Francesco Fuoco
Il contributo analitico di Francesco Fuoco è stato per un lungo periodo offuscato dalla querelle filologica nota come caso Fuoco, che ha concentrato l’attenzione degli studiosi nei limiti angusti di una polemica sull’attribuzione di alcune opere pubblicate sotto il nome di Giuseppe de Welz e delle quali lo stesso Fuoco aveva rivendicato la paternità. Questo dibattito filologico ha finito per far passare in secondo piano il contributo analitico di Fuoco che si caratterizza come un’efficace sintesi tra la tradizione della mathématique sociale e i temi dell’economia classica, in particolare la teoria della rendita e della distribuzione.
Nato a Mignano, presso Caserta, il 12 gennaio 1774, nell’ultimo decennio del 18° sec., una volta nominato sacerdote, Fuoco si trasferisce a Napoli. Nella capitale partenopea completa la sua formazione, orientata sia verso la letteratura e la filologia sia verso la filosofia, lo studio delle scienze naturali e la matematica. Coinvolto nella rivoluzione del 1799, viene imprigionato a Pantelleria.
Graziato dopo la pace di Firenze del 1801, rientra a Napoli (ma non è certa la data del suo rimpatrio) e riceve vari incarichi di insegnamento. In questi anni i suoi interessi sono eterogenei, indirizzati per lo più verso la letteratura italiana, la filologia classica e moderna, le scienze matematiche, la geografia e l’astronomia, secondo un percorso di erudizione ancora fortemente legato al modello settecentesco.
Costretto all’esilio per aver partecipato ai moti costituzionalisti del 1820-21, Fuoco ripara prima a Trieste e poi a Parigi, dove giunge alla fine del 1821. Nella capitale francese frequenta il ciclo delle lezioni di économie industrielle tenute da Jean-Baptiste Say (1767-1832) al Conservatoire national des arts et métiers, entrando in contatto con esponenti della nuova cultura economica industrialiste e con le grandi sintesi analitiche di Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy (1754-1836) e di Heinrich Friedrich von Storch (1766-1835). È su questo terreno che si realizza la collaborazione tra Fuoco e Giuseppe de Welz (1785-1839), uomo d’affari comasco calato a Napoli insieme alle armate francesi ed entrato poi in relazione con l’amministrazione finanziaria del restaurato regno borbonico. Il primo frutto di questa collaborazione è il Saggio su i mezzi da moltiplicare prontamente le ricchezze della Sicilia, pubblicato a Parigi nel 1822 a firma di de Welz. Il Saggio è seguito da aspre polemiche, a cui risponde lo stesso Fuoco con il Comento di comento (firmandosi F. N.). Ma il Comento resta solo un momento di passaggio verso La magia del credito svelata, pubblicata a Napoli nel 1824 (di nuovo a firma di de Welz), l’opera che più compiutamente esprime la collaborazione tra Fuoco e de Welz e che sintetizza in un quadro teorico sistematico il modello di sviluppo proposto per la Sicilia.
Dalla fine del 1824 Fuoco trova rifugio in Toscana, a Pisa, dove collabora con la rivista «Nuovo giornale de’ letterati» e pubblica un importante saggio sulla teoria della rendita di David Ricardo. Completa la sua maturazione di economista con la pubblicazione della prima serie dei Saggi economici (1825-1827), che sono senz’altro il suo contributo più sistematico all’analisi economica. La seconda serie avrebbe dovuto trattare l’economia come scienza di applicazione, ma questa parte del suo programma viene realizzata solo parzialmente, con la pubblicazione dell’Introduzione allo studio della economia industriale (1829).
Rientrato a Napoli nel 1826, Fuoco anima varie iniziative editoriali per la diffusione e la divulgazione della scienza economica, dedicandosi a traduzioni delle opere di John Loudon McAdam (ancora sotto il nome di de Welz) e di James Mill. Nel 1828 si rompe definitivamente il sodalizio con de Welz, in seguito alla partenza di questi da Napoli. Dal 1831 Fuoco rivendica insistentemente la paternità delle opere pubblicate sotto il nome di de Welz, di cui tenta la riedizione.
In questi ultimi anni della sua vita, l’attenzione verso i temi della scienza economica cede il passo alla ripresa degli interessi pedagogici e filologici. Torna su temi economici solo nel 1834, con il saggio Le banche e l’industria, l’ultima sua opera di economia di una certa importanza, scritta per contrastare la febbre speculativa che caratterizza l’economia napoletana di quegli anni. Muore a Napoli il 2 aprile 1841.
