FASOLO, Francesco
Nacque con tutta probabilità nel 1462, a Venezia oppure a Chioggia, città di cui il padre, Andrea, era cancellier grande; incerti sono invece nome e casato della madre, la quale è forse da identificare in quella Maria Businello, vedova di Andrea Fasolo, che fa testamento a favore dei figli Alvise e Francesco il 29 dic. 1502 (Archivio di Stato di Venezia, Archivio notarile, Testamenti, b. 1228 n. 240).
I Fasolo, divisi in vari rami, erano una famiglia di spicco all'interno del ceto dei cittadini originari. In una sua supplica del 1512 al Consiglio dei dieci il F. ricorderà le benemerenze acquisite da "quel famoso ser Matthio Fasuol suo besavo in la guerra de Chioza, el qual per i meriti soi amplissimi non fu forsi molto lontano da esser assumpto nel consortio de la nobilità vostra". In tempi più vicini Angelo Fasolo, zio del F., aveva compiuto una notevole carriera ecclesiastica sotto i pontificati di Pio II e, soprattutto, di Paolo II (il veneziano Pietro Barbo), che lo volle nella cerchia dei suoi più stretti collaboratori e gli assegnò nel 1465 il vescovado di Feltre. Parallelamente a quella ecclesiastica del fratello si sviluppava la carriera civile di Andrea Fasolo: fu eletto cancellier grande di Chioggia nel 1450; nel 1464 accompagnò, in qualità di cancelliere particolare, il doge Cristoforo Moro ad Ancona.
Mancano notizie sull'infanzia e l'adolescenza del F., come pure sui suoi primi studi. Nel dicembre del 1484 lo troviamo a Padova, testimone ad un dottorato in diritto civile; è l'unico dei presenti che non sia esplicitamente indicato come scolaris, ma è probabile che l'omissione vada imputata ad una dimenticanza del notaio. Presso lo Studio patavino il F. seguì in effetti i corsi di diritto, e vi si laureò il 13 ag. 1491: laurea abbastanza tardiva, come si vede, raggiunta alla soglia dei trent'anni, forse a causa di una iniziale propensione per gli studi letterari. Stando alle parole di G.B. Ramusio, infatti, il F. a Padova apprese non solo la "itiris scientiam", ma anche "ceteras libero homine dignas artes magno ardore". Rientrato a Venezia, scelse l'esercizio dell'avvocatura, che gli permetteva di coniugare ius ed eloquentia secondo un modello di cui è facile scorgere le ascendenze classiche.
Il successo non dovette mancargli: ne è testimone Aldo Manuzio, che lo chiama "re del foro" nell'epistola con cui gli dedicò, nel 1513, la prima parte delle Rhetorum Graecorum orationes. Il F. fu il primo - secondo il Ramusio - ad abbandonare un'oratoria fondata su piccoli sofismi e cavilli ("argutiolas et cavillationes") in favore di un "amplum quoddarn et magnificuni dicendi genus", in cui ad un'indiscussa competenza giuridica e ad un'eccellente memoria si univano dignità ed eleganza nell'eloquio e nel gesto.
L'abilità con cui il F. sapeva maneggiare congiuntamente le armi del diritto e quelle della retorica dovette presto attirare su di lui l'attenzione del patriziato veneziano. Nel 1499, quando venne inviato a Castelbaldo (Padova) insieme con Domenico Baffo "in servitii de la Signoria", il F. era già avvocato fiscale. L'anno successivo difese con successo Giovanni Badoer, da poco rientrato dalla sua ambasceria in Spagna, in una causa intentatagli per motivi non molto chiari (la questione verteva, comunque, su una "vesta d'oro ... venduta a le raxon nuove"). Nel giugno del 1503, considerato che la Signoria necessitava di "liaver qualche sufficiente advocato, ... sì per le cosse hano a recuperar i Savii nostri sopra le aque, come etiam. quelli sopra la francation del monte nuovo", il Consiglio dei dieci decise di assumere il F. con il salario di 100 ducati d'oro l'anno: era, questo, un segno tangibile della stima che egli era riuscito a conquistarsi presso gli uomini che reggevano le supreme magistrature della Repubblica. L'incarico non fu - pare - riconfermato alla scadenza del primo anno. Nel luglio del 1504, tuttavia, a riprova che il suo prestigio professionale era intatto, lo troviamo avvocato dei Trevisan in una causa che li opponeva ai Gradenigo per il giuspatronato sull'abbazia di S. Cipriano: ad uscirne vincitori furono i Trevisan, che all'abilità del F. dovevano far nuovamente ricorso, di lì a pochi anni, in un processo per loro ben altrimenti importante. Dopo il 1504, e fino al 1509, il F. sembra rientrare nell'ombra: i Diarii del Sanuto lo ricordano una sola volta, nel 1506, come avvocato in una causa di non grande rilievo.
