FONTANA, Francesco
Nacque a Pesina (Verona) il 4 febbr. 1794 da Antonio e Elisabetta Brighenti. Dopo i primi studi a Lazise sul lago di Garda, fu iscritto al liceo di Verona, allievo del botanico C. Pollini, per passare poi all'università di Padova, dove si laureò in medicina nel dicembre 1818. Nel 1817 aveva compiuto l'"alunnato" nella farmacia, che in seguito acquistò, a Lazise. Sposò il 15 febbr. 1819 Mattea Giacometti, dalla quale ebbe tre figli: Giovanni Antonio e Alessandro, ambedue farmacisti, e Giuseppe, medico. In seconde nozze si unì il 26 ag. 1828 con Maria Teresa Cavallini, dalla quale ebbe Elisa ed Isabella.
La vita tranquilla gli consentì di coltivare interessi naturalistici, giovandosi dell'amicizia dei Pollini, il quale lo mise in contatto con altri studiosi, quali il paleontologo A. Massalongo e il geologo T.A. Catullo. Quando tra il 1849 e il 1850 l'università di Padova fu chiusa, a causa delle agitazioni studentesche contro il governo austriaco, il F. fu autorizzato ad insegnare privatamente botanica e chimica. Traendo probabilmente ispirazione dal terzo volume della Flora veronese del Pollini (Verona 1822-1824), cominciò ad occuparsi dell'uso della polvere di salice (un glicoside bianco di sapore amaro che cristallizzava in aghi e risultava poco solubile nell'acqua e insolubile nell'etere) nella cura delle febbri intermittenti come farmaco sostitutivo della china. Il 20 dic. 1824 inviava ad A. Cattaneo, redattore del Giornale di farmacia, chimica e scienze accessorie, un breve articolo dal titolo La salicina principio medicamentoso del salice bianco, o base vegetale salificabile (I [1824], pp. 644-658). La scoperta venne segnalata anche da A. Omodei negli Annali universali di medicina (XXXIII [1825], p. 295) e da G. Capsoni, nel Manuale di chimica medica di E. Julia-Fontenelle (Milano 1825, p. 355).
Al F. va dunque senza alcun dubbio attribuito il primato della scoperta della salicina, da lui ritenuta un alcaloide glicosidico, che venne proposta e usata, anche se senza troppo successo, come alternativa terapeutica indigena al chinino, e la cui importanza è legata soprattutto alla promozione degli studi culminati nella individuazione dell'acido salicilico da parte di R. Piria nel 1838. I lavori del Piria ripresi da A.W. Hermann Kolbe porteranno poi con F. Hoffinann, chimico della casa farmaceutica Bayer, alla sintesi nel 1899 dell'acido acetil-salicilico. Il primato del F. è stato però solo parzialmente riconosciuto dalla letteratura, che in generale ha attribuito la scoperta della salicina a P.-J. Leroux (1795-1870), il quale in effetti presentò nel 1829 all'Académie des sciences di Parigi una memoria in cui illustrava un metodo di estrazione della salicina dalla corteccia di Salix helix. Tale memoria fu considerata dal Piria, nei suoi lavori pubblicati a partire dal 1838 (Sur la composition de la salicine et sur quelques unes de ses réactions, in Comptes-rendus de l'Acadèmie des sciences, VI [1838], p. 338; Recherches sur la salicine et les produits qui en dérivent, ibid., VIII [1839], pp. 479-485), come la prima trattazione scientifica su tale alcaloide.
Questa opinione, benché contrastata e contraddetta in numerose pubblicazioni italiane, fu poi generalmente adottata dalla letteratura internazionale (M. Gros - L.A. Grendberg, The salicilates, critical bibliographic review, New Haven 1948; H. Buess - H. Balmer, Carl Emil Buss (1849-1878) und die Begründung der Salicyäure-Therapie, in Gesnenis, XVIII [1961], p. 149) e solo recentemente corretta (cfr. per es. M. Bariét - Ch. Coury, Histoire de la médecine, Paris 1963, p. 903). Lo stesso Piria, per la verità, nei suoi lavori editi in italiano aveva precisato che "primi ad intraprendere esperienze di tal genere furono Brugnatelli e Fontana", che "giunsero ad ottenere allo stato impuro il principio attivo di quella corteccia" (in Lavori scientifici e scritti vari raccolti da D. Marotta, Roma 1932, p. 161); ma criticava la scelta del Salix alba, contenente "una quantità quasi inapprezzabile della sostanza attiva", mentre più felice era stata, a suo avviso, la scelta del Salix helix di Leroux, il quale era stato in grado di sfruttare la scoperta sul piano industriale.
