FERRARA, Francesco
Nacque a Trecastagni, sulle falde dell'Etna, in provincia di Catania, il 2apr. 1767, da Filadelfo e da Genoveffa Motta. Indirizzato alla carriera ecclesiastica, fu inviato, undicenne, a studiare nel seminario di Catania, sotto la guida del celebre B. D'Agata, dal quale apprese filosofia e belle lettere. Il discepolato con il D'Agata, allievo a sua volta di G. A. De Cosmi, e già insegnante di metafisica nel seminario dei chierici di Palermo, appare importante alla luce delle molte traversie subite da questo maestro a causa del professato empirismo lockiano, che ne aveva determinato l'allontanamento da Palermo. Interessato alle dispute che condussero De Cosmi con il D'Agata e M. Sanfilippo a pubblicare nel 1781 a Caiania, diretto contro i wolffiani, un Metaphysices prospectus in varias theses distributus, e influenzato anche, come i suoi conterranei G. Recupero, R. Gemellaro e G. Gioeni, dall'ambiente che ben si prestava al sorgere di curiosità per il mondo della natura, il F. fu presto attratto a questi studi. Occasione della conversione fu una violenta eruzione dell'Etna, nel 1778.
Laureatosi in filosofia e medicina sotto la guida di F. M. Scuderi presso l'università di Catania nell'86, continuò gli studi avendo come insegnanti il maltese G. Zahra per le matematiche, A. Battaglia per l'architettura, P. P. Arcidiacono per la botanica, il basiliano G. Crisostomo Messina per la lingua e la letteratura greca e G. Mirone per la chimica. Di essi lasciò ampio ricordo nella sua Storia di Catania.
La situazione del "Siculorum Gynmasium", unica struttura nell'isola in quello scorcio di secolo per l'insegnamento superiore con facoltà di concedere lauree, non era brillante. Di fronte a tentativi di riforma, notevoli tra l'altro quelli propugnati dal De Cosmi, si assisteva, infatti, a conati paralleli di tradizionalismo o, nei casi migliori, ad uno stravolgimento sistematico in senso conservatore dei nuovi progetti. A Catania i tentativi di riforma si concretarono soltanto in un provvedimento del 1779 che, introducendo una serie di nuovi insegnamenti, accentuava il controllo statale sugli stessi e rendeva stabili i professori. Il F., che denunciò l'involuzione e ne fissò l'origine nella rinuncia al vescovato fatta nel 1771 dal vescovo S. Ventimiglia, uno dei riformatori, trovò dunque i riferimenti più sicuri per le proprie ambizioni culturali e scientifiche fuori dall'ambito universitario e precisamente negli "annali della natura" - come lui li definiva - e nel mondo vario dei tanti naturalisti, italiani e stranieri, che si avvicinavano al grande vulcano. Tra questi D. Dolomicu, che poté avvicinare quando nel 1781 venne a visitare l'Etna, e L. Spallanzani, che compì l'ascensione del vulcano nel settembre 1788. Con lo Spallanzani il giovane F. strinse allora amicizia e poi rimase in corrispondenza, avvicinando per suo tramite naturalisti di fama e più in generale la produzione europea più significativa in questo settore.
Uno dei suoi primi impegni scientifici fu la pubblicazione, con proprie note e con le aggiunte dell'autore già inserite nell'edizione di Neuchâtel del 1781, di una nuova edizione della Contemplazione della natura del ginevrino Ch. Bonnet, nella traduzione chiosata dallo stesso Spallanzani (già apparsa a Venezia nel 1781). La nuova edizione in 4 volumi, approvata da Spallanzani, apparve a Catania nel 1791.
Dopo la laurea il F. proseguì gli studi teologici e nel 1792 fu ordinato sacerdote.
