FLAMINI, Francesco
Nacque a Bergamo, ultimo di dieci figli, il 24 maggio 1868 da Adele Siepi e Giulio, di origine romana. Nel 1870, per esigenze di servizio. il padre, fanzionario del ministero degli Interni ("uno dei veterani delle patrie battaglie del '48-'49": Le cure di mia madre, pp. 187 s.), si trasferì con la famiglia a Torino, dove il F. frequentò la scuola municipale prima e quindi il ginnasio-liceo "Cavour" fino al 1881 quando, raggiunta l'età della pensione, il padre decise di stabilirsi a Pisa. Nello stesso 1881 pubblicò un libretto che aveva iniziato a scrivere all'età di dieci anni, Le cure di mia madre (Pisa), nel quale sono raccolte memorie della prima infanzia, quadri della vita familiare, aneddoti e insegnamenti morali, ma soprattutto è esaltata la figura della madre ("mirabilissimo esempio di materno amore", p. 1).
Frequentò la facoltà di lettere dell'università di Pisa, dove ebbe come maestro A. D'Ancona che apprezzò subito la qualità del ricercatore e dello studioso; dal 1887, sotto la sua guida, iniziò a collaborare alla Rivista critica della letteratura italiana e pubblicò sugli Annali della Scuola normale di Pisa il suo primo saggio: Sulle poesie del Tansillo di genere vario (Pisa 1888, estr. dagli Annali). Collaborò inoltre, ancora studente al Propugnatore, al Giornale storico della letteratura italiana, all'Alighieri, con recensioni e interventi sulla poesia italiana del Trecento e del Quattrocento. La lirica toscana del Rinascimento anteriore ai tempi del Magnifico fu il titolo e l'argomento della sua tesi di laurea, ampiamente e dottamente svolto in più di ottocento pagine, che fu pubblicata prima sugli Annali della Scuola normale di Pisa e poi in volume (Pisa 1891).
Vanno accostati a questo studio le numerose recensioni e interventi in rivista nonché, ancora in ambito quattrocentesco, Francesco Galeota gentiluomo napolitano del Quattrocento e il suo inedito canzoniere (in Giorn. stor. della letter. ital., XX [1892], pp. 1-90); l'edizione di L'egloga e i poemetti di L. Tansillo secondo la genuina lezione dei codici e delle prime stampe (Napoli 1893); Il Canzoniere inedito di Antonio Forteguerri (Pisa 1893); Peregrino Allio, umanista, poeta, e confilosofo del Ficino (ibid., 1893): su una linea di accentuato interesse per la poesia italiana dei primi secoli, sotto il versante metrico, linguistico e stilistico e con una metodologia storico-filologica che recava chiara l'impronta del maestro.
Negli anni immediatamente successivi alla laurea il F. insegnò lettere nelle scuole medie, ma già nel 1893 fu chiamato dal D'Ancona all'università di Pisa in qualità di supplente; nel 1895 vinse la cattedra di letteratura italiana all'università di Messina, ma anziché in quella sede fu chiamato a Padova a coprire la cattedra lasciata da G. Mazzoni. Nella prolusione inaugurale al corso di letteratura italiana (La poesia italiana del Cinquecento e l'insegnamento scientifico della letteratura nazionale, letta il 16 genn. 1896, poi pubblicata in opuscolo, Verona-Padova 1896, quindi nel vol. Varia, Livorno 1905, pp. 333-350) il F. espose con chiarezza e lucidità i cardini del metodo che era andato maturando insieme con la sua concezione della storia e della critica letteraria.
Prima di tutto un richiamo a Carducci ("il massimo fra i nostri poeti viventi", p. 334), legato all'affertnazione della necessità di una critica storica; quindi a De Sanctis, del quale viene sottolineata la piena coscienza della "necessità di accoppiare... l'analisi estetico-psicologica con la ricerca erudita" (p. 336); ma un esplicito riferimento è anche a B. Croce e al suo chiarimento su "questioni teoriche importanti" (p. 335). Tutto ciò in favore di una prospettiva dove "l'indagine erudita e l'analisi estetica, compenetrandosi senza chirnicamente combinarsi in un quid novi s'illuminano". Un metodo, il suo, pienamente ed esplicitamente inserito all'interno di quella "scuola storica" di cui il D'Ancona era un esponente di primo piano e della quale il F. rivendica e sottolinea il ruolo e il valore.
In sostanza risulta bene l'attitudine equilibrata del F. teso sempre a mettere in evidenza l'importanza della documentazione, dell'indagine minuziosa ed anche erudita, di ogni aspetto storico, stilistico, linguistico del fatto letterario, senza però trascurare, al contempo, il versante critico e quello prettamente estetico, il giudizio sul valore artistico dell'opera letteraria che anzi il F. ritiene parte integrante dell'impegno dello studioso. Le distanze sono piuttosto stabilite in modo deciso rispetto a quelle tendenze della critica che si andavano polemicamente affermando proprio in quegli anni e che assegnavano il ruolo dominante all'estetica, in senso teorico e metodologico.
