ASBURGO, Francesco Ferdinando d'
Arciduca ereditario d'Austria. Nacque a Graz il 18 dicembre 1863, primogenito dell'arciduca Carlo Ludovico, fratello dell'imperatore Francesco Giuseppe I, e di Maria Annunziata, figlia di Ferdinando II dei Borboni di Napoli. Rimasto, decenne, orfano di madre, fu allevato dalla matrigna, Maria Teresa di Braganza, in un ambiente di fredda compassatezza militare, che influì per tutta la vita sul suo carattere, pur non avverso talvolta a improvvisi slanci e abbandoni. Fu imbevuto d'idee schiettamente austriache, nel senso tradizionale, dinastico e cattolico, della parola; l'istruzione, formalistica e deficiente, soprattutto nelle dottrine storico-politiche, fu diretta specialmente a formare il tipo normale dell'arciduca austriaco, militare innanzi tutto, estraneo alla politica. E tale sarebbe, presumibilmente, rimasto, se la morte tragica dell'arciduca ereditario Rodolfo (1889) non avesse volta la sua vita ad altri destini: per questa morte il padre, Carlo Ludovico, diventava l'erede della corona, ma, nel caso di sua morte o, più probabile, di sua rinunzia, Francesco Ferdinando, già dal 1875 erede del titolo d'Este per la morte di Francesco V di Modena, ne avrebbe raccolta la grave eredità. Non era tutta attenzione benevola quella. che allora si rivolse su di lui: lo si sapeva impreparato all'alto onere; e ora gli si mettevano accanto, per riparare frettolosamente alla manchevole educazione, eminenti personalità della scienza e della politica, e si credeva d'iniziarlo alla conoscenza del mondo, facendogliene fare il giro a bordo di un incrociatore. Frutto del viaggio un incolore Diano in due volumi. Lo si sapeva anche malaticcio e già si pensava, dopo la morte del padre (19 maggio 1896), che la corona non si sarebbe posata sul suo capo, ma su quello del suo esuberante fratello, arciduca Ottone (v.). In quest'ambiente di scarsa fiducia e di freddezza, s'inasprì ancor più il suo carattere tetro, sospettoso, volto alla misantropia; e credé di trovare uno sfogo e un conforto nell'intimità affettuosa con una donna. Così nacque l'idillio con la contessa Sofia Chotek, di nobile ma decaduta famiglia boema, che aveva conosciuta, damigella d'onore, nella casa dell'arciduca Federico. Il matrimonio incn) ntrò la più viva resistenza nell'imperatore e l'aperta disapprovazione della corte; ma l'arciduca, di carattere più che fermo, caparbio, non si lasciò smuovere; il 10 luglio 1900 fu celebrato il matrimonio. dopo che l'arciduca ebbe fatto solenne rinunzia al trono per i figli nascituri; la moglie fu elevata al grado di principessa (poi duchessa) di Hohenberg.
Le circostanze romantico-sentimentali, che avevano preceduto il matrimonio, richiamarono l'attenzione e la curiosità di un più largo pubblico sull'arciduca e sulla sua vita, vita di famiglia, alla quale era attaccatissimo, rallegrata dalla nascita di tre figli, Sofia (190I), Massimiliano (1902) ed Ernesto (1904), e trascorsa a Vienna nel palazzo del Belvedere o, più spesso, nel prediletto castello di Konopischt in Boemia, fra le sue due passioni, la caccia e le collezioni, in massa e non sempre molto selezionate, di oggetti d'arte.
