FILOMUSI GUELFI, Francesco
Nacque a Tocco da Casauria (ora provincia di Pescara) il 21 nov. 1842, primogenito di Michele e di Eufrosina Scamolla.
In un clima culturale inasprito dalla politica reazionaria dei Borboni ebbe luogo la prima formazione scolastica. All'Aquila frequentò, sia pure per pochi mesi, le scuole dei gesuiti; successivamente, fu indirizzato al seminario cittadino. Nonostante la malferma salute, studiò con passione il latino, la letteratura, la fisica, la filosofia e la matematica, alla quale, in particolare, rivolse i propri interessi negli anni giovanili.
Nel 1864, per ragioni dovute alla salute precaria, fu costretto ad interrompere gli studi, che poté riprendere solo quattro anni più tardi. Trasferitosi a Napoli si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza. Qui fu allievo di G. Polignani, N. De Crescenzio, E. Pessina, F. Persico, L. Testa. Una certa attitudine per gli argomenti filosofici lo spinse ad arricchire la preparazione giuridica, seguendo, per due anni, le lezioni di B. Spaventa, il cui indirizzo fu sempre presente nei suoi insegnamenti di filosofia del diritto.
Conseguita la laurea in giurisprudenza nel 1869, si dedicò molto presto all'insegnamento privato, dapprima all'Aquila quindi a Napoli, dove, nel triennio 1871-73, tenne corsi di enciclopedia, di storia del diritto e alcune lezioni di storia del diritto romano. Il 1872 fu l'anno dell'esordio scientifico del F.: sensibile all'istanza di rinnovamento metodologico degli studi giuridici e fautore di una maggiore apertura nei confronti della cultura germanica, diede alle stampe la traduzione italiana de Il processo civile romano e le azioni di F. L. Keller, con annotazioni del De Crescenzio, e la Guida allo studio del processo civile romano di C.G.A. Scheurl (ambedue Napoli 1872).
L'inclinazione alla speculazione filosofica, accompagnata da una solida conoscenza del diritto positivo, gli valse nel 1873 la cattedra di filosofia del diritto all'università di Roma. Bandito il concorso a straordinario, vi partecipò presentando quattro lavori scientifici: La quota di riserva del coniuge superstite nel codice italiano (in Archivio giuridico, VII[1871], 3, pp. 217-230, poi Napoli 1873), Ilprocesso civile contumaciale romano (ibid.), lo scritto Sulla dottrina dello Stato nell'antichità greca (ibid.) e L'enciclopedia giuridica (ibid.).
Il manuale enciclopedico fu giudicato dalla commissione, composta fra gli altri da A. Messedaglia, P. E. Imbriani, C. F. Gabba e F. Serafini, l'opera migliore presentata al concorso che venne vinto dal F.; egli inaugurò il corso di filosofia del diritto nell'ateneo romano con la prolusione Del concetto del diritto naturale e del diritto positivo nella storia della filosofia del diritto (Napoli 1874, ora in Lezioni esaggi di filosofia del diritto, a cura di G. Del Vecchio, Milano 1949, pp. 101-130). La prolusione sintetizzava i punti essenziali della complessa filosofia dell'autore, il quale fu sempre fedele all'intento di costruire la filosofia del diritto sulla base di un "idealismo reale e concreto", come egli stesso avrebbe ricordato nell'ultimo scritto pubblicato nel 1921 sulla Rivista internaz. di filosofia del diritto (I,2, pp. 89-92), dal titolo Verum ipsum factum.
Ripercorrendo lo svolgimento storico del concetto di diritto naturale in rapporto con quello di diritto positivo, il F. intende riconoscerne la reale attuazione nelle forme del diritto vigente. Tutto il ragionamento si svolge su una linea che da Aristotele passa attraverso Vico e Hegel fino a giungere alla scuola storica del diritto. In Vico egli individua il primo autore che sia riuscito a conciliare diritto razionale e diritto positivo. Nel De universi iuris uno principio et fine uno e nella Scienza nuova il F. ritrova le ragioni di tale accordo nel principio dello "sviluppo" dello spirito umano. Ma è a Hegel che egli attribuisce il merito di avere colto il vero rapporto tra diritto naturale e diritto positivo nella distinzione idea-forma. Manca tuttavia nella ricostruzione hegeliana il reale svolgimento dell'idea del diritto nel diritto positivo. Per il F., Hegel non ha analizzato l'evoluzione storica del diritto positivo e non ha chiarito la formazione storica del diritto come prodotto dell'idea. Muovendo da siffatte premesse, egli giunge dunque a riconoscere l'importante contributo della scuola storica che, studiando l'elemento storico del diritto, aveva dischiuso alla scienza l'essenza del diritto positivo individuandolo nella manifestazione della coscienza giuridica di un popolo. Restava però irrisolto il problema della ricerca di un principio genetico che spiegasse la sua reale costruzione nelle forme del diritto vigente. Questo svolgimento il F. ritrova nel concetto aristotelico di "movimento", ripreso anche da B. Spaventa, che egli pone all'origine del diritto come è dato dall'idea e come si manifesta nella realtà storica.
