FROLA, Francesco
Nacque, presumibilmente a Torino, il 28 giugno 1886 da Secondo, deputato e poi sindaco di Torino, e da Luisa Balbis. Dopo la laurea in legge, conseguita presso l'università di Torino, emigrò, anche per discordie in famiglia, in Argentina, dove, lavorando come impiegato e operaio, svolse un'intensa attività propagandistica contro lo sfruttamento dei lavoratori italiani. Tornato in Italia nel 1911, s'iscrisse al Partito socialista italiano.
Pubblicò due romanzi a contenuto sociale, La vita di un uomo (s.l. s.d., ma 1911 o 1912) e Il trionfo della follia (1914), ma soprattutto si dedicò all'attività politica. Collaborò all'Avanti! e diresse il settimanale La Battaglia di Chivasso, come pure organizzò cooperative, leghe e biblioteche. Chiamato alle armi come sottotenente di complemento nel 1915, partecipò a Torino, insieme con Angelica Balabanoff e Angelo Tasca, a una manifestazione contro la guerra. Per tali attività le autorità militari lo degradarono a soldato semplice.
Dopo il conflitto, al quale partecipò riconquistando il grado di tenente per meriti di guerra, divenne membro del comitato esecutivo della Federazione socialista della provincia di Torino. Si occupava prevalentemente del lavoro propagandistico a livello provinciale, denunciandone l'insufficiente organizzazione in campagna e suggerendo di nominare un apposito comitato di propaganda. Un analogo lavoro egli svolse, nel gennaio del 1920 e per incarico del partito, nella provincia di Udine.
Nello stesso 1920 si tenne a Bologna il congresso nazionale del PSI, in cui risultò vittoriosa la corrente massimalista elezionista sugli astensionisti e centristi-riformisti. Esponente della corrente maggioritaria della delegazione torinese, il F. intervenne esprimendo le posizione dei massimalisti, lodò l'opera di Lenin e del comunismo e paragonò i moti contro il carovita, esplosi nell'estate del 1919 in tutta Italia, agli avvenimenti che avevano portato alla rivoluzione d'Ottobre.
Il 1920 finì con le elezioni politiche, nelle quali egli fu eletto deputato per il collegio di Torino. Intervenne poco in Parlamento, anche perché il suo mandato finì con lo scioglimento delle Camere nel 1921 e non fu rinnovato: si occupò prevalentemente di problemi militari.
Nel XVII congresso nazionale, che ebbe luogo a Livorno nel gennaio del 1921, ricoprì la funzione di segretario.
Egli sostenne la mozione di Firenze, proposta dalla frazione del "comunisti unitari", che accettavano i 21 punti di Lenin per l'adesione all'Internazionale comunista, pur mantenendo la denominazione socialista e senza espellere i riformisti. Vinsero gli "unitari", e i "comunisti puri" abbandonarono il congresso per fondare il Partito comunista d'Italia. L'anno dopo seguì la scissione di Roma dalla quale nacque il Partito socialista unitario (PSU). Questo partito, al quale aderì il F., divenendo membro del direttivo centrale e delegato regionale del Piemonte, accettava la democrazia parlamentare, seguendo una linea gradualista e di collaborazione con le altre classi.
Il F. partecipò al convegno nazionale del PSU a Roma, svoltosi alla fine di marzo 1925, e prima ancora al congresso provinciale piemontese; egli prospettava la fondazione di un nuovo partito che, sotto il nome di Partito del lavoro, avrebbe potuto raccogliere tutti i lavoratori italiani sotto un'unica bandiera. Nello stesso tempo rassicurava i contadini nello scritto I contadini piccoli proprietarie il Partito socialista unitario (Roma s.d., ma 1924 o 1925) di non voler distruggere la piccola proprietà.
A fine luglio dello stesso anno emigrò in Francia, stabilendosi in un primo momento a Tolosa. Ivi svolse diverse attività: fondò, in collaborazione con il Crédit franco-italien, una filiale della Banca popolare italiana di Torino, con lo scopo di agevolare l'erogazione di prestiti ai lavoratori italiani in Francia, e fu consigliere delegato e direttore dell'istituto fino ai primi mesi del 1926. Trasferitosi a Parigi, collaborò per alcuni mesi al quotidiano antifascista Il Corriere degli Italiani. Invitato poi dagli ambienti antifascisti di San Paolo del Brasile a dirigere il loro giornale La Difesa, egli lasciò la Francia.
Su pressione del governo fascista le autorità brasiliane impedirono al F., cui era stata tolta la cittadinanza italiana e cui erano stati sequestrati i beni con decreto del 30 sett. 1926, l'ingresso nel paese. Egli riuscì tuttavia a penetrarvi clandestinamente, riprendendo la sua attività propagandistica.
All'inizio del 1929 ebbe l'occasione di dissipare i malintesi sorti all'interno del movimento antifascista in Brasile; si contendevano il diritto di rappresentare la Concentrazione da una parte la Lega italiana dei diritti dell'uomo e dall'altra la Lega antifascista, presieduta dal F. fin dal gennaio del 1927.
