FONTANA, Francesco
Nacque a Napoli tra il 1580 e il 1590.
Scarse le notizie sulla sua vita; da Lorenzo Crasso apprendiamo che il F. si laureò in legge presso l'università di Napoli, presumibilmente nel primo decennio del 1600, ma, consapevole delle proprie scarse doti forensi, ben presto si dedicò allo studio delle scienze matematiche per seguire una precoce inclinazione. Significativa, in tal senso, la notizia riportata dal Crasso di alcuni suoi tentativi falliti di venire in possesso dei "fragmenti de gli ordigni lasciati dopo la morte di Giovan Battista della Porta" (p. 297)., cioè dopo il 1615, evidentemente per fornirsi di strumenti e attrezzi per l'avvio della sua attività di costruttore di lenti che, iniziata in questo periodo, lo renderà ben presto rinomato negli ambienti scientifici di gran parte d'Europa. Un'indiretta conferma cronologica di questi inizi si ritrova in una lettera del 6 febbr. 1644 di Evangelista Torricelli a Raffaello Magiotti, nella quale una lente per telescopi costruita dal F. viene definita "il meglio che sia stato fatto tra mille vetri nello spazio di 30 anni dal Fontana" (Opere dei discepoli di G. Gafflei, p. 99).
Intorno al 1625 il linceo napoletano Fabio Colonna commissionò al F. ricerche e disegni da eseguire sulla base di osservazioni al microscopio che saranno ricordate nel Persio di Francesco Stelluti e nel carteggio dello stesso Colonna, ricco peraltro di riferimenti ai progressi del F. nello studio dell'ottica e nella pratica della costruzione di lenti sia per il microscopio sia per il telescopio. È del 1629, infatti, una lettera del Colonna a Federico Cesi (30 novembre) in cui troviamo la prima notizia documentata della costruzione da parte del F. del cannocchiale a lenti convesse ("il sig. F. F. ... ha fatto un cannone di otto palmi, con il quale se ben allo rovescio fa vedere la luna et stelle ...", Carteggio linceo, p. 1205) che lo stesso F., invece, vorrebbe far risalire come propria invenzione al 1608.
Importante l'amicizia che il F. strinse col matematico napoletano Giovan Camillo Gloriosi, ritornato a Napoli, dopo circa vent'anni, alla fine del 1624. A partire da questo periodo il Gloriosi sembra incoraggiasse gli studi di astronomia del F., mettendogli a disposizione la propria biblioteca. Interessandosi di astronomia, quasi sicuramente egli era uno dei molti frequentatori della casa dei F., tra i quali si annoverano anche molti gesuiti, come Girolamo Sirsale, Giovan Battista Zupi e Giovan Giacomo Staserio, maestro dello Zupi e fiero oppositore della scuola galileiana. Il nuovo cerchio di amicizie con cui il F. entrò in contatto spiega il suo graduale allontanamento dall'ambiente linceo, in particolare dal Colonna (non esistono riferimenti al F. nel carteggio del Colonna posteriormente al 1630) e, più in generale, dalla ricerca naturalistica, per dedicarsi da allora in poi alla costruzione di lenti per telescopi e alle osservazioni astronomiche. Di qui, inoltre, deriva l'improvvisa notorietà di un artigiano conosciuto fino a quel momento soltanto in ambito napoletano.
La familiarità di cui prese a godere presso numerosi appartenenti alla Compagnia di Gesù favorì, infatti, la rapida diffusione in Italia e all'estero delle notizie sulla sua attività: nel 1634 Athanasius Kircher ne parla in una lettera a Christoph Scheiner - come si deduce dalla risposta di quest'ultimo del 25 marzo 1634 (Carteggio kircheriano, XIII, f 33) - e lo cita nella sua Ars magna (p. 831) come eccellente costruttore di telescopi; dal 1637 in poi il suo nome compare nella corrispondenza di Marin Mersenne, Christian Huygens, Galileo Galilei, Torricelli e altri famosi scienziati. Ma al crescente affermarsi della sua fama di eccellente costruttore di lenti fa riscontro un graduale ridimensionamento dell'attendibilità delle sue osservazioni celesti. Soprattutto dal carteggio galileiano emerge la scarsa preparazione teorica, sia come astronomo sia come matematico., del F. che "col continuo operare e fabricar canocchiali si dice esser caduto in uno di tal singolarità, che per le cose del cielo è un miracolo" (Fulgenzio Micanzio al Galilei, 31 luglio 1638, in Edizione nazionale delle opere di G. Galilei, XVII, pp. 363 s.). In tal senso la collaborazione del F. con valenti matematici (Sirsale, Zupi, Gloriosi e altri) si dimostrerà indispensabile a colmare le sue lacune teoriche.
Nel 1646 il F. raccolse e pubblicò a Napoli le sue osservazioni astronomiche nel breve trattato Novae coelestium, terrestriumque rerum observationes, unica opera data alle stampe (il Crasso, p. 300., gli attribuisce forse erroneamente un trattato, rimasto manoscritto e irreperibile, sulle Forticazioni).