Nel 1825 il F. iniziò insieme con il Pollini una collezione di molluschi acquatici e terrestri; fra questi l'Helix pomatias e l'Helix scalaris, specie rare in quei luoghi, nonché alcune bivalvi del lago di Garda. La raccolta, affidata a L. Menegazzi, andò in seguito perduta. Nel 1826 si occupò di una fonte minerale termale nei pressi di Lazise (Analisi dell'acqua minerale di Lazise detta acqua delle Pissarole, Verona 1826), in appendice alla quale pubblicò il catalogo dei vegetali spontanei di detta località.
Aveva anche iniziato un voluminoso erbario relativo al Monte Balbo e ad altre località del Veneto e d'Europa, contenente oltre 5.000 specie, che però andò disperso. In campo più strettamente farmacologico estrasse dal Melitato officinalis una sostanza cristallina che utilizzò per varie malattie; si occupò dell'analisi del fulmicotone, soprattutto in rapporto alla polvere da sparo. Trovò a Lazise, così come T. Catullo nei dintorni di Maicesine, alcuni esemplari di Ammoniti; scoprì anche una nuova orchidea, poi denominata Serapias Fontana. Tutte queste osservazioni minori, mai da lui pubblicate, furono tuttavia ricordate dai suoi biografi quali espressioni di una sua costante "curiosità naturalistica".
Sulla Gazzetta eclettica del 1835, quotidiano veronese divenuto di un certo rilievo quando tutti gli altri periodici furono aboliti dall'autorità austriaca, il F., chiamato talvolta a perizie medico legali, raccontava di un misterioso incidente che aveva provocato la morte per asfissia di alcuni pescatori, attribuendone la causa al "gas carbonico" zampillato dal fondo del lago. Per conto dell'Accademia di agricoltura, scienze, lettere, arti e commercio di Verona si occupò anche di meteorologia, della determinazione del livello del lago di Garda, e compì osservazioni sulla fauna e sul ripopolamento di questo lago. Nel 1843 fu incaricato dell'analisi delle acque termali di Caldiero e i risultati furono pubblicati nel 1852 da S. Castelli (Le antiche terme di Giunone in Caldiero. Cenni storico-medici, Verona 1852). Inedito è rimasto lo scritto Lazise. Studi storico-scientifici (ms. del 1863 presso la famiglia Fontana a Lazise).
Il F. morì a Lazise il 25 ott. 1867.
Fonti e Bibl.: Verona, Bibl. civica, Manoscritti, bb. 216, 475, 1503; Ibid., Arch. dell'Ace. di agric. scienze e lett., mss. B 15, B IV 34, B XX 5, B 138, B V 9, B V 53, B V 76; I. Cantù, L'Italia scientifica contemp., Milano 1844, passim; D.L. Mazzanti, Sul potere antifebblile della salicina, Roma 1844, pp. 9 s.; F. Verardini, Della salicina contro le tifoidee nell'uomo, in Boll. delle scienze med. di Bologna, s. 5, VIII (1869), pp. 435 ss.; Id., Uteriori studi intorno l'uso della salicina nelle tifoidee dell'uomo e raffermazioni di primato, ibid., XXIV (1877), pp. 11-32; L. Gaiter, Rivendicazione della scoperta della salicina al chimico F. F. veronese..., in Mem. dell'Acc. di agric, comm. ed arti di Verona, LV (1878), pp. 90-104; A. Goiran, Di C. Tonini, dei suoitempi e delle sue opere, 1803-1877, ibid., LXIV (1888), pp. 264 s.; P.A. Saccardo, La botanica in Italia, Venezia 1901, pp. 49 s.; V. Cavazzocca Mazzanti, F. F. e il centenario di una medicina, in Gazzettino illustrato (Venezia), 30nov. 1924, p. 11; G. Agostini, Lazise nella storia e nell'arte, Verona 1925, pp. 240 ss. (ritratto a p. 153); V. Cavazzocca Mazzanti, F. F. e la scoperta della salicina, in La chimica nell'industria, nell'agricoltura..., Modena 1933, pp. 473 ss.; L. Biasi, Rivendicazione della scoperta della salicina, in Il Farmacista italiano..., s. 2, I (1933), 2-3, pp. 132 ss.; V. Cavazzocca Mazzanti, L'opera scientifica del farmacista F. F. e la scoperta della salicina, in Archeion, XVI (1934), pp. 284-297; Id., F. F., in La Scienza del farmaco, V (1937), p. 12; VI (1938), p. 1; Dict. encycl. des sciences médicales, VI (1878), pp. 270-274.