FERONI, Francesco
Nacque a Empoli il 16 giugno 1614 da Baldo di Paolo e da Caterina di Matteo Forestani.
La famiglia era proprietaria di diversi appezzamenti di terreno e di alcuni immobili situati nel castello e comune di Vinci, a Lamporecchio e ad Empoli, compresa qui una casa "con bottega a uso di tinta" in cui, dopo l'acquisto fattone nel 1576 da Paolo di Ferone, nonno del F., la famiglia - e lo stesso F. - esercitarono l'attività di tintori.
Poco si sa sul primo trentennio di vita del F. se non che, abbandonato il mestiere di tintore, si trasferì prima a Livorno, dove lavorò nella casa di commercio del senatore fiorentino Lorenzo Buonaccorsi, e successivamente, verso il 1640, forse inviato dallo stesso Buonaccorsi, ad Amsterdam. Qui, utilizzando l'esperienza acquisita nel campo dei manufatti e del commercio delle spezie, si dedicò probabilmente all'incetta di varie mercanzie da spedire sulla piazza di Livorno con le navi olandesi che vi facevano scalo dirette a Smirne, dopo avere toccato i porti principali della Spagna; nel 1645 in particolare acquistò a buon mercato ben 3.000 lastri di grano (pari a 61.500 quintali), provenienti dai porti del Baltico, e li inviò con sedici navi a Livorno. Fu probabilmente in questa veste che egli mantenne con la casa livomese dei Buonaccorsi quei rapporti che caratterizzeranno la sua attività anche più tardi, quando aumenteranno il volume e l'importanza dei suoi affari.
Gli esordi furono comunque particolarmente difficili, segnati, secondo la testimonianza del F. stesso, da "sudori, stenti, fatiche e disagi" ("Ricordi...", in Arch. priv. Feroni). E non poteva essere altrimenti per un giovane staniero che, quasi sprovvisto di mezzi di fortuna propri e certamente impacciato anche dalla scarsa padronanza della lingua, cercava, "senza appoggi e dependenze di nessuno" (Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 4260, cc. 328-385v), un suo spazio nel grandioso giro di transazioni e di affari che si svolgeva nella città.
Qui il commercio si alimentava con i generi provenienti dal Levante ed era reso possibile, ma nello stesso tempo diretto e regolato, dalla Compagnia olandese delle Indie orientali che, con una solida organizzazione centrale e periferica, controllava le fonti di approvvigionamento ed il mercato, attuando un regime di ferreo monopolio. Simbolo dello strapotere della Compagnia, ed insieme del peso politico che i suoi direttori e i suoi maggiori azionisti avevano nell'ambito del governo, era il fatto che la flotta da guerra venisse regolarmente utilizzata per proteggere l'ultimo tratto del viaggio delle navi della Compagnia e per consentime l'ingresso nel porto di Tessel.
Mentre la Compagnia delle Indie orientali estendeva la propria sfera d'influenza all'Indonesia e al Giappone, le difficoltà in cui si dibatteva dopo il 1644 quella delle Indie occidentali, che aveva perso progressivamente in Brasile e sulla costa africana gran parte dei possedimenti precedentemente strappati ai Portoghesi, fecero si che si aprisse in quel settore un certo spazio all'intraprendenza dei singoli. Inoltre, in questi stessi anni, il felice esito della rivoluzione portoghese privò la Spagna, che non disponeva di alcun accesso alle coste occidentali dell'Africa, della possibilità di rifornirsi in proprio della manodopera servile necessaria ai suoi domini d'Oltreoceano. In questa situazione il divieto di commerciare con i Portoghesi, considerati ribelli, e contemporaneamente il rifiuto, da parte del governo spagnolo, di concedere agli Olandesi e agli Inglesi incarichi ufficiali per la fornitura degli schiavi spinsero i coloni spagnoli a ricorrere ad un regime generalizzato e diffuso di contrabbando di cui gli Olandesi si rivelarono ben presto i più efficienti organizzatori e beneficiari.