Con lo scoppio della guerra della Lega di Cambrai, e soprattutto dopo il disastro di Agnadello, Venezia si trovò nella necessità di mobilitare tutte le sue energie per sopravvivere. Nell'estate del 1509 la partita cruciale si giocava sotto le mura di Padova: occupata dagli Imperiali in giugno, la città fu riconquistata alla metà di luglio dalle truppe marchesche. La situazione militare rimaneva tuttavia preoccupante, e dubbi ed esitazioni percorrevano il corpo stesso del patriziato al governo. Pietro Balbi, eletto podestà di Padova, ritardò di quasi un mese il suo ingresso in città, dicendosi malato; il F., richiesto dal Balbi di accompagnarlo come suo vicario, addirittura rifiutò l'offerta. Un tal gesto non dovette certo far buona impressione; non era, comunque, un caso isolato, se il Sanuto, quasi a mo' di commento, scriveva: "Si stenta aver oficiali per li tempi presenti".
Nel dicembre del 1509, a Polesella, le artiglierie del duca di Ferrara infliggevano una dura sconfitta alla flotta veneziana del Po; il capitano generale da Mar Angelo Trevisan, ritenuto responsabile del disastro, venne arrestato e tradotto a Venezia. Al F. toccò reggere il peso principale della difesa dell'ammiraglio. Il 27 febbr. 1510, in Maggior Consiglio, alla presenza del doge, fu lui a rispondere per primo all'accusa formulata dall'avogador di Comun Alvise Gradenigo. Il processo durò qualche giorno: il 2 marzo il F. pronunciò l'arringa conclusiva, dopo di che Angelo Trevisan fu condannato alla pena, tutto sommato non eccessiva, di tre anni di confino a Portogruaro.
Il F. era ormai maturo per puntare alla massima carica raggiungibile da un cittadino originario. Il 12 dic. 1510 moriva Giovanni Dedo, dal 1482 cancellier grande di Venezia. In molti aspiravano alla successione, ma il netto favorito era l'anziano e coraggioso provveditore di Mirano Alvise Dardani, che ufficialmente non era neppure candidato. "Tuta la terra vol il Dardani" scriveva il Sanuto; e difatti il 22 dicembre il Dardani veniva eletto cancellier grande con 1.363 voti, battendo proprio il F., il quale però, con i suoi 1.139 voti, poteva ben considerare la propria elezione come semplicemente rinviata. Vecchio e ammalato, il Dardani morì infatti di lì a pochi mesi, il 16 marzo 1511, senza nemmeno aver potuto fare il suo ingresso ufficiale in carica; una settimana dopo, il 23 marzo, il F. veniva eletto cancellier grande con 1.259 voti.
Il Sanuto, con una punta di disapprovazione, notò che era risultato vincitore "per la grain praticha fata e per li zoveni et marioli", mentre "tutti li senatori veri et patricii" erano orientati piuttosto verso Gian Giacomo Michieli o Gaspare Dalla Vedova, ambedue segretari del Consiglio dei dieci. In sostanza l'elezione del F., estraneo all'ambiente della Cancelleria come lo era stato il Dardani, può essere considerata un prodotto della sfiducia da cui, in misura maggiore o minore, erano circondati quegli uomini di governo che, per quanto esperti e sperimentati, non avevano saputo evitare Cambrai.