Già nell'anno accademico 1873-74 il F. affiancò all'insegnamento ufficiale un corso sull'etica e sullo Stato nell'antichità greca e nel 1876-77 un corso di storia della filosofia del diritto. La lunga permanenza nell'università di Roma gli offrì l'occasione per allacciare una fitta rete di scambi culturali con i giuristi più autorevoli del tempo; egli si impegnò inoltre attivamente anche nella vita politica. Nel 1874 pubblicava a Roma un importante studio su Il matrimonio religioso ed il diritto, argomento particolarmente rilevante per le connessioni con la delicata questione dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa.
L'anno seguente, su sollecitazione di P. S. Mancini, il F. prendeva posizione su un altro tema scottante con il saggio Delle condizioni che escludono o diminuiscono l'imputabilità (Roma 1875). Nel 1876 il nuovo piano di studi per le facoltà di giurisprudenza del Regno separava dal corso di filosofia l'insegnamento dell'introduzione enciclopedica alle scienze giuridiche; nell'ateneo romano ambedue le cattedre furono assegnate al F., il quale pubblicò poi l'ampia prolusione, Del concetto della enciclopedia giuridica (Napoli 1876, ora in Lezioni e saggi, pp. 153-180), letta in occasione dell'apertura del corso universitario.
Nel 1878 il F. divenne ordinario di filosofia del diritto presso la facoltà giuridica dell'università di Roma. A questo insegnamento dedicò l'impegno universitario in anni in cui le proposte di riforma dei regolamenti per le facoltà di diritto si susseguirono a ritmi sostenuti. Nelle sue lezioni, raccolte e pubblicate in varie edizioni dagli allievi (Filosofia del diritto ad uso di lezioni, ora in Lezioni e saggi, pp. 3-100), egli ribatteva con forza alle critiche di quanti pretendevano di sostituire la filosofia del diritto con insegnamenti, quali le scienze politico-amministrative, che rivendicavano ormai una collocazione stabile nei corsi di laurea. La battaglia intrapresa contro l'imporsi degli approcci positivistici alle questioni giuridiche si caricava per tali ragioni di uno specifico significato. Il F. opponeva, a coloro che sull'onda del successo della metodologia positivistica intendevano limitare la preparazione filosofica del giurista, la possibilità di connotare il positivismo stesso dei caratteri di un nuovo sistema filosofico. Di siffatta convinzione diede ampia prova quando nel 1899 desiderò che I. Vanni, uno tra i massimi esponenti del positivismo italiano, assumesse l'incarico della filosofia del diritto, subentrandogli nell'insegnamento all'università romana.
Dal 1884 il F. aveva affiancato ai corsi di filosofia del diritto quelli di diritto civile, divenendo titolare della cattedra fino allora retta da E. Pacifici Mazzoni. Nell'insegnamento della disciplina civilistica riversò i temi della propria cultura giuridica. All'esegesi dei codici sostituì una trattazione sistematica degli istituti, che, muovendo dalla definizione di concetti e categorie giuridiche, era completata da una continua comparazione con le legislazioni straniere e dalla lettura storica del diritto vigente presentata come parte essenziale degli studi di diritto privato. Né mancarono riferimenti costanti ai postulati delle scienze sociali, che, ricondotti all'interno del ragionamento scientifico nella cornice enciclopedica, offrivano all'indagine del giurista nuovi strumenti per interpretare le mutate esigenze giuridiche dei cittadini.
I problemi ancora irrisolti della unificazione amministrativa del Regno e le pressioni centrifughe dei gruppi di interesse locale avevano riacceso, nell'ultimo quarto di secolo, le discussioni sull'organizzazione degli apparati statali e sui limiti all'azione giuridica dello Stato; la "questione sociale" impegnò giuristi, politici, economisti, burocrati in un confronto dai toni altamente critici; la diffusione in ambito italiano del concetto di Stato di F. Lassalle, inteso come distributore di mezzi sociali oltre che come garante dei diritti dell'individuo, rimetteva in discussione la distinzione tra il diritto pubblico e il diritto privato nell'accezione tradizionale e rischiava di travolgere anche le scelte attuate dai compilatori del codice civile del 1865, obbligando ad una riforma in chiave sociale della disciplina degli istituti privatistici.