Il contributo analitico di Fuoco si colloca nell’ambito dei diversi tentativi teorici finalizzati a costruire una scienza razionale e positiva della società su basi analoghe a quelle delle scienze naturali e rigorosamente fondata sul linguaggio matematico. Un programma scientifico avviato, com’è noto, dal marchese di Condorcet (Tableau général de la science qui a pour objet l’application du calcul aux sciences politiques et morales, 1793), che nel decennio rivoluzionario francese aveva trovato un nuovo importante nucleo di diffusione nella Classe des sciences morales et politiques dell’Institut de France, sotto la direzione metodologica e filosofica degli idéologues.
Fu proprio attraverso l’influenza degli idéologues che Fuoco assorbì non solo l’eredità della mathématique sociale ma lo stesso pensiero smithiano, assimilato in modo critico e non nella sua riduzione dogmatica, come accadrà per la vulgata liberista degli anni Trenta del 19° secolo. Si trattava quindi di uno smithianesimo corretto e mediato da sintesi critiche come quelle di Germain Garnier (1754-1821) o Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi (1773-1842), o da interpretazioni originali come quelle di Nicolas-François Canard (1750-1833) e di Say. Questa lettura neo-smithiana, soprattutto nella versione ideologica di Canard (Principes d’économie politique, 1801), ebbe particolare fortuna a Napoli, come dimostra la sintesi di Luca Cagnazzi de Samuele (Elementi di economia politica, 1813).
La mediazione offerta dalla mathématique sociale combaciava perfettamente con le caratteristiche intellettuali di Fuoco, approdato all’economia politica dopo una formazione prettamente ‘scientifica’ di impostazione ‘naturalistica’ nel campo della matematica e della fisica. A favorire questa ‘contaminazione’ tra l’ambiente intellettuale napoletano e gli idéologues francesi, che avevano ripreso – anche in modo critico – l’eredità di Condillac (in particolare del suo trattato Le commerce et le gouvernement considérés relativement l’un à l’autre, 1776), fu anche la presenza diretta a Napoli di esponenti eminenti dell’Institut de France, come Pierre-Louis Roederer (1754-1835). Le idee degli idéologues furono ampiamente diffuse a Napoli anche attraverso riviste come la «Biblioteca analitica», il cui programma scientifico si richiamava esplicitamente alla filosofia di Destutt de Tracy.
Sarà proprio il peso di questa tradizione a rendere difficile e problematico il rapporto con la svolta metodologica avviata da Say con il Traité d’économie politique (1803). Com’è noto, all’interno del gruppo degli idéologues il pensiero di Say segnò una discontinuità rispetto all’approccio logico-deduttivo, respingendo ogni tentativo di assimilazione e riduzione dell’analisi economica all’unico modello delle scienze fisico-matematiche. Il risultato di questa reazione, che in parte coincise con la sconfitta politica del progetto illuministico, condusse al rifiuto di tutte le costruzioni intellettuali non provate dall’esperienza, che furono polemicamente chiamati systèmes.
L’avversione per i metodi matematici portò Say a concepire una scienza economica basata essenzialmente sull’osservazione dei fatti (considerando la statistica come una disciplina ausiliaria), sulla classificazione e sulla definizione di leggi fondate su regolarità empiriche, imitando lo schema metodologico in uso nella biologia e interpretando la realtà economica nei termini di un organismo vivente (Ingrao, Israel 1987). Tuttavia, nonostante la posizione di Say, la visione degli idéologues resterà saldamente ancorata a una concezione dell’economia politica come scienza essenzialmente deduttiva. Il contributo di Fuoco si colloca nell’ambito di questa grande lacerazione e ne subisce tutta la portata.
Il sistema analitico che emerge dalla lettura dei Saggi economici è quindi collocabile nella tradizione della mathématique sociale, sulla quale Fuoco innesta alcuni temi che appartengono al nucleo dell’economia classica, e in particolare la teoria della rendita e della distribuzione di Ricardo. È su questi due temi che Fuoco raggiunge il massimo punto di contatto con il dibattito che si svolge in quegli stessi anni tra le due coste della Manica.