Una volta eletto, il F. dimostrò presto di voler esercitare realmente i poteri connessi con la sua carica. Nella Cancelleria (tra l'altro, priva da mesi di un capo effettivo) si verificavano quotidianamente "errores et disordines"; a questo stato di cose egli cercò di porre rimedio dettando, il 4 maggio, alcuni ordini e regole che riportassero gli uffici "in pristinum optimum regimen". Circa un anno dopo, il 14 luglio 1512, l'ordinamento emanato dal F. venne ratificato e confermato dal Consiglio dei dieci.
La sollecitudine per il buon funzionamento dell'"officio" non escludeva, però, la cura dei propri interessi. Dopo aver ottenuto, il 30 ag. 1511, che gli venisse pagato il salario (350 ducati annui) di cui già aveva goduto il suo predecessore Giovanni Dedo, il F. presentò, quasi esattamente un anno dopo, una lunga supplica al Consiglio dei dieci. In essa egli ricordava dapprima l'antica consuetudine di concedere benefici ai cancellieri e ai primi segretari, e sottolineava poi i molti meriti dei suoi avi; affermava di stare lavorando "a qualche sua particolar opera, za per lui principiata, in la qual continue insudat et laborat, che serà - sperava - de gloria non vulgar et non manco commodità" della Repubblica; dichiarava infine di trovarsi sulle spalle la famiglia del suo unico fratello, defunto mentre era al servizio di Andrea Erizzo quando quest'ultimo era andato podestà a Rovigo (1503); chiedeva quindi che gli fossero concesse tre cancellerie per sei reggimenti ognuna. I Dieci accolsero la richiesta, e il Sanuto, registrando la concessione nei suoi Diarii, non poté nascondere il suo stupore per l'entità del beneficio.
Negli anni successivi il F., pur restando entro i limiti della sua carica, ebbe modo di far sentire la sua voce in varie occasioni. Nel gennaio del 1513 (e, di nuovo, nel giugno del 1515) pronunciò in Maggior Consiglio un discorso in cui invitava tutti i debitori a saldare al più presto quanto dovuto per contribuire alle spese militari della Repubblica; nel maggio del 1514 si fece promotore di una regolamentazione dell'esercizio del notariato a Venezia; nel gennaio del 1515 una "longa parte ditada per lui", che concedeva la liberazione dal bando ad ogni bandito che ne uccidesse un altro, fu approvata dal Maggior Consiglio con 1616 voti contro 67; nel gennaio dell'anno seguente, infine, toccò a lui redigere la "parte" che affidava ad Andrea Navagero l'incarico di custode della Libreria Nicena e di storico ufficiale della Serenissima.
All'inizio di gennaio del 1517 le condizioni di salute del F. peggiorarono rapidamente: il 18 mattina era tanto grave che non riusciva più a parlare, e nemmeno poté comunicarsi; spirò la sera stessa, mentre già fervevano le "pratiche" per succedergli.
Il testamento del F. non ci è stato conservato; ma, dal momento che non si era sposato e non aveva figli, è logico supporre che abbia lasciato i suoi beni ai nipoti (due femmine e tre maschi), figli del fratello premortogli. Fu questa la sua unica famiglia, e gli procurò anche qualche grattacapo: uno dei nipoti rubò due codici del Bessarione dalla Biblioteca Marciana e li rivendette, dopo averne asportato il foglio di guardia con la nota di possesso del cardinale; i due codici giunsero però nelle mani di Marco Musuro, che ne comprese subito la provenienza e permise così di scoprire il furto, guadagnandosi l'inimicizia del F. (il fatto è narrato in una lettera dello stesso Musuro ad Andrea Navagero dell'8 maggio 1517; cfr. Cicogna). Secondo alcune fonti, infine, il F. avrebbe lasciato, morendo, numerosi scritti giuridici, che non sembrano più reperibili: uno di essi potrebbe essere l'opera da lui stesso ricordata nella supplica al Consiglio dei dieci del 1512.