Cominciò presto ad interessarsi di scienze naturali, di antiquaria, di matematica, di storia e di letteratura greca. A partire dalle annotazioni all'opera del Bonnet, i primi lavori del F., che traeva il massimo profitto dal grande numero di studiosi stranieri che visitavano l'Etna, vertono quasi interamente sulle scienze naturali, concentrandosi sull'osservazione dei fenomeni, sull'acquisizione di un vasto complesso di conoscenze bibliografiche e sullo stato della ricerca in altri. paesi. Questi studi in poco più di un decennio di attività, all'inizio del quale pubblicò la Storia generale dell'Etna ... (Catania 1793), gli fruttarono - nel 1802 - un posto di professore primario di fisica nella università di Catania.
L'opera, riedita nel 1818 a Palermo, con il titolo più semplice e meno pretenzioso di Descrizione dell'Etna, suscitò, tuttavia, grandi entusiasmi nell'ambito della Sicilia colta.
Nel 1805 il F. pubblicò a Palermo un volume (Memorie sopra il lago Naftia ...) con quattro opuscoli naturalistici ed archeologici sulla Sicilia.
Il primo opuscolo concerne il lago Palici e Naftia nella Sicilia meridionale, nella Val di Noto, una interessante località piena di quei fenomeni gia osservati a metà '600 nei Campi Flegrei napoletani e al centro di vivaci dispute tra gli accademici investiganti alla descrizione generale del luogo, paragonato con la grotta del Cane, presso Napoli, e con il lago di Ansanto in Irpinia nel primo paragrafo, e a due altri paragrafi che descrivono ed illustrano la natura delle mofete, segue una descrizione ampia dei miti collegati al lago e di altre memorie della storiografia antica relative alla topografia ed alla archeologia del luogo. Il secondo opuscolo, concernente l'ambra, sembra ancor più interessante; descrive le caratteristiche dell'ambra siciliana, disserta sulle origini e sugli esperimenti chimico-fisici fatti con tali sostanze. Il terzo opuscolo scritto su richiesta dello Spallanzani, concerne il miele prodotto nella Sicilia sudorientale: anche qui l'interesse storico- antiquario si coniuga a quello propriamente naturalistico e, dopo un excursus sulle origini del miele siciliano e dell'apicultura in Sicilia, l'autore si diffonde sui fiori che abbondano sui monti Iblei, descrivendone le caratteristiche e i meccanismi di impollinazione. Un ultimo opuscolo, il quarto, riguarda infine l'archeologia di due antichi insediamenti greci di Sicilia, Naxos e Callipoli, da lui indicata come colonia di Naxos e identificata con l'attuale Mascali.
Il tema del primo opuscolo diede occasione al F. di pubblicare, nel 1810 a Messina, ICampi Flegrei della Sicilia e delle isole che le sono intorno, o Descrizione fisica e mineralogica di queste isole. L'autore, imbevuto delle idee di Buffon, descrive miniere, siti vulcanici, bitumi, acque minerali, indicando di volta in volta natura del terreno, giacitura e direzione dei rilievi montuosi.
Il merito principale dell'autore sembra essere quello di avere rappresentato il primo tentativo di messa a punto di una carta mineralogica, che doveva riassumere in maniera schematica e immediata un quadro completo dello stato fisico dell'isola; al di là degli esiti scientifici, presto superati, il tentativo cartografico del F. è da ritenersi fortunato, almeno dal punto di vista editoriale, perché l'opera ebbe traduzioni ed edizioni in francese e in inglese.
Il soggetto dei Campi Flegrei, sviluppato ulteriormente, sfociò in una Storia naturale della Sicilia che comprende la mineralogia con un discorso sopra lo studio in vari tempi delle scienze naturali in quest'isola, Catania 1813.