Verso la fine del 1929 tornò in Francia, in qualità di corrispondente di un giornale brasiliano. Dopo alcuni mesi il F. volle ritornare in Brasile, ma il consolato brasiliano gli negò il visto. Decise allora di recarsi in Argentina, dove giunse nel maggio 1930. Riorganizzò il movimento antifascista di Buenos Aires, tentando di unificare i diversi gruppi politici, rivolgendosi in particolare alle correnti unitaria e massimalista. Questa fusione gli riuscì in parte nel novembre dello stesso anno. Accanto a questo impegno, teneva conferenze, collaborava, insieme con Arturo Labriola, a La Patria degli Italiani, fondava riviste e quotidiani, quali La Giustizia e Il Risorgimento.
Il F. ripartì per San Paolo agli inizi del 1931, trovandosi in una situazione difficile. Da una parte i disaccordi negli ambienti antifascisti, da quando aveva lasciato il Brasile, non erano diminuiti, sicché l'unificazione dei diversi gruppi risultava quasi impossibile; dall'altra anche le sue risorse finanziarie erano terminate. Alla fine il suo impegno nella fondazione e nello sviluppo del partito socialista brasiliano gli valse l'espulsione dallo Stato di San Paolo. A Rio de Janeiro, dove si trasferì, le sue condizioni non migliorarono. Tentò quindi, con l'aiuto di G.E. Modigliani, rappresentante del PSI nell'Internazionale socialista, di andare in Messico. Qui all'inizio del 1938 ottenne un incarico di insegnamento nell'università nazionale di Città del Messico.
Accanto all'attività didattica e scientifica come professore di economia e come consulente governativo in questioni di educazione operaia, di economia del lavoro e della previdenza sociale, il F. continuò a svolgere propaganda politica e importanti funzioni organizzative anche in campo internazionale. Da una parte difese, soprattutto sulla stampa periodica, il governo messicano che dalla metà degli anni '30 si era accinto a una politica di profonde riforme sociali ed economiche. Dall'altra parte tentava di aiutare i rifugiati italiani in Francia e in altri paesi, facendo loro aprire la via per il Messico; organizzò prima la Lega antifascista italiana e la Federazione di antifascisti stranieri in Messico, e più tardi, nel novembre del 1941, l'Alleanza internazionale Giuseppe Garibaldi per la liberazione dell'Italia. L'alleanza fu fondata insieme con i comunisti Mario Montagnana e Vittorio Vidali e si contrappose alla Mazzini Society di New York, di tendenza repubblicano-democratica. Su sua iniziativa inoltre, il Partito socialista italiano in Messico, fondato nel 1941 e presieduto dal F., strinse un patto con i comunisti italiani ivi residenti.
Il pieno inserimento nella vita politica e sociale del Messico, ove era stato naturalizzato nella primavera del 1940, non lo trattenne dal ritornare in Italia, appena gli fu possibile, il 15 apr. 1946.
Dopo il suo ritorno contribuì con una serie di scritti al dibattito politico (Guida del lavoratore socialista, Torino 1947; Il vecchio scemo e i suoi compari, ibid.), in cui ripercorreva gli sviluppi politici tra il 1944 e il 1945 (Lettera aperta ai compagni socialisti del Piemonte, ibid.) e alcuni ricordi biografici (Vent'anni d'esilio, ibid. 1948). Criticò le interferenze politiche degli angloamericani e accusò alcuni rappresentanti della classe politica italiana di sudditanza; si pronunciò inoltre per l'unità del proletariato, auspicando la fusione tra partito socialista e partito comunista. Insistette anche in seguito in questo indirizzo unitario, rimproverando però ai dirigenti dei partiti di Sinistra di aver favorito, con la concessione del voto alle donne, la conquista del potere da parte dei cattolici e di indulgere a metodi personalistici tipici del fascismo. L'ultimo suo scritto è un commento al mancato scatto della legge maggioritaria nelle elezioni politiche del giugno 1953 (La disfatta di De Gasperi, ibid. 1953).
Non sono noti data e luogo di morte.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Casellario politico centrale, busta 2188; Ibid., Min. dell'Interno, Pubblica Sicurezza, Rapporto della Prefettura di Torino (27 marzo 1925), busta 142, fasc. K5: Partito socialista; A.A. Quaglino, Chi sono i deputati socialisti della XXV legislatura, Torino 1919, ad nomen; Avanti!, ed. piemontese, settembre-ottobre 1919; Resoconto stenografico del XVII Congresso nazionale del Partito socialista italiano, Livorno, 15-20 genn. 1921…, Milano 1926, p. 11; F. Turati - A. Kuliscioff, Carteggio, V, 1919-1922, Torino 1977, pp. 387 s., 390; Ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano, Attività parlamentare dei socialisti italiani, VI, 1919-1921, Roma 1989, pp. 28, 410, 432; A. Garosci, Storia dei fuorusciti, Bari 1953, ad nomen; C.F. Delzell, Il fuoruscitismo italiano dal 1922 al 1943, in Il Movimento di liberazione in Italia, XXIII (1953), p. 35; Il Partito socialista italiano nei suoi congressi, a cura di F. Pedone, III, 1917-1926, Milano 1963, pp. 108, 124 s., 159; Il movimento operaio ital., Diz. biogr., a cura di F. Andreucci - T. Detti, II, Roma 1976, p. 397; A. Agosti - G.M. Bravo, Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali in Piemonte, II, L'età giolittiana. La guerra e il dopoguerra, Bari 1979, pp. 357, 400; A. Baldini - P. Palma, Gli antifascisti italiani in America (1942-1944). La "legione" nel carteggio di Pacciardi con Borgese, Salvemini, Sforza e Sturzo, Firenze 1990, ad nomen.