Su questa linea di pensiero il F. sviluppò e approfondì i suoi studi, raccolti nel 1895 in un volume dal titolo Studi di storia letteraria italiana e straniera (Livorno). Accanto a saggi di chiara intonazione erudita su alcune forme poetiche antiche e su fenomeni e autori quattrocenteschi, vi si dispongono trattazioni come Gl'imitatori della lirica di Dante e del dolce stil novo, Il luogo di nascita di M. Laura e la topografia del Canzoniere petrarchesco, e soprattutto Le lettere italiane alla corte di Francesco I re di Francia, che manifesta pienamente il vivo interesse del F. per la letteratura comparata di cui fu in Italia, sempre sulla scia del D'Ancona, uno dei primi cultori, ma sviluppandola con maggiore ampiezza di intenti.
Dello stesso anno è un altro volume di saggi diversi, Spigolature di erudizione e di critica (Pisa), al cui interno il F. riuniva note, interventi e studi che spaziavano fondamentalmente sui primi secoli della storia letteraria italiana, con nuovi saggi danteschi (L'ordinamento morale dell'Inferno di Dante; La Beatrice di Dante), e sulla lirica tre-quattrocentesca, ma allargando anche l'attenzione alle Tragedie di Giraldi, a Francesco Bracciolini a Milano, Epopea colombiana ed epopea del Seicento, ecc. Testimonianza di questo ampliamento di orizzonte è Aurelio Bèrtola e i suoi studi intorno alla letteratura tedesca (Pisa 1895) che insieme rispondeva all'attitudine comparatistica già praticata dal Flamini.
Ma l'opera certamente più impegnativa a cui lavorò a lungo e che ancora oggi presenta diverse ragioni di interesse è il volume (nella collana di storia letteraria edita da Vallardi) dedicato al Cinquecento (Milano 1902). Si tratta di quasi seicento pagine in cui è raccolta e dispiegata la ricchissima documentazione, frutto delle ricerche filologiche, storiche ed'erudite condotte per tanti anni dal F. sulle figure maggiori dei secolo XVI ma anche e soprattutto sull'ampio quadro all'interno del quale anche i grandi vengono ricondotti, con viva attenzione per gli aspetti non solo eminentemente letterari, ma più diffusamente propri dell'arte e della cultura, dal pensiero filosofico e scientifico alle arti figurative.
Criticata da qualche studioso come V. Cian (E F., in Giorn. stor. della letter. italiana, LXXIX [1922], pp. 395-398) e A. Medin (in Atti dell'Ist. veneto di scienze, lettere ed arti, LXXI [1921-22], I, pp. 57-63) per la partizione della materia adottata nel ricostruire le vicende cinquecentesche, quest'opera è la prova più chiara dell'indole del F. come studioso che indagava ogni fenomeno e analizzava ogni testo sulla base di una conoscenza di prima mano, che applicava al materiale reperito esami estremamente scrupolosi, che circondava ogni aspetto della sua ricerca di una messe di osservazioni e di indicazioni storiche, bibliografiche ed erudite, con quella tensione verso l'oggettività e la scientificità della storia e della critica letteraria che denunciano la sua piena adesione all'impianto positivista della "scuola storica".
Con la medesima disposizione aveva cominciato dal 1893 a pubblicare studi su Dante, un terreno di analisi che coltiverà costantemente negli anni seguenti, segnati da alcune tappe: è del 1903 la prima ponderosa pubblicazione con il titolo I signiflcati reconditi della Commedia di Dante e il suo fine supremo (Livorno), al quale seguì dopo un anno un secondo volume con lo stesso titolo (ibid.). Si trattava in effetti di un primo approdo a una prospettiva interpretativa della Commedia, dopo una serie di scandagli di argomento dantesco che erano stati pubblicati nel decennio precedente su vari periodici (come il Bull. della Società dantesca., la Rivista d'Italia, il Giornale dantesco, Fanfulla della domenica e la Rass. bibliografica della letteratura italiana - fondata dal D'Ancona nel '93 - alla quale assiduamente collaborò) e nei due volumi di saggi diversi già ricordati. La predilezione per la figura di Dante e per i molti risvolti delle sue opere, con un interesse precipuo per la Commedia, emerge anche attraverso le Lecturae Dantis che eseguì in svariate occasioni (va segnalata in particolare La varia fortuna di Dante in Italia, Firenze 1914), i numerosi corsi universitari che tenne sull'argomento, una Introduction to the Study of the Divine Comedy (Boston-New York-Chicago-London 1910), ecc. Il segno più chiaro di questa continuità di studi e di approfondimenti sta nel ritorno a molti anni di distanza sulle tematiche del volume dantesco del 1893 con un libro intitolato Il significato e il fine della Divina Commedia (2 ed. rifatta e accr.: I, Livorno 1915; 11, ibid. 1916), nel quale il F. perfezionava la propria idea di fondo del poema dantesco come un grandioso insieme di figure allegoriche legate da una profonda corrispondenza con l'etica di s. Tommaso.