I13 paragrafi nei quali è strutturata l'opera descrivono tra l'altro le rocce granitiche, particolarmente abbondanti nel territorio dei Peloritani, i marmi, le terre calcaree, i quarzi, le ardesie e le argille, i prodotti vulcanici, le miniere metalliche di Sicilia, e, con cataloghi distinti, i marmi siciliani, le agate, i diaspri, le selci, ecc.; particolare attenzione è prestata alla cristallografia e ai problemi fisici e chimici legati alla produzione ed alle trasformazioni di tali materiali. L'interesse dell'opera è accresciuto dal lungo "discorso" introduttivo che il F. volle esteso fino alla propria epoca sulla tradizione scientifica siciliana, ricostruita fino al primo '700 sulla scorta della Bibliotheca Sicula di A. Mongitore, e con una rassegna rapida ed abbastanza originale dei progressi più rilevanti compiuti dalla fisica, dalla chimica e dalla mineralogia.
Ancora a Catania nel 1814, succedendo a V. Paternò Castello. il F. fu nominato "intendente generale delle antichità di Sicilia e custode di monumenti del Valdemone" e successivamente ottenne da Ferdinando I un beneficio sulle rendite dei vescovato di Mazzara. Il nuovo incarico era un palese riconoscimento ai suoi studi. Nella nuova veste progettò di illustrare i monumenti superstiti della civiltà greco-romana di Sicilia, con Antichi edifici, ed altri monumenti di belle arti ancora esistenti in Sicilia, disegnati e descritti, ma si fermò ad un solo fascicolo dedicato alle antichità di Tindari (Palermo 1814), dei quindici annunciati nel piano generale dell'opera. Aveva già pubblicato la sua Descrizione dell'Etna quando nel 1819 fu chiamato "per pubblica fama" alla cattedra di storia naturale nell'università di Palermo, succedendo a G. Cancilla e lasciando la cattedra catanese di fisica, affidata di lì a poco a F. Landolina.
La chiamata a Palermo, in un ateneo di nuova fondazione (1805), che aveva tolto a Catania il privilegio di conferire lauree, testimonia della grande stima goduta dal F., che accoppiò alla cattedra il posto di "dimostratore" nel museo ad essa annesso e costituito dallo stesso F., poi ceduto all'università di Palermo. Nel 1818 D. Scinà aveva pubblicato a Palermo La topografia di Palermo e suoi contorni:nello scritto, fortemente polemico circa lo stato delle scienze naturali nell'isola, era facile scorgere frecciate contro la moda, molto diffusa in Sicilia, identificata nella ripetizione, spesso acritica e in ogni caso sterile, di ciò che altri maestri e viaggiatori non siciliani avevano scritto intorno all'isola. Il riferimento - esplicito - a studiosi come Dolomieu, Spallanzani o il conte M.-J. de Borch, chiamò direttamente in causa il F., che tentò di rispondere con un opuscolo anonimo, pieno di censure e volto a ridicolizzare l'opera e la persona stessa dello Scinà.
I terremoti che afflissero la Sicilia nel marzo 1823, e di cui fu testimone oculare, sollecitarono il F. ad occuparsene con uno scritto dedicato al principe di Campofranco, A. Lucchesi-Palli, arricchito di una cartina dell'isola (Memoria sopra i tremuoti della Sicilia in marzo 1823, Palermo 1823), il cui scopo, più che la descrizione dei fenomeni, era quello di chiarire l'interpretazione che l'autore dava dell'origine di certi sismi, legandola all'esteso vulcanismo dell'isola.
Le considerazioni del F. vertono sulla bontà dei materiali usati nell'edilizia, sui metodi costruttivi, con osservazioni di meccanica generale, su confronti con situazioni prodottesi in eventi sismici precedenti; lasciando da parte una breve Guida dei viaggiatori agli oggetti piú interessanti a vedersi in Sicilia (Palermo 1822;2 ediz. emendata nel 1836), lavoro di impegno modesto ma che rivela bene l'indole e soprattutto gli interessi culturali dell'autore, la prima opera storica di vasto respiro da lui data alla luce fu la Storia di Catania sino alla fine del secolo XVIII con la descrizione degli antichi monumenti ancora esistenti e dello stato presente della città, Palermo 1829.