Nella prolusione su La codificazione civile e le idee moderne che ad essa si riferiscono (Roma 1887, ora in Lezioni e saggi, pp. 181-207) il F. contrappose alla concezione socialista dello Stato un nuovo bisogno dello "Stato di diritto"; rivelando chiari influssi della teoria di S. Spaventa, il F. avverte con urgenza la necessità di organizzare una giustizia amministrativa imparziale che con il suo operato sia in grado di controllare la prepotente ingerenza statale.
La questione della giurisdizione amministrativa costituirà oggetto di altri suoi interventi successivi nelle pubblicazioni periodiche; soprattutto, il problema dei limiti all'azione dello Stato si arricchisce della presenza di un ulteriore soggetto giuridico oltre al binomio Stato-individuo: la società, i cui rapporti di diritto, al limite fra il pubblico e il privato, confluiscono nella controversa materia del diritto amministrativo. Ciò comporta una tendenza sociale nella legislazione delle nazioni civili, che pur tuttavia per il F. non giustifica un totale abbandono alle pretese socialiste. Più solida ne esce la fede nello Stato di diritto, nella idea cioè di uno Stato che avvalendosi di un rigido apparato amministrativo, sottoposto al vaglio severo del rispetto della legge, tuteli il singolo dagli abusi dei pubblici funzionari. Limiti etici guideranno invece lo Stato nell'esercizio della funzione legislativa. Essi sono le grandi libertà conquistate dalla coscienza giuridica moderna e riconosciute dalle carte costituzionali. Tali sono i diritti quesiti, e soprattutto il diritto privato. Nelle materie che costituiscono il diritto civile, contenute nel codice privato, il moderno Stato di diritto incontra un limite naturale alla sua attività. Pertanto, se è da attendersi un incremento della legislazione sociale, il F. esclude però che essa possa influenzare l'assetto tradizionale degli ambiti giuridici. Sarà possibile un codice sociale che si affianchi al codice di diritto privato e con esso si armonizzi, ma mai una loro fusione.
L'intreccio di diverse prospettive di analisi dei fenomeni giuridici fu il tratto dominante dei corsi sulla proprietà e sui diritti reali, cui il F. dedicò larga parte della didattica e dell'impegno scientifico (Diritti reali, Roma 1901). Fu anche l'aspetto qualificante degli studi sulla materia delle successioni, che confermavano lo stretto aggancio delle tensioni speculative con i problemi della prassi giuridica (Diritto ereditario, ibid. 1900). Nel 1889 per volontà regia il F. fu chiamato a dirigere insieme con L. Palma e L. Cossa gli studi giuridici del principe ereditario, al quale insegnò diritto civile, commerciale e penale facendo precedere le lezioni da un'introduzione sui concetti generali del diritto. Nello stesso anno accettò l'invito del ministro della Pubblica Istruzione P. Boselli a far parte di una commissione istituita allo scopo di elaborare un nuovo regolamento universitario. Nell'assolvere il compito il F. rifuse l'esperienza maturata in ambito professionale e fu sostenitore di una proposta di intervento basata su due punti principali, l'abbattimento dei confini tra le facoltà e un pieno ritorno ai principi della libertà di scienza, che avrebbe riproposto anche più tardi nei dibattiti parlamentari in qualità di senatore del Regno e in due memorie all'Accademia dei Lincei relative all'ordinazione dei corsi e degli esami nelle facoltà di diritto (Sull'ordinamento degli insegnamenti giuridici, sociali e politici, in Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, IX [1902], pp. 295-308; Ordine degli studi e sistema di esami nella facoltà di giurisprudenza, ibid., XIII [1904],pp. 152 ss.).
Nel 1902, in qualità di presidente dell'Associazione della stampa periodica italiana, fu affiancato da una apposita commissione per la stesura di un provvedimento legislativo sul contratto di lavoro giornalistico. Nel 1904 partecipò ai lavori della commissione reale per la riforma del diritto ipotecario, sostenendo la necessità di conservare ancora il vigente sistema della trascrizione, sia pure con gli opportuni adattamenti, prima di introdurre in Italia il regime dei libri fondiari di derivazione germanica.
