FEDERICI, Francesco
Nacque a Pietrastornina (ora in prov. di Avellino) nel 1739 dal marchese Emanuele e da Gelsomina Minucci.
Di antica origine genovese, la famiglia Federici aveva ottenuto feudi e benefici in Italia meridionale durante la dominazione angioina. Il feudo di Pietrastornina in Principato Ulteriore e il palazzo avito di Cetara (Salerno) furono i luoghi dove il F. visse gran parte della sua infanzia: la giovinezza la trascorse quasi interamente a Napoli.
Avviato alla carriera militare, il 1º marzo 1755 il F. entrò a far parte del nuovo reggimento di cavalleria "Napoli", comandato da A. Filangieri, principe di Cutò. Successivamente gli fu assegnato il comando di uno squadrone di cavalleria a Gaeta. Nel 1760, mentre si trovava in Sicilia, gli fu ordinato di partire per Berlino quale componente di una delegazione di ufficiali delle diverse armi guidata da G. Palmieri.
Il modello militare prussiano e le nuove strategie sperimentate nella guerra dei Sette anni suscitavano molto interesse alla corte del giovane sovrano Ferdinando IV, e il desiderio di riorganizzare l'esercito per renderlo potente ed efficiente. Il F. a Berlino imparò, in particolare, ad apprezzare la disciplina e l'organizzazione della cavalleria prussiana. Allievo ed amico del Palmieri, fu intelligente lettore delle sue Riflessioni critiche sull'arte della guerra (1761).
Ritornato a Napoli nel '61, il F. passò a svolgere il proprio servizio presso il reggimento "Borbone", comandato dal colonnello F. della Posta. In questo periodo si legò profondamente al capitano conte O. Baiardi. Studioso di storia, filosofia, geografia, conoscitore di varie lingue straniere, tra cui il francese e il tedesco, egli si distinse nella società aristocratica napoletana per la sua notevole cultura. Ma la sua carriera militare non fu rapidissima: solo il 1ºgiugno 1776 ottenne il grado di aiutante maggiore e due anni dopo quello di capitano (10 luglio 1778). Secondo M. d'Ayala, le ragioni di queste lente promozioni risiedevano nel fatto che "inerte era allora il corso delle militari faccende, malagevole e raro poi di sollevarsi a più sublime dignità" (p. 572).
Nel pieno delle sue attività, alla fine degli anni Settanta, il F. si ammalò ai reni e fu costretto a recarsi a Montpellier per curarsi. Rientrato nel Regno nel 1782, continuò a svolgere il proprio servizio nel reggimento "Borbone" fino al 28 nov. 1788, quando, promosso luogotenente colonnello, fu inviato a comandare il reggimento "Sicilia". Nuovi problemi di salute lo spinsero a richiedere una ulteriore autorizzazione a recarsi a Montpellier il 3 apr. 1790. Parzialmente ristabilito, dopo un periodo di permanenza a Ginevra, rientrò in servizio a Lucera, uno dei centri più vivi della cospirazione antiborbonica. Nel 1794 gli veniva affidato il comando del prestigioso reggimento "Principe". Il soggiorno in Francia proprio nei momenti cruciali della Rivoluzione dovette certamente condizionare le sue idee politiche ed incrinare la sua fedeltà all'assolutismo monarchico. D'altronde, nei primissimi anni Novanta le idee rivoluzionarie d'Oltralpe erano penetrate nelle coscienze di non pochi intellettuali e militari napoletani, passati attraverso la rigogliosa stagione del riformismo borbonico.