Non mancò, intanto, di assumere atteggiamenti decisi, con una certa pesantezza e durezza di stile, in questioni che appassionavano l'opinione pubblica: così avversò apertamente il movimento ultranazionalistico, pangermianistico e protestante, che prese il nome dal motto Los von Rom, perché vi vedeva un pericolo per la monarchia e per la religione cattolica, termini indissolubili; irritò l'alta aristocrazia magiara nell'occasione di uno dei suoi molti viaggi di rappresentanza, questa volta a Pietroburgo. Il centro della sua attività era la sua cancelleria militare, insediata al Belvedere; ivi si occupò non solo di problemi militari, nei quali il vecchio imperatore, nominandolo ispettore generale delle forze armate e ammiraglio, gli lasciava una certa libertà di consiglio, se non di aperta critica o di azione, specialmente nei problemi della marina da guerra; ma, umiliato allo spettacolo della decadenza austriaca sotto quel governo di vecchi, tenne ad intervenire e a far sentire la sua forte opinione anche in questioni di politica interna ed estera. A Schönbrunn l'imperatore adottava una tattica dilatoria in tutti i problemi più scottanti, in quello delle nazionalità specialmente; al Belvedere, dove l'opinione pubblica vedeva insediato quasi un secondo governo, l'arciduca non ammetteva questa tattica suicida e non mancava di far pesare la sua opinione in tutte le questioni. Questo dissidio si manifestò apertamente nel 1911, quando il protetto dell'arciduca, il capo dello Stato maggiore, Conrad von Hötzendorf, assertore di una politica energica specialmente verso l'Italia, dovette cedere dimettendosi - ma solo per un anno - davanti al ministro degli esteri von Aehrenthal, portavoce della politica conciliativa dell'imperatore. All'arciduca si attribuiva un completo piano di ringiovanimento della monarchia: in realtà un piano preciso non esisteva, e lo stesso programma, steso per suo incarico dal capo della sua cancelleria militare e venuto alla luce dopo la guerra, più che un programma, è un promemoria sulla linea di condotta provvisoria da seguire immediatamente dopo la morte di Francesco Giuseppe. In queste sue idee di riforme l'arciduca, pieno il cuore d'orgoglio per il passato dell'Austria e convinto profondamente che la sua missione non era finita, fu sempre guidato da un ideale austriaco, non tedesco: avrebbe voluto far dell'impero un forte stato, in cui fossero composti i più aspri antagonismi nazionali. Ma sulla via da battere mostrò incertezze e pentimenti, tranne che verso l'Ungheria; nel compromesso del 1867, che aveva creato la base dualistica della monarchia, nell'aristocrazia feudale e nell'alta borghesia ungherese, nella loro politica d'oppressione delle altre nazionalità, vedeva ostacoli ad ogni ringiovanimento della monarchia. Perciò egli, antidemocratico, era fautore del suffragio universale in Ungheria, e così pensava di abbattere il gruppo dominante, e avrebbe visto volentieri il potere legislativo trasferito alle delegazioni. Ma prima, preso dalle idee del romeno d'Ungheria Aurelio Popovici, esposte nel libro Die Vereinigten Staaten von Grossösterreich (Lipsia 1906), aveva pensato agli Stati Uniti d'Austria, in cui le varie nazioni potessero convivere con completa autonomia; poi, convinto delle difficoltà insormontabili di una simile soluzione, era passato a un piano più modesto e pur sempre audace, al trialismo, che avrebbe concesso alla più numerosa nazione, dopo la tedesca e l'ungherese, agli slavi del sud, una posizione uguale a quella che aveva l'Ungheria nella monarchia.
Delle questioni di politica estera vide soprattutto l'aspetto militare; ma non fu per questo un guerrafondaio; escludeva anzi una guerra contro la Russia, né condivideva sempre e del tutto le idee dei circoli militari favorevoli alla guerra preventiva contro la Serbia e contro l'Italia. Il suo ideale era il ritorno, oramai irrealizzabile, all'alleanza dei tre imperatori; un viaggio alla corte inglese (novembre 1913) mirava pure a migliorare i rapporti con l'Inghilterra: ma i suoi personali rapporti con Guglielmo II furono improntati a freddezza anche nell'ultimo convegno di Konopischt (giugno 1914); tuttavia non avrebbe visto di mal occhio, secondando le avances della matrigna Maria Teresa presso Guglielmo II, che il suo primogenito, se non poteva essere imperatore d'Austria, divenisse almeno duca dell'Alsazia-Lorena.
Già come arciduca ereditario, F. Ferdinando era dunque una non geniale, ma forte personalità, che aveva attirato su di sé grandi speranze e odî inestinguibili. Agli uni e alle altre posero fine i colpi di rivoltella sparati dallo studente bosniaco Princip, affiliato a società ultra-nazionalistiche serbe, a Seraievo, il 28 giugno 1914. I serbi fanatici avevano voluto vedere una provocazione nella visita della coppia arciducale a Seraievo, il giorno di S. Vito, grave di memorie per il popolo serbo, e nell'arciduca avevano voluto colpire il futuro imperatore d'Austria, reo di voler assorbire nella monarchia, con gli allettamenti trialistici, gli slavi del sud, e di sottrarli con ciò alle ambizioni serbe. Fu suo destino quello di essere più noto per quello che avrebbe voluto fare, che per quello che poté fare; questo destino ironico lo seguì anche oltre la tomba. La sua morte non fu pianta nemmeno dall'imperatore, anzi accolta, specie in Ungheria, con un senso di sollievo; eppure servì ad inasprire irreparabilmente quella situazione che portò alla guerra.
Bibl.: L'opera più recente e più completa è di T. Sosnosky, Franz Ferdinand, der Erzherzog-Thronfolger. Ein Lebensbild, Monaco 1928, pregevole perché basata anche su materiale inedito (il carteggio fra F. F. e l'arciduchessa Maria Teresa); contiene anche il cosiddetto Regierungsprogramm, pubblicato per la prima volta dal quotidiano Neues Wiener Journal del 30 dicembre 1923. Buona biografia è anche quella di E. Glaise-Horstenau, in Neue Österreichische Biographie, III, Vienna 1926. Notizie importanti si trovano anche in Conrad von Hötzendorf, Aus meiner Deinstzeit, I-IV, Vienna 1921-24, e in W. Schüssler, Österreich und das deutsche Schicksal, Vienna 1925.