sorbelli, I Bentivoglio, Bologna 1969, pp. 114, 130, 163 s.; G. Cuppini-G. Roversi, I palazzi senatori a Bologna, Bologna 1974, pp. 62, 295; B. Farolfi, Strutture agrarie e crisi cittadina nel primo Cinquecento bolognese, Bologna 1977, pp. 15 s., 19, 21, 67.