L'opera, dedicata a G. Alvaro Paternò, intendente della Valle di Catania, consta di quattro parti, delle quali le prime due comprendono la storia generale dall'età più antica fino alla fine del sec. XVIII; la terza tratta dell'archeologia e della storia letteraria, la quarta e ultima si configura come una vera e propria "guida" per il turista, con una descrizione dello "stato presente" (primo '800) della città, delle sue chiese e delle sue istituzioni scientifiche ed accademiche. Novità lodevole dell'opera è il grande peso attribuito all'antiquaria, qui trattata con ampiezza particolare, per la quale il F. sfruttò, oltre le importanti collezioni allora esistenti in città - quella del principe di Biscari I. Paternò Castello, anzitutto, e quella dei benedettini di S. Nicola all'Arena - la propria raccolta personale.
Seconda e più importante opera di carattere storiografico è la Storia generale di Sicilia, pubblicata a Palermo dal 1830 al 1838 in 9 volumi, che compendia tutta l'opera di poligrafo del Ferrara.
I primi cinque volumi trattano della storia civile, il sesto della storia letteraria, il settimo di antiquaria, l'ottavo di belle arti e il nono di storia naturale. L'opera è particolarmente pregevole per alcuni argomenti, come la storia delle arti figurative, che non avevano ancora ricevuto particolare attenzione e per i quali gli sforzi dell'autore rappresentano comunque un primo degno tentativo.
Essa valse al F., scomparso D. Scinà nel 1837, la carica di regio storiografo e quella di presidente dell'Istituto di incoraggiamento. Nel 1840 tornò a Catania, professore di archeologia e letteratura greca; nei suoi ultimi anni si occupò di questioni numismatiche relative a pezzi singoli della collezione da lui posseduta (ricevuta in eredità dal fratello Alfio; si sa che il medagliere da lui lasciato all'università comprendeva ben 1600 pezzi) e di traduzioni di poeti greci di Sicilia, come Mosco e Teocrito, rimasto inedito; scrisse anche alcune note biografiche su Vito Amico da Catania e Silvio Boccone (cfr. E. Ortolani, Biografie di uomini illustri, Napoli 1820, II e I, 1819); la gestione amministrativa dello Studio catanese, di cui venne in ultimo nominato rettore, e la partecipazione alle sedute dell'Accademia Gioenia, della quale fu socio onorario furono le sue ultime occupazioni, prima che la morte lo cogliesse, a Catania, il 12 febbr. 1850.
La produzione piuttosto eterogenea del F. ne determinò un giudizio poco favorevole, per quel vizio "enciclopedico" tipico dell'epoca in cui visse. Il F. archeologo e antiquario è forse più interessante del F. scienziato: attivissimo quale custode delle antichità del Valdemone, mostrò una notevole serietà di metodo, perfettamente riflessa nei tanti scavi che promosse, soprattutto a Catania. Quanto alla parte scientifica il F. - contemporaneo di G. Gioeni, che si occupo pressoché degli stessi temi e pubblicò per l'Etna soltanto una relazione sull'eruzione del 1787, riservando la propria opera maggiore allo studio del Vesuvio, mentre gli scritti del canonico G. Recupero furono pubblicati postumi, nel 1815 - ebbe il merito sia di inaugurare in Sicilia la serie degli studi mineralogici con criteri scientifici, riscuotendo riconoscimenti anche presso W. Hamilton e Dolomieu, sia di pubblicare una prima cartografia geologica dell'isola, anteriore a quelle più fortunate di Ch. -G. Daubeny, A. Hoffmann e di C. Gemellaro. Nel confronto con quest'ultimo, il "naturalista" e "vulcanologo" F. è pressoché inesistente. Nell'interpretazione dei terremoti, il sisma del 1783 a Messina e quelli del 1823 a Palermo, e nel dibattito allora attuale tra teorie sismo-elettriche e teorie vulcaniche, il F. è senza mezzi termini per le seconde, contrastando le prime, peraltro più accreditate, almeno in Sicilia. Al di là delle polemiche, scadute presto di livello, tanto per i terremoti come per questioni men "fisiche" o "meccaniche", come quella dei fossili di mare dolce, la linea vincente si rivelerà per tutto l'Ottocento quella di Scinà-Gemellaro, che relega come pura curiosità storica gli sforzi del F. e di Recupero.