Nel 1794, mentre erano in corso i processi contro i primi rei di Stato, Ferdinando IV, incalzato dalla regina Maria Carolina e dal ministro degli esteri J. F. E. Acton, ordinava ai suoi generali di allestire una spedizione militare in Lombardia. Il 23 e il 24 giugno 1794 s'imbarcarono per Livorno i reggimenti di cavalleria "Re", "Regina" e "Principe", quest'ultimo comandato dal F., agli ordini supremi del maresciallo di campo principe di Cutò. "Di là gli squadroni napoletani, dopo qualche giorno di riposo, si ponevano in marcia verso Pavia e nella seconda metà di settembre erano accampati intorno a Lodi in attesa degli avvenimenti" (A. Simioni, Le origini del Risorgimento politico dell'Italia meridionale, II, Messina-Roma 1925, p. 107). Lì ai tre reggimenti si unì il "Napoli" che aveva avuto dal pontefice l'autorizzazione ad attraversare lo Stato della Chiesa. In questo periodo il F. intrattenne relazioni con gli alti comandi austriaci e tentò d'inculcare nei suoi ufficiali il convincimento, derivatogli dalla lettura del Palmieri, che la cavalleria dovesse essere essenzialmente arma di movimento.
Nel 1796 partecipò - il 7, il 10 e il 30 maggio - alle battaglie di Fombio, Lodi e Valeggio. Nella sanguinosa giornata di Lodi il suo reggimento coprì la ritirata austriaca. Ritiratosi nel quartiere d'inverno a Rezzato nelle vicinanze di Brescia, ebbe modo di conoscere personalmente Napoleone Bonaparte, reduce dall'aver firmato un armistizio il s giugno con l'inviato del re di Napoli G. Pignatelli duca di Belmonte: la momentanea sospensione delle ostilità tra Francia e Napoli permise al F. di frequentare assiduamente vari ufficiali transalpini.
La definitiva stipula degli accordi di Parigi del 10 ott. 1796 permise il rientro nel Regno dei reggimenti di cavalleria inviati in Lombardia due anni prima. Il F., reduce valoroso da molti campi di battaglia, fu invitato a recarsi immediatamente in Puglia, dove Ferdinando IV, in occasione delle nozze del principe ereditario con l'arciduchessa austriaca Maria Clementina, voleva mostrare ai diplomatici stranieri il meglio dei suoi soldati.
La nascita delle Repubbliche italiane e l'avvicinarsi delle truppe francesi allo Stato della Chiesa misero in agitazione la corte borbonica. All'inizio del 1798 l'esercito fu mobilitato e il F., ormai brigadiere generale e comandante di tre reggimenti di cavalleria, "Borbone", "Principessa" e "Principe Alberto", fu inviato ai confini dello Stato pontificio. Le crescenti preoccupazioni internazionali e la spedizione francese in Egitto spinsero il sovrano napoletano ad aderire a una nuova coalizione contro la Francia. Il 23 nov. 1798 l'esercito napoletano comandato dal generale austriaco D. C. von Mack penetrò nel territorio della Repubblica Romana per dare battaglia ai Francesi del generale J. E. Championnet; dopo una breve occupazione di Roma, gravi errori strategici provocarono la rotta delle truppe borboniche. La fuga della corte in Sicilia e l'arrivo dei Francesi a Napoli portarono alla nascita di uno Stato repubblicano a cui aderirono molti intellettuali e i migliori generali dell'antico reame. Il F. fu tra i primissimi esponenti dei mondo militare a mettere a servizio della Repubblica napoletana la sua esperienza e il suo fascino di uomo valoroso e colto.
Il 19 dic. 1798 (a dimostrazione di una sensibilità per le questioni sociali e politiche non improvvisata) si diffuse a Napoli la notizia che il F. - lo annota il diarista D. Marinelli - aveva "parlato forte con il Re, facendoli vedere l'ingiustizia, dell'ann-ninistrazione di questa giustizia, l'aggravio delle Province, e la mala condotta nella guerra" (I Giornali di D. Marinelli, p. 16). Sul Monitore napoletano (n. 9, 2 marzo 1799) veniva annunciato con entusiasmo ed orgoglio: "Abbiam già formato la giandarmeria, tutta di briosa, e costumata gioventù, e si stanno con prontezza ordinando due legioni di fanteria, e due di Cavalleria da' Generali di divisione Gius. Wirtz e Fr. Federici" (Il Monitore napoletano, 1799, a cura di M. Battaglini, p. 195).