Di questo complesso di circostanze favorevoli approfittò, con perfetto tempismo, anche il Feroni. Acquistò con i primi guadagni una nave - probabilmente la "Speranza" - e, dopo averla caricata con "lenzuola vecchie bianche, saie pavonazze di Delf, tele di cotone dipinte ... nicchi dell'Indie Orientali, che in alcuni luoghi servono per moneta, quantità di margheritine di Venezia di diversi colori ... quantità d'acqua vite, vino di Spagna e birra gagliarda", la spedì verso quella costa di Guinea dove le imbarcazioni che battevano bandiera danese o francese potevano commerciare anche senza l'autorizzazione della Compagnia. Qui, dopo avere scambiato le proprie mercanzie con "cuoi di buoi, denti d'elefante, grana, oro ... mori schiavi in gran numero", la nave riprese il mare diretta verso le colonie spagnole del Nuovo Mondo, dalle quali, dopo avere depositato il suo carico umano, ripartì recando zucchero, "barre d'argento, pezze da otto, oro, perle e smeraldi ... cacao, indaco, quattimalo, cucciniglia, tabacco, legno di campeggio" (Arch. di Stato di Firenze, Carte Strozziane, I, 106, cc. 165-178).
Nell'agosto del 1652 il F. ricevette dalla Segreteria del granduca di Toscana il suo primo incarico ufficiale: illustrare agli Stati generali delle Province Unite la posizione del governo toscano in merito alla neutralità del porto di Livorno. Certamente in quella data egli doveva già godere d'una certa reputazione ed agiatezza. Nel frattempo si era sposato con Prudenza Tensini, figlia di mercanti bergamaschi residenti ad Anversa, ed era appena diventato padre.
La collaborazione con la Segreteria granducale si protrasse ininterrottamente per circa un ventennio, fino al termine del soggiorno olandese del F., e gli consentì non solo di mettere in luce le sue notevoli doti di osservatore politico, di mercante e di uomo d'affari, ma di porre contemporaneamente le basi per una più definitiva e duratura affermazione sociale.
Attento al rapido mutare degli equilibri internazionali e alle relative ripercussioni nel settore dei traffici transoceanici e delle transazioni d'affarì, il F. dal 1650 al 1665 consolidò notevolmente la propria posizione e fortuna. In particolare, nel dicembre del 1662, i genovesi Domenico Grillo e Ambrogio Lomellini, ottenuto dal re di Spagna l'asiento per l'introduzione degli schiavi nei domini spagnoli d'Oltreoceano, lo incaricarono di procurare una parte delle pièces d'Inde necessarie all'adempimento del loro contratto e lo autorizzarono, a tal fine, a fare da intermediario con la Compagnia olandese delle Indie occidentali che, con le sue basi sulla costa africana, controllava alla fonte buona parte dell'approvvigionamento della manodopera servile.
A quest'epoca, tuttavia, il F. era ancora uno dei tanti mediatori contattati dai titolari dell'asiento perprocurarsi i 35.000 schiavi che, a norma del contratto, essi dovevano introdurre nelle colonie spagnole del Nuovo Mondo, dal 1663 al 1670. Nei primi mesi del 1663, infatti, rivendicò il subappalto anche l'English Company of royal adventurers, che riuscì ad aggiudicarsi quasi interamente la fornitura. Tuttavia le difficoltà organizzative in cui essa si dibatté, l'ostilità della Compagnia olandese delle Indie occidentali, che ne insidiò continuamente le basi africane e, infine, l'ostilità del governo spagnolo, almeno inizialmente contrario ad una presenza inglese cosi massiccia in un settore tanto delicato, fecero si che nel biennio 1663-64 i soli schiavi giunti a Cartagena fossero quelli forniti grazie alla mediazione del Feroni.
Il completo fallimento degli inglesi, se da un lato mise in risalto la superiorità organizzativa "olandese", dall'altro pose in cattiva luce l'operato dei titolari dell'asiento, accusati dal governo spagnolo di non aver adempiuto ai loro obblighi e di aver congiurato con gli stranieri per frodare il Fisco e la Corona. L'asiento rischiòdi arenarsi nelle secche di un contenzioso fitto di recriminazioni reciproche.