L’importanza dei Saggi deriva proprio da questa loro natura composita; si potrebbe dire che essi registrano un momento di grandi ed epici contrasti tra opposte visioni. Innanzitutto il contrasto, ormai inconciliabile, all’interno della scuola degli idéologues tra due diverse metodologie analitiche, un contrasto consumatosi dopo la svolta metodologica compiuta da Say con il suo Traité. In secondo luogo la lotta titanica tra lo stesso Say e Ricardo nel contendersi l’eredità di Adam Smith, e quella, ancora più netta, che oppose Ricardo a Thomas R. Malthus (1766-1834) e che proseguirà per tutti gli anni Venti e Trenta con l’attacco alla teoria del valore-lavoro e alle principali conclusioni del sistema ricardiano. Proprio nel 1825 cominceranno a manifestarsi diverse posizioni che emergeranno più compiutamente nel decennio seguente e che saranno poi destinate rapidamente a esaurirsi con la nuova sintesi operata da Nassau W. Senior (1790-1864) e John Stuart Mill (1806-1873).
È utile rilevare che Fuoco si discostava criticamente da molte concezioni di Ricardo, non solo sul tema del valore-lavoro e della formazione del prezzo ma anche sulla questione dei costi comparati, mentre ignorava del tutto l’ultima posizione ricardiana sul problema dell’introduzione delle macchine. Non per questo, però, bisogna sottovalutare l’importanza che nella storia del pensiero economico italiano rivestono l’interesse suscitato dalla teoria di Ricardo nella riflessione di Fuoco e la capacità di quest’ultimo di assimilare, anche in forma critica, molti dei concetti che la cultura economica anglosassone andava definendo in quegli anni.
Per il resto, l’analisi di Fuoco resta saldamente influenzata dalla sistemazione data alla scienza economica dalla scuola degli idéologues, soprattutto per il metodo di ricerca e per la centralità assegnata alle categorie del bisogno e dell’utilità.
In coerenza con i dettami della mathématique sociale, l’analisi di Fuoco si indirizza verso la costruzione di principi fondati sulla «lingua universale» della matematica. Nonostante il suo sviluppo ancora immaturo, l’economia politica, per Fuoco, fa parte delle «scienze esatte». Diversamente delle «scienze morali», il suo oggetto non è lo studio del caso particolare e mutabile, ma la costruzione di principi e di «regole generali». Il metodo deduttivo, tuttavia, non ignora il caso particolare, lo considera semplicemente come un’applicazione di un principio generale, che può anche essere il risultato di una «cagione disturbatrice» (Saggi economici, t. 2, 1827, p. 63). Tutto ciò che però è soltanto contingente e particolare dev’essere necessariamente trascurato (p. 64). Anche l’economia politica, com’è successo per le altre scienze esatte, deve quindi rompere ogni subordinazione all’empirismo e servirsi di dottrine astratte per formulare i propri principi. Secondo Fuoco, la strada indicata dalla mathématique sociale è quella più corretta per esprimere i concetti economici. La revisione metodologica avviata dalla critica di Say è un errore destinato a creare solo confusione in una scienza che appare ancora molto debole nei suoi fondamenti analitici, e facilita il compito di coloro che, come l’italiano Melchiorre Gioia, intendono espellere definitivamente dalla scienza economica qualsiasi richiamo a una concettualizzazione deduttiva. Tuttavia bisogna anche fuggire dall’errore opposto, che è quello di trasformare la teoria economica in un linguaggio puramente formale senza alcun contenuto reale: «L’astrazione – osserva ancora Fuoco – non deve essere tale che per essa le quantità cangino di natura, e divengano financo impossibili» (Saggi economici, t. 2, cit., pp. 86-87).
Seguendo il metodo deduttivo, la complessità della vita economica reale può essere scomposta in pochi e semplici elementi che formano ‘l’oggetto’ dell’analisi economica.
Il primo elemento che Fuoco individua è il concetto di bisogno, definito come «il desiderio di procurarsi un comodo, un piacere, di prolungarlo quando se ne gode; di rinnovarlo quando è scomparso» (Saggi economici, t. 1, 1825, p. 195). Si tratta di una visione legata al tardo sensismo di Condillac, e che sarà riaffermata con forza dalla sintesi operata agli inizi del secolo da Destutt de Tracy. Al concetto di bisogno Fuoco aggiunge quello di forza, elaborato nell’ambito delle nuove correnti intellettuali industrialistes, destinate ad avere grande influenza nella seconda metà del secolo. I due concetti, secondo Fuoco, sono strettamente connessi nell’ambito della reale vita economica: è il bisogno che guida l’uomo a elaborare strumenti idonei a trasformare e asservire la natura, in modo da poterla piegare ai propri scopi, e che determina il ritmo stesso dell’accumulazione. E questa combinazione necessaria tra forza e bisogno trova la sua espressione materiale nel lavoro.