Il F., insieme con il Wirtz e gli altri generali 0. Massa, F. Pignatelli e V. Palumbo, fu membro della Commissione per l'organizzazione della truppa repubblicana, cui dovevano rivolgersi tutti coloro che intendevano arruolarsi nell'armata repubblicana. Le sempre più ampie divergenze con i Francesi e la partenza di Championnet indebolirono rapidamente l'organizzazione militare della Repubblica. Incalzati nelle province dalla reazione sanfedista e dalla continua avanzata delle orde antigiacobine guidate dal cardinale F. Ruffò, i militari repubblicani persero il controllo della situazione. L'isolamento diplomatico e la mancanza di appoggi significativi da parte della Francia contribuirono a creare confusione e disfunzioni notevoli. Il ministro della Guerra G. Manthoné ostacolò non poco l'azione del Federici. Nel maggio del '99, quando la situazione era ormai difficile per i repubblicani, si decise di far partire il F. alla-riconquista della Puglia. I contrasti con il Manthoné ritardarono la sua partenza fino al 20 maggio: il Monitore napoletano giustificò i motivi di questo ritardo con un "incomodo di salute sopraggiunto" (n. 27, 11 maggio 1799). La partenza, comunque annunciata fin dal 9 di quel mese, fu rinviata nonostante l'urgenza che presentava. V. Cuoco, riferendosi al ritiro di E. Carafa e della sua legione dalla Puglia inviata inopportunamente a Pescara, sostenne che solo la riuscita della spedizione dei F. e quella di A. Belpusi in Molise potevano arginare le conseguenze di quell'errore.
Quando il F. finalmente partì, era troppo tardi. C. De Nicola nel suo diario sotto la data di domenica 26 maggio tra l'altro annota: "Federici e Matera sono stati battuti a Benevento" (Diario napoletano 1798-1825, I, Napoli 1906, p. 152). Tanto il re quanto la regina, il 2 giugno, scrissero entrambi al Ruffò di questa sconfitta del F. "verso Avellino". In realtà la spedizione del F. aveva scarsissime possibilità di riuscita in quanto i soldati al suo comando erano solo 1.000.
Ritornato a Napoli, dopo aver fatto un disperato tentativo di riorganizzazione delle truppe a Nola, si rinchiuse in Castelnuovo per l'estrema difesa. Dopo il tradimento degli accordi sottoscritti per la capitolazione del castello con Ruffo, il F . fu imprigionato. Il suo destino era segnato da molto tempo: infatti, la regina, in una lettera del 17 maggio all'alto prelato, aveva sostenuto la necessità di condannare a morte il F. ed altri importanti personaggi, che prima avevano servito il re ed ora "si trovano con le armi alla mano combattendo contro di lui" (La riconquista del Regno di Napoli..., p. 187).
Il Cuoco, ricordando "taluni patrioti" giustiziati per i fatti del '99, tracciò questo profilo del F.: "Era maresciallo in tempo del re; fu generale in tempo della repubblica. Il ministro di guerra lo rese inutile, mentre avrebbe potuto esser utilissimo. La stessa ragione lo avea reso inutile in tempo del re. Egli sapeva profondamente l'arte della guerra; ma insieme coll'arte della guerra egli sapeva mille altre cose, che per lo più ignorano coloro che sanno l'arte della guerra. Il suo coraggio nel punto della morte fu sorprendente" (Saggio storico, p. 209).
Il 23 ott. 1799 il F. fu condannato da un Consiglio di guerra alla pena della decapitazione. La sentenza fu eseguita lo stesso giorno in Castelnuovo, unico alto ufficiale ad essere ucciso con "pompa" ossia "assistito dai suoi servitori, camerieri, col palco parato". Tutti i suoi beni furono confiscati.