A questo punto intervenne il F. e, con un anticipo di 300.000 fiorini effettuato per conto del Grillo e del Lomellini all'imperatore in lotta contro i Turchi per ordine del re di Spagna, risollevò, se pur temporaneamente, le sorti dell'intera operazione. "Gli amici di Madrid" - come il F. chiamava il Grillo e il Lomellini (cfr., ad es., Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 4261, lett. 222, 406) - non potevano e non vollero più rinunziare ad un così autorevole collaboratore. Il F. si aggiudicò i profitti della mediazione per l'intera fornitura dei 35.000 schiavi e poté imporre le sue condizioni persino alla Compagnia olandese delle Indie occidentali.
Nel frattempo aveva accresciuto anche la propria famiglia ed aveva acquistato altre navi che, intitolate alla moglie e alla figlia maggiore Caterina, parteciparono direttamente al traffico negriero e al commercio delle materie prime importate dall'Africa, dalla Nuova Granata e dalla Nuova Spagna. Neppure le vicende del secondo conflitto anglo-olandese sembrano aver danneggiato la sua posizione e i suoi affari, che egli condusse, collaborando contemporaneamente con la segreteria granducale, nella consueta veste di osservatore e informatore politico.
Nel dicembre 1667 il F. ospitò nella propria casa Cosimo de' Medici, erede al trono granducale. Maturò probabilmente in questo incontro da parte del F. la decisione di tornare in Toscana e da parte dei principe quella di metterne le capacità a profitto dello Stato mediceo. Sin dalla primavera del 1668 il F. avviò trattative per l'acquisto della fattoria granducale di Bellavista (concluse con un compromesso il 4 dic. 1671) e, preoccupato per la crescente aggressività della Francia e dell'Inghilterra che contendevano all'Olanda il monopolio dei traffici transoceanici, decise, tra il 1669 e il 1670, di ritirarsi dal commercio degli schiavi.
Al trasferimento-in Toscana si opposero molti ostacoli. Il saldo dei conti con D. Grillo, uno dei titolari dell'asiento, relativi ai rapporti intercorsi tra loro dal 1665 al 1670, si presentò irto di difficoltà e controversie, tanto che il F. dovette partire dall'Olanda prima di averlo potuto concludere. D'altra parte non facilitava le cose la scarsa benevolenza, con cui ad Amsterdam e in patria gli aristocratici fiorentini (O. Marucelli, F. Tempi, N. Martelli, G. Guasconi, V. Guadagni) seguivano le vicende del F., di cui respinsero, di fatto, ogni proposta di collaborazione commerciale. Il F., dal canto suo, replicava accusandoli di costituire un ceto burocratico parassitario: "Vogliono ... arricchire sopra il sicuro col tirare grosse rendite dalli offizi ... vogliono arricchire col travagliare male a danno de' poveri" (Ibid., lctt. 325). Questi temi tornano spesso nelle lettere del F.; egli li riprenderà anche dopo il suo rientro in Firenze, avvenuto nel maggio del 1673, quando, con ben altra veste e autorevolezza, non più da privato mercante, ma da pubblico funzionario, sosterrà la necessità di risollevare le sorti della manifattura e del commercio toscani e di condurre, a beneficio dei poveri, una decisa azione moralizzatrice nei confronti della burocrazia corrotta e parassitaria.
Queste stesse finalità caratterizzano, infatti, tanto la "solenne obligazione" con la quale, il 7 maggio del 1674, il F. s'impegnò ad esercitare la carica di depositario generale, offertagli da Cosimo III, quanto l'attività della Deputazione per la riforma dei magistrati, di cui sarà chiamato a far parte e che lavorerà a questi progetti dal 1675 al 1678.