Dedicate al cardinale Camillo Pamphili, le Novae observationes presentano in apertura due attestazioni - la prima del Sirsale e l'altra dello Zupi - la cui autorità era portata a conferma dell'originalità dell'invenzione del telescopio da parte del F. e della fondatezza delle sue osservazioni. L'opera è suddivisa in otto trattati, il primo interamente dedicato al telescopio: dopo un breve excursus sulla storia dello strumento, dai primi rudimentali esemplari dell'antichità fino ai tentativi dei contemporanei, il F. passa a una dettagliata illustrazione delle fasi successive della sua invenzione, delle caratteristiche del proprio canocchiale e delle "novità" astronomiche che, grazie al suo telescopio, ha potuto per primo osservare.
I restanti trattati riguardano in gran parte le presunte "novità" celesti osservate dal F. dal 1629 in poi, accompagnate da un ricco corredo di incisioni eseguite dallo stesso Fontana. Oltre alla conferma della rotazione di quasi tutti i pianeti intorno al loro asse, della variazione di grandezza di Marte in corrispondenza della quadratura con il Sole e della presenza di un numero di satelliti intorno a Giove e a Saturno maggiore di quello fino ad allora osservato, le novità più interessanti riguardano un'accurata descrizione della superficie della Luna, alla quale, peraltro, il F. attribuisce, in opposizione al Galilei, un lume proprio.
Ma l'opera del F., attesa dagli ambienti scientifici come apportatrice di una radicale svolta nell'astronomia, deluse tutte le aspettative, priva com'era di un qualsiasi apparato di argomentazioni e per la superficialità delle osservazioni: assente qualsiasi teoria ottica che desse fondamento scientifico al funzionamento del telescopio e del microscopio, tutto è ridotto a mera descrizione tecnica. Il linguaggio spesso ambiguo che accompagna osservazioni non sempre attendibili e un ingenuo interesse per l'astronomia, giustificato come fuga da una realtà poco gratificante, allontanarono dal F. anche i suoi più strenui difensori, mentre attiravano sull'opera e sul suo autore le ironiche frecciate degli oppositori: "Io ho il libro delle bestialità osservate, o più tosto sognate, da Fontana nel cielo", scriverà il Torricelli a Vincenzo Renieri il 25 maggio 1647 (Opere dei discepoli di G. Galilei, p. 366), e l'astronomo gesuita Giovan Battista Riccioli nel 1651, pur riconoscendo la qualità degli strumenti costruiti dal F., prenderà le distanze dalla maggior parte delle "novità" da lui osservate (Almagestum, pp. 203, 485).
Nel luglio 1656 il F. morì di peste a Napoli, insieme con tutta la numerosa famiglia.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. della Pont. Univ. Gregoriana, Carteggio kircheriano, XIII, p. 33; F. Stelluti, Persio tradotto..., Roma 1630, p. 47; A. Kircher, Ars magna lucis et umbrae, Romae 1646, pp. 16, 831; G.B. Riccioli, Almagestum novum, Bononiae 1651, pp. 203, 208, 485 ss.; L. Crasso, Elogii de gli huomini letterati, II, Venezia 1666, pp. 296-300; C. Huygens, Oeuvres complétes, I, La Haye 1888, ad Indicem; Ediz. naz. delle opere di G. Gafflei, XVII, pp. 192, 308, 363, 375, 383 s.; XVIII, pp. 18, 85; XX, p. 442; Il carteggio linceo della vecchia Accademia di F. Cesi, a cura di G. Gabrieli, in Mem. della R. Acc. naz. dei Lincei, classe di scienze mor. stor. e filol., s. 6, VII (1942), pp. 1008, 1124, 1127, 1131, 1144 s., 1205; Le opere dei discepoli di G. Galilei. Carteggio 1642-48, a cura di P. Galluzzi - M. Torrini, I, Firenze 1975, ad Indicem; M. Mersenne, Correspondance, XV, Paris 1983, ad Indicem; M. Barbieri, Notizie istoriche dei mattematici e filosofi del Regno di Napoli, Napoli 1778, pp. 134-138; P. Napoli-Signorelli, Vicende della coltura nelle due Sicilie, V, Napoli 1786, pp. 222-225; L.M. Rezzi, Sull'invenzione del microscopio, in Atti dell'Acc. Pont. de' nuovi Lincei, V (1852), pp. 108 ss.; R. Cavemi, Storia del metodo sperim. in Italia, I, Firenze 1891, pp. 374-383, 510 ss.; A. Favaro, Galileo e il telescopio di F. F., in Atti e mem. dell'Acc. di scienze lett. ed arti in Padova, n.s., XIX (1903), pp. 61-71; C-V. Varetti, L'artefice di Galileo Ippolito Francini, detto il Tordo, in Rend. della R. Acc. naz. dei Lincei, classe di scienze mor. stor. e filol., s. 6, XV (1939), pp. 254-261; G. Gabrieli, Pratica e tecnica del telescopio e del microscopio presso i primi Lincei, in Rend. della R. Acc. d'Italia, classe di scienze mor. stor. e filol., s. 7, II (1941), pp. 34 ss.; G. Arrighi, Gli "occhiali" di F. F. in un carteggio inedito di A. Santini, in Physis, VI (1964), pp. 432-448; G. Baroncelli, L'astronomia a Napoli al tempo di Galileo, in Galileo e Napoli, a cura di F. Lomonaco - M. Torrini, Napoli 1987, pp. 197-225.