Fonti e Bibl.: Padova, Archivio della Curia vescovile, Diversorum, 42, f. 67r; 44, f. 180r; Archivio di Stato di Venezia, Collegio - Notatorio, reg. 15, f. 10v; Ibid., Consiglio dei dieci - Misti, reg. 29, ff. 238v-239r; reg. 34, f. 126r; reg. 35, ff. 113r-117v, 133r-134r; Ibid., Senato. Terra, reg. 18, ff. 132v-134r; Ibid., Miscell. codici, I, Storia veneta, II: T. Toderini, Genealogie delle famiglie venete ascritte alla cittadinanza originaria, II, sub voce Fasol e Fasuol; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. Cicogna 1071: Pregi e fregi de' veneti Gran Cancellieri, pp. 91-95; Ibid., Mss. P. D. 4c: G. Tassini, Cittadini veneziani, II, pp. 186-188; Ibid., 27c: La veneta nobiltà..., p. 208; Venezia, Bibl. naz. Marciana, Mss. It., cl. VII, 26 (= 8357): Cancellieri di Venetia, f. 18r; Ibid., cl. VII, 166 (= 7307): P. Gradenigo, Memorie concernenti le vite de' veneti Cancellieri Grandi, ff. 48v-50v. L'orazione funebre di G. B. Ramusio si legge in Orationes clarorum hominum, vel honoris officiique causa ad principes vel in funere de virtutibus eorum habitae, Venetiis 1559, ff. 138r-140r. Fondamentale, per la quantità di notizie che offre, è M. Sanuto, Diarii, III, V-VI, IX-XV, XVII-XXIV, Venezia 1880-1889, ad indices. Si vedano anche I Libri commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, a cura di R. Predelli, VI, Venezia, 1903, pp. 108-111, 118.
Per alcuni punti o questioni particolari cfr.: E. A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 132, 324; IV, ibid. 1834, p. 17; V, ibid. 1842, p. 594; VI, ibid. 1853, pp. 229, 306 ss. (dove si legge la lettera di M. Musuro ad A. Navagero); A. A. Renouard, Annales de l'imprimerie des Alde, Paris 1834, pp. 60 s.; A. Firmin-Didot, Alde Manuce et l'hellénisme à Venise, Paris 1875, pp. 334 ss.; F. Foffano, Marco Musuro professore di greco a Padova ed a Venezia, in Nuovo Archivio veneto, III (1892), p. 467; C. Castellani, Il prestito dei codici manoscritti della Biblioteca di S. Marco in Venezia ne' suoi primi tempi e le conseguenti perdite de' codici stessi. Ricerche e notizie, in Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, s. 7, VIII (1896-97), pp. 367-370; C. Bullo, Di tre illustri prelati clodiensi segretari di pontefici, in Nuovo Archivio veneto, XX (1900), pp. 258-262 (da usare con molta cautela); Id., Il cancellier grande di Chioggia, ibid., n.s., VIII (1904), pp. 10, 269; IX (1905), p. 20; D. J. Geanakoplos, Greek scholars in Venice, Cambridge, Mass., 1962, p. 143; L. Labowsky, Il cardinale Bessarione e gli inizi della Biblioteca Marciana, in Venezia e l'Oriente fra tardo Medioevo e Rinascimento, a cura di A. Pertusi, Firenze 1966, p. 177; Aldo Manuzio editore. Dediche, prefazioni, note ai testi, Milano 1975, pp. 114 ss., 281 ss.; F. Gilbert, The last will of a Venetian Grand Chancellor, in Philosophy and Humanism. Renaissance essays in honor of P. O. Kristeller, a cura di E. P. Mahoney, Leiden 1976, pp. 503 n. 2, 506; F. Gaeta, Storiografia, coscienza nazionale e politica culturale nella Venezia del Rinascimento, in Storia della cultura veneta. Dal primo Quattrocento al concilio di Trento, I, Vicenza 1980, p. 81 n. 236; G. Trebbi, La Cancelleria veneta nei secc. XVI e XVII, in Annali della Fondazi one Luigi Einaudi, XIV (1980), pp. 87 n. 62, 105 n. 121; P. De Peppo, Memorie di veneti cittadini: Alvise Dardani, cancellier grande, in Studi veneziani, n.s., VIII (1984), pp. 436 s.