Con la carica di depositario generale il F. riceveva in gestione un'"azienda" dalla struttura complessa e articolata, nella quale l'entità delle uscite superava di norma quella delle entrate. La complessità nella struttura dipendeva, oltre che dalla mancata distinzione, a livello concettuale e di gestione, tra patrimonio del principe e patrimonio dello Stato, anche dal fatto che la Depositeria, nonostante la sua denominazione, non costituiva la cassa generale e centrale dello Stato. Ogni magistratura centrale, infatti, derivava dall'esercizio delle mansioni che svolgeva alcuni proventi con cui provvedeva ad organizzare e a finanziare la propria gestione; solo alcune di queste magistrature, detratte le spese di funzionamento, rimettevano i loro residui, o parte di essi, alla Depositeria generale. Inoltre la molteplicità delle casse coinvolte nella gestione della Depositeria, l'incertezza del numero e dell'entità delle entrate, il volume, sempre variabile, delle spese straordinarie, la commistione già ricordata tra i beni della Corona e quelli dello Stato, nonché, probabilmente, anche il disinteresse e la cattiva volontà della burocrazia facevano si che non vi fosse una chiara e razionale tenuta delle scritture contabili né che si procedesse alla redazione di bilanci generali annuali.
Non è facile valutare in questo contesto l'operato del F., che tenne la carica di depositario generale per circa un ventennio, fino alla morte, cercando di capire se esso abbia inciso o meno sull'efficienza e la redditività della Depositeria. Tuttavia si può affermare che la sua gestione coincise con una più accurata tenuta dei documenti contabili ("ristretti" o bilanci annuali consuntivi), con l'abolizione di certe uscite (donativi e pensioni) e con l'aumento di alcune entrate.
Alla carica di depositario il F. ne aggiunse negli anni numerose altre: fu membro della congregazione delle Farine (1678) e della Deputazione per la riforma dei magistrati di Firenze (1674-78), sovrintendente della Magona (1680) e, dopo la morte dei rispettivi titolari, soprintendente dello Scrittoio delle possessioni e della Guardaroba generale (dopo il 1682).
Tale cumulo di incombenze rende possibile tracciare solo un primo, parziale, bilancio della sua attività burocratica. Né, d'altra parte, essa appare separata e separabile dalla sua attività di mercante, uomo d'affari e proprietario fondiario. Numerose, comunque, sono le iniziative che egli intraprese per rivitalizzare, sotto gli auspici di Cosimo III, il commercio fiorentino, rilanciando in primo luogo l'arte della seta e cercando di arginare la crisi in cui da tempo versava quella della lana.
Rientrano in questo disegno, che cominciò a delinearsi negli ultimi anni del periodo olandese, l'ospitalità e l'aiuto che il F. forni fin dal 1672 a Cosimo Ciferi, inviato dal granduca in Olanda, nonché in Francia e in Inghilterra, per raccogliere notizie sui metodi di lavorazione e tintura delle lane e per riportare esemplari degli strumenti usati; e così pure i diversi progetti, formulati anch'essi fin dagli anni 1671-72, e volti a fondare, in società con altri mercanti fiorentini, case di commercio a Cadice, Smirne e Livorno. Il ritorno a Firenze intensificò queste e altre iniziative analoghe e determinò, al tempo stesso, l'elaborazione, almeno da parte del F., di una vera e propria strategia di interventi che si poneva, in sintesi, i seguenti obbiettivi: la riconquista della competitività sul mercato dei prodotti dell'arte della seta, perseguita articolando diversamente il rapporto quantità-qualità/costi di produzione, realizzata, in altre parole, nelle intenzioni del F., aumentando le ore e i ritmi di lavoro; l'impiego delle merci così prodotte come moneta per l'acquisto di materie prime; lo smercio, infine, dei manufatti e l'incremento, in genere, del volume delle transazioni commerciali, assicurato dalla fondazione, nei punti nevralgici delle rotte dei traffici, quali appunto Cadice, Livorno e Smirne, di case di commercio fiorentine e dall'attività di una costituenda Compagnia fiorentina delle Indie occidentali. Al centro dei progetti e dell'attenzione dei F. restava ovviamente il porto di Livorno, per il quale egli ipotizzava addirittura un possibile ruolo nel commercio degli schiavi. Tutti progetti che tuttavia ebbero scarse conseguenze pratiche.