Nel prendere le distanze dalla contemporanea lettura di Dante e del suo poema che andava proponendo il Pascoli, su una linea che almeno per alcuni versi non era dissimile dalla sua, il F. rivendicava la priorità cronologica delle proprie ricerche e ipotesi interpretative. Criticata da alcuni per il carattere fantasioso delle simmetrie, da altri per l'intonazione tendente al misticismo di certe interpretazioni, tenacemente avversata per l'approccio metodologico dal Croce, l'opera del F. fu però positivamente valutata, a distanza dalle polemiche vive del periodo, da L. Russo (Ricordo di F. F., in Belfagor, XVI [1961], p. 223). Rimase allo stadio di annunzio un terzo volume sul pensiero politico dantesco che non vide mai la luce, come anche un commento alla Commedia che si arresta al canto XXVI dell'Inferno e che avrebbe dovuto essere pubblicato presso Vallardi.
Intanto dal 1908 il F. tornava all'università di Pisa sulla cattedra lasciata da V. Cian e qui rimase fino alla morte che lo colpì prematuramente in quella città il 17marzo 1922.
Praticò con grande cura e passione l'insegnamento; tra i suoi allievi si contano L. Russo, C. Grabher, C. Pellegrini, N. Busetto, V. Osimo, V. Sgroi.
È da ricordare il suo interesse per la letteratura contemporanea che nasceva, del resto, anche dall'aver assunto la direzione della Rassegna bibliografica della letteratura italiana dal 1910 al 1915, poi dividendo l'incarico con A. Pellizzari (1916-1921).
Notevoli sono gli scritti del F. sul Pascoli per una certa consonanza con il latinista, con il critico, ma soprattutto con il poeta. Il F. andava pubblicando versi dal 1894: Uno sguardo. Patria (Pisa), cui seguirono Il Nant-Nero (ibid. 1895), Eterna Iside (in L'Istruzione, X [1897], 10); Mattino di nozze (in La Gara, 15 genn. 1901); Scintillamenti e tristezze (Padova 1904); Vecchi ritmi: I Evocazione; II, Voce di pianto (in Rivista d'Italia, febbr. 1905); Piccole Ninfe (in Bibl. della scuola ital., s. 3, XI [1905]); Dopo il nembo (Palermo 1906, in seguito alla morte di un suo figlioletto). Versi, secondo il Russo, sostanzialmente di maniera che nulla aggiungono alla fisionomia del Flamini. Più severo il giudizio di G. Marzot: "Il F. dal D'Ancona apprese l'amore dell'indagine minuta; dal Carducci una certa grazia, che però sotto le sue mani si corruppe in una lindura fiorita e in una compassatezza prelatizia, che tolsero nerbo e vivacità al suo pensiero piuttosto timido e frale. Ma nel fondo dell'anima il F. era un poeta pascoliano, con qualcosa di artificioso e di lambiccato" (La critica e gli studi di letteratura ital., in Cinquant'anni di vita intellettuale italiana, 1896-1946..., a cura di C. Antoni - R. Mattioli, Napoli 1950, p. 457).
Di là dalla produzione poetica, è indubbio il tono artificiosamente eloquente della prosa del F., ricca di ampio fraseggiare, di ricercatezze lessicali e sintattiche, di sfoggio di erudizione. Allo scadere del secolo, di fronte agli assalti del Croce e poi della sua scuola, letterati come il F. non poterono che subire critiche e contestazioni, senza riuscire a contrastarle in modo convincente. La polemica tra sostenitori e detrattori della "scuola storica" si sviluppò sulla Voce, sulla Rassegna bibliografica della letteratura italiana e sul Giornale d'Italia e il F. vi partecipò con alcuni scritti (si veda ad es. Contro certi estetizzanti d'Italia. Risposta a B. Croce, in Giornale d'Italia, 1° maggio 1914; Ancora contro certi estetizzanti, ibid., 6 maggio 1914), nei quali ribadiva intera la fiducia in un metodo come quello storico al quale del resto anche il Croce aveva riconosciuto meriti sul terreno dell'analisi filologica e della ricerca documentaria.
Non solo sul terreno letterario, d'altra parte, il F. si era trovato su una sponda opposta rispetto a quella crociana; già nel 1911 si era espresso a favore della spedizione militare in Libia (Una parola serena ed alta sull'impresa di Tripoli, in Corriere toscano di Pisa, 5 nov. 1911) e poi con decisione per l'intervento italiano nella prima guerra mondiale e di sostegno aperto all'impegno bellico. Come si vede una figura non unilineare, pienamente inserita nella vita dell'epoca, ma con una mentalità e una disposizione forse rivolta più al passato che alle trasformazioni profonde che la società e la cultura italiana andavano proprio in quegli anni sperimentando.
Fonti e Bibl.: Un elenco completo degli scritti del F. (sono da ricordare i molti testi per la scuola) è stato curato da E. Santini, in Ricordi e studi in memoria di F. F., Napoli 1931. Sul F. si veda: C. Pellegrini - A. Ciotti, F. F., in Letteratura italiana. I critici, I, Milano 1970, pp. 443-475 (con ampia bibl.); Diz. univ. della letteratura contemporanea, II, Milano 1970, p. 216 (con bibl.).