Nel 1907, morto il Vanni, riassumeva la cattedra di filosofia del diritto che avrebbe conservato fino al termine della carriera accademica. Nel 1908 espose al circolo Savoia di Roma il programma di un nuovo partito conservatore riformista. Muovendo da una severa denuncia degli effetti del parlamentarismo, tema diffuso nei dibattiti culturali degli inizi del secolo, si spinse con più decisione sul terreno della politica, che egli tuttavia considerò sempre un interesse secondario della sua attività. Il 22 ott. 1911, nella sala del consiglio comunale di Chieti, pronunciò un discorso sul Compito dell'Italia nell'incivilimento dell'Africa settentrionale (Manoppello 1912).
Con decreto del 26 genn. 1910 il F. era stato nominato senatore del Regno; i suoi interventi nei dibattiti al Senato spaziarono dai temi della formazione universitaria e del bilancio del ministero della Pubblica Istruzione, alla organizzazione dell'ordinamento del notariato e alla tutela dei beni artistici del paese, toccando tutti i settori dell'impegno culturale sviluppato negli anni di maggiore attività. Prese parte ai lavori della commissione nominata nel 1910 dal ministro di Grazia e Giustizia V. Scialoja per la preparazione di tre progetti di legge sulla cittadinanza, sulla condizione dei figli naturali e sulla trascrizione. Nel 1917 il dolore provocato dalla perdita della moglie Caterina Castiglione concorse ad aggravare lo stato di salute già insidiato. Con decreto del 4 luglio 1918 fu collocato a riposo. L'11 luglio successivo ottenne la nomina di grand'ufficiale nell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro.
Morì a Tocco da Casauria il 28 ott. 1922.
Per un elenco completo delle opere del F. si veda R. Orecchia, La filosofia del diritto nelle università italiane1900-1965, Milano 1967, pp. 247-252.
Fonti e Bibl.: Necr., in Riv. internaz. diffiosofia del diritto, III(1923), 1, pp. 80-85, e in Annuario della R.. Università d. studi di Roma, a.a. 1922-23, pp. 223 ss.; Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della Pubblica Istruzione, Fascicoli generali, Iversamento (1860-1880), F. F., e ibid., IIversamento, I -II serie, (1894-1918), Fascicoli personali. Notizie biogr. in L. Morandi, Come fu educato Vittorio Emanuele III, Torino 1901, p. 127; Ricordo delle onoranze a F. F. per la sua nomina a senatore, Napoli 1911 (con ampia bibl.); V. Polacco, F. F., in Riv. di diritto civile, XV (1923), 1, pp. 1-22; R. Aurini, Diz. bibliogr. della gente d'Abruzzo, IV,Teramo 1962, pp. 137-151 a cui si rinvia per ulteriosi fonti biografiche e bibliografiche. Tra i contributi volti ad approfondire alcuni profili del pensiero e dell'opera del F. si segnalano: G. Del Vecchio, Prefazione a F. Filomusi Guelfi, Lezioni e saggi di filosofia del diritto, Milano 1949, pp. V-X; G. Perticone, Il diritto e lo Stato nel pensiero italiano contemporaneo, Padova 1950, p. 81; G. Goretti, Rileggendo F., in Riv. internaz. di filosofia del diritto, s. 3, XXVIII (1951), 1, pp. 165-170; P. Piovani, Momenti della filosofia giuridico-politica italiana, Milano 1951, p. 49; Id., L'enciclopedia giuridica di F., in Scritti giuridici raccolti per il centenario della casa editrice Jovene. 1854-1954, Napoli 1954, pp. 241-281; A. Giuliani, Ricerche in tema di esperienza giuridica, Milano 1957, pp. 143 ss.; G. Fassò, Storia della filosofia del diritto, III,Bologna 1970, p. 276; N. Irti, F. F. e la crisi della scuola esegetica in Italia, in Scuole e figure del diritto civile, Milano 1982, pp. 33-47; Id., Sull'opera di F. F., ibid., pp. 49-56; P. Grossi, "La Scienza del diritto privato". Una rivista-progetto nella Firenze di fine secolo. 1893-1896, Milano 1988, pp. 43 ss.; P. Beneduce, L'ordine dell'esposizione. Introduzione alla giurisprudenza e regole dell'enciclopedismo in Italia nel secondo Ottocento, in Encicl. e sapere scientifico. Il diritto e le scienze sociali nell'Encicl. giuridica ital., a cura di A. Mazzacane-P. Schiera, Bologna 1990, pp. 119-161; P. Grossi, Tradizioni e modelli nella sistemazione post-unitaria della proprietà, in Il dominio e le cose. Percezioni medievali e moderne di diritti reali, Milano 1992, pp. 563 ss.