L'attività del F. come depositario generale non si esaurisce nell'opera che egli esplicò in qualità di responsabile di questo ufficio. Nelle casse della Depositeria confluivano infatti entrate provenienti dall'attività di diverse magistrature e uffici finanziari, quali i Nove, le Farine., le Dogane, la Gabella dei contratti; era perciò inevitabile che nei tentativi di rendere queste riscossioni "fruttuose e vive" fosse coinvolto, quale parte in causa, anche il depositario generale. Si spiega così la partecipazione dei F. alla "congregatione per il negotio delle pollitie" e la sua presenza nell'ambito della Deputazione per la riforma dei magistrati, in cui venne chiamato dal granduca stesso, nel novero dei funzionari che ebbero il compito di indagare sull'attività del magistrato dei Nove conservatori della giurisdizione e dominio fiorentino e di formulare proposte per una sua eventuale riforma.
Il testo delle Considerazioni per la riforma del magistrato dei Nove, elaborato dal F. e da Emilio Luci, Alamanno Arrighi e Orazio Marucelli, presentato al granduca nel 1677, costituisce un'esplicita denuncia della situazione di indebitamento cronico in cui versavano le Comunità del contado e del distretto. Tuttavia, malgrado i rimedi proposti e le innovazioni sperimentate dal 1681 al 1693 (tra cui l'abolizione del soprassindaco, uno dei funzionari "stabili" più potenti del magistrato), la situazione non migliorò affatto e i riformatori settecenteschi poterono denunciare, nell'amministrazione del territorio, le stesse insufficienze ed ingiustizie già rilevate nel 1677.Il 28 ott. 1681 Cosimo III, erigendo Bellavista in marchesato, investi il F. della dignità marchionale, estesa anche ai discendenti con privilegio del 28 genn. 1695. La costruzione della villa di Bellavista e l'effificazione, nella chiesa della Ss. Annunziata di Firenze, di una cappella funebre di famiglia, commissionate rispettivamente agli architetti granducali A. Ferri e G. B. Foggini, sancirono il definitivo ingresso dei Feroni nel ceto nobiliare.
Morì a Firenze il 18 genn. 1696.
Fonti e Bibl.: Sulla situazione economica della famiglia Feroni, Milano, Archivio privato Feroni, Acquisti fatti dalla casa Feroni dal 1527 al 1702, filza I, "Ricordi lasciati dall'ill.mo... F. Feroni" [a stampa]; Archivio di Stato di Firenze, Carte Strozziane, s. I, 106, cc. 173v-178; Mediceo del principato, 4260, cc. 382-385v;2310, c. 737; 4261, lett. 222, 315, 325, 406; Miscellanea Medicea, 313, 17; Mediceo del principato, 1523, c. 260v; Auditore dei benefici, poi Segreteria del Regio Diritto, 6036;G. Richa, Notizie istor. delle chiese fiorentine divise ne' suoi quartieri, Firenze 1759, VIII, pp. 35 s.;G. Scelle, Histoire politique de la traite négrière aux Indes de Castille. Contrats et traités d'assiento, Paris 1906, I, pp. 505-549; L. Zangheri, Antonio Ferri architetto fiorentino, in Architettura ed interventi territoriali nella Toscana granducale, Firenze 1972, pp. 231-240;M. Morviducci, Lo scontro anglo-olandese avvenuto nel porto di Livorno il 14 marzo 1653nelle relazioni di F. F., in Atti del Convegno "Livorno e il Mediterraneo nell'età medicea", Livorno 23-25 sett. 1977, Livorno 1978, pp. 395-404; A. Paolucci-F. Petrucci, I Feroni a Bellavista: un esempio di villa barocca in Toscana, in Paragone, CCCXLV (1978), pp. 26-45; P.Benigni, F. F., empolese negoziante in Amsterdam, in Incontri. Rivista di studi italo-nederlandesi, I (1985-1986), 3, pp. 98-121; Id., F. F. da mercante di schiavi a burocrate nella Toscana di Cosimo III. Alcune anticipazioni, in Atti del Convegno "Un modello di assolutismo europeo: la Toscana di Cosimo III", Firenze-Pisa, 4-5 giugno1990, Firenze 1993.