Fonti e Bibl.: Documenti riguardanti la carriera militare del F. si conservano presso l'Archivio di Stato di Napoli, Archivio Borbone e Ministero della Guerra. Lettere e ricordi della sua partecipazione alla Repubblica napoletana si trovano a Napoli presso la Società napoletana di storia patria. Sulla confisca dei suoi capitali e beni nel Casale di Cetara v. Nota dei beni confiscati ai rei di Stato, Napoli 1800, p. 71. Una prima biografia del F. in M. d'Ayala, Le vite de' più celebri capitani e soldati napoletani dalla giornata di Bitonto fino a' di nostri, Napoli 1843, pp. 569-579 (completamente rifatta, questa biografia apparve nel volume postumo dello stesso, Vite degl'italiani benemeriti della libertà e della patria uccisi dal carnefice, Torino-Roma-Firenze 1883, pp. 271-275). Notizie e giudizi sull'operato militare del F. sono in G. Marulli, Ragguagli storici sul Regno delle Due Sicilie dall'epoca della francese rivolta fino al 1815, I, Napoli 1845, pp. 54, 391, 394 nonché in: A. De Angelis, La cavalleria napoletana nell'Alta Italia dal 1794 al 1796, in Antologia militare, V (1840), 10, passim; A. Ulloa, Fatti di guerra de' soldati napoletani. Lettura pe' giovani militari, Napoli 1852, pp. 32 ss. Sul ruolo avuto dal F. nei fatti del '99 cfr. A. Vannucci, I martiri della libertà dal 1794 al 1848, Firenze 1860, pp. 72-76; G. Fortunato, I Napoletani del 1799, Firenze 1884, pp. 35 s.; D. Marinelli, I giornali: due codici della Bibl. naz. di Napoli, a cura di A. Fiordelisi, I, (1794-1800), Napoli 1901, pp. 16, 20, 57, 61, 104; C. De Nicola, Diario napoletano 1798-1825, I, Napoli 1906, pp. 75, 152, 355, 365, 389; La riconquista del Regno di Napoli. Lettere del cardinale Ruffo, del re, della regina e del ministro Acton, a cura e con prefazione di B. Croce, Bari 1943, pp. 187, 211, 213; E. de Fonseca Pimentel, Il Monitore repubblicano del 1799. Articoli politici seguiti da scritti vari in verso e in prosa della stessa autrice, a cura di B. Croce, Bari 1943, pp. 56, 123, 131 s., 145; Il Monitore napoletano 1799, a cura di M. Battaglini, Napoli 1974, passim. Sia il Cuoco sia F. Lomonaco ricordano il F. nella narrazione degli avvenimenti del '99: V. Cuoco, Saggio storico della Rivoluzione napoletana del 1799 seguito dal rapporto del cittadino Carnot di Francesco Lomonaco, a cura di F. Nicolini, Bari 1929, pp. 180, 209, 302, 332, 372. Il Lomonaco attribuiva giustamente al F. il titolo di marchese di Pietrastornina ma, errando, sosteneva che fosse nato a Napoli nel 1735 (ibid., p. 372). Notizie sul F. vedi anche in A. Genoino, Studi e ricerche sul 1799, Napoli 1934, passim.
Schede biografiche del F. sono in: Enc. milit., III, p. 677; E. Michel, in Diz. del Risorgimento nazionale, III, Milano 1955, p. 52; F. Ercole, I martiri, p. 153. Un disegno del F. tratto da un acquerello fu pubblicato ne La Rivoluzione napoletana del 1799 illustrata con ritratti, vedute, autografi ed altri documenti figurativi e grafici del tempo. Albo pubblicato nella ricorrenza del 1º centenario della Repubblica napoletana, a cura di B. Croce-G. Ceci-M. d'Ayala-S. Di Giacomo, Napoli 1899, tav. XXXIV, n. 81 e p. 30. Sulla sua attività militare, vedi anche P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, a cura di N. Cortese, I, Napoli 1951, p. 302; II, ibid. 1956, pp. 70, 80, 123, 132. Sulla sua esecuzione un riferimento anche in M. d'Ayala, Napoli nel terrore (1799-1800), in Nuova Antologia, 16 ott. 1901, p. 670. Sui rapporti con G. Manthoné cfr. F. Di Giovanni, G. Manthoné e la Repubblica Partenopea, Chieti 1899, passim.