Per le altre opere del F., cfr. G. Mira, Bibliografia siciliana, I, Palermo 1881, I, pp. 349 ss.
Fonti e Bibl.: Lettere del F.: Reggio Emilia, Bibl. municipale, ms. B. 215 (3): 12 lettere dei F. a L. Spallanzani, edite a cura di P. Di Pietro nella Ed. naz. delle opere di L.. Spallanzani. Carteggi, IV, Modena 1985, pp. 225-241; sei lettere, tutte datate da Palermo a Lionardo Vigosono conservate nell'Epistolario del Vigo alla Bibl. civica Zelantea di Acireale. Necrologi: in Giorn. di Catania e in Ufficiale di Palermo del marzo1850; in Giorn. del Gabinetto letterario dell'Acc. Gioenia, s. 2, I (1850), pp. 65 ss. Vedi inoltre: Omaggio dei palermitani al prof. naturalista F. F. in occasione di sua partenza per Catania, Palermo1840; L. Coco Grasso, F. F., della sua vita e delle sue opere, Palermo1850; A. Narbone, Bibliografiasicola sistematica, I-IV, Palermo 1850-1855, ad Indicem;C. E. Muzzarelli, Biografie autografe ed inedite di illustri italiani di questo secolo, Torino 1853, pp. 124 s.; R. Salvo di Petraganzili, Storia delle lettere in Sicilia, Palermo 1896, III, pp. 428 s.; S. Di Franco, I primi geologi siciliani e i Gemmellaro, in Arch. stor. per la Sicilia orient., s. 2, XXIX (1933), pp. 102 s., 108; O. De Fiore, Le scienze naturali a Catania nell'Ottocento, in Catania, VI (1934), 2, pp. 77-85; G. Libertini, L'Università di Catania dal 1805 al 1865, in Storia dell'Università di Catania, Catania 1934; A. Sammartino, Sull'attuale stato del sapere in Sicilia, in Arch. stor. per la Sicilia orientale, s. 2, XXXI (1935), p. 118; S. Di Franco, Contributo al progresso delle scienze geo-mineralogiche di alcuni soci illustri dell'Accademia Gioenia, in Boll. dell'Acc. Gioenia, s. 3, XIII (1940), pp. 9-20; C. Naselli, La traduzione degli Idilli di Teocrito di F. F., in Arch. stor. per la Sicilia orientale, s. 4, XLIV (1948), p. 190; A. Torrisi, Biografia e sintesi critica delle opere edite dell'abate F. F. da Trecastagni nel primo centenario della morte, Catania 1948; G. Libertini, F. F., in Siculorum Gymnasium, n. s., IV (1951), pp. 133-138; B. Pace, Arte e civiltà della Sicilia antica, Milano 1958, I, pp. 40, 47, 56; C. Musumarra, Lacultura a Catania tra la fine del sec. XVIII e la prima metà del sec. XIX, in Arch. stor. per la Sicilia orient., s. 4, XI-XII (1958-1959), pp. 65-122 passim; P. Nastasi, D. Scinà e il dibattito scientifico, in I naturalisti e la cultura scientifica siciliana nell'800, Atti del Convegno tenuto a Palermo dal 5 al 7 dic. 1984, Palermo 1987, pp. 93-113; G. Quatriglio, F. F. scienziato europeo, ibid., pp. 311-316.