Entro i limiti del bisogno e della forza si muove l’attività economica dell’uomo, e il lavoro come suo risultato ne costituisce il fondamento etico. Su di esso si costruisce l’ordine sociale, retto dalla «reciproca benevolenza». Il fondamento etico dell’economia non è tuttavia definito sulla base di istituti giuridici o religiosi, ma è il prodotto spontaneo della cooperazione che si stabilisce una volta definita la divisione del lavoro. In questa prospettiva, tutto quello che non è giustificato dal lavoro, come la rendita o la circolazione improduttiva del denaro, non solo non ha fondamento etico, ma è anche un ostacolo alle forze produttive.
I bisogni sono soddisfatti con il consumo di prodotti che hanno un valore. Sul tema controverso del valore l’argomentazione di Fuoco è complessa, rispecchiando in gran parte la maturazione, ma anche la confusione di indirizzi, a cui è giunta la riflessione grazie al contributo degli economisti classici inglesi.
Le interpretazioni che hanno ricondotto Fuoco entro una prevalente influenza ricardiana si sono basate essenzialmente sulla lettura del primo saggio sulla rendita, in cui è più forte l’imitazione del linguaggio di Ricardo. Ma negli altri saggi, soprattutto quelli contenuti nel secondo tomo (1827), quest’influenza ricardiana risulta meno marcata, e fanno la loro comparsa nell’argomentazione elementi teorici desunti dal dibattito critico sulla teoria del valore-lavoro di Ricardo. Decisamente meno confusa è la riproposizione classica della distinzione tra prezzo naturale e prezzo di mercato, che è estranea all’argomentazione del tardo Settecento francese e appare decisamente sfumata in Say.
Individuato il principio regolatore della ricchezza nel bisogno, Fuoco affronta il tema della distribuzione della ricchezza, respingendo ogni eccesso di carattere moralistico e condannando con estrema durezza tutte quelle posizioni che, in nome del primato dell’etica e negando la realtà economica, mirano a «introdurre il romanticismo anche nell’inviolabile santuario delle scienze» (Saggi economici, t. 2, cit., p. 213), con l’effetto di produrre nocive politiche economiche.
La realtà economica, che Fuoco non ignora, è fatta di antagonismo distributivo, di disequilibri tra popolazione e risorse che comportano accumulazione di privilegi da un lato e povertà dall’altra. Tale antagonismo è colto interamente dalla teoria della rendita, che offre a Fuoco uno strumento analitico formidabile per comprendere come la contrapposizione tra classi nella distribuzione del prodotto sociale sia una conseguenza inevitabile dello sviluppo economico e sia l’elemento centrale su cui deve concentrarsi l’analisi economica. Su questo punto Fuoco mostra piena consapevolezza analitica sia delle teorie di Ricardo sia del dibattito serrato tra quest’ultimo e i suoi più grandi contraddittori, Malthus e Say. Questa consapevolezza accomuna senza dubbio Fuoco al nucleo analitico classico-ricardiano e lo separa nettamente dalle visioni ‘armoniche’ che saranno elaborate nell’ambito della nuova sistemazione sayana della scienza economica, di cui largamente debitrice sarà la nuova économie sociale.
Impegnato a difendere il carattere deduttivo della scienza economica, Fuoco trova nella ‘nuova teoria’ della rendita una conferma della validità della tradizione di mathématique sociale. Di questa teoria egli intende presentare al pubblico una nuova esposizione, «spogliando la dottrina di tutte le astrazioni metafisiche e tracciandola nei sensi più semplici e più palpabili» (Saggi economici, t. 1, cit., p. 6).
Il nucleo di questa nuova dottrina è dato dal concetto di rendita differenziale, che viene esteso da Fuoco anche alle produzioni industriali, seguendo e sviluppando alcune considerazioni di Malthus. Il principio differenziale, quindi, opera allo stesso modo sia nell’agricoltura sia nell’industria, sempre attivato da una differenza di qualità che si traduce in un sovrappiù appropriabile. Tuttavia, nel settore industriale la differenza di qualità è destinata nel tempo a sparire per effetto del processo di imitazione e di riproduzione delle condizioni di produzione più efficienti, a meno che non vi siano condizioni di monopolio e di non riproducibilità, come nel caso di talenti geniali (l’analogia con il concetto marshalliano di quasi-rendita è evidente: Fasiani 1937, pp. 47-48).
Anche se la differente fertilità della terra è l’elemento chiave che spiega la natura della rendita, la stessa fertilità non compare «come elemento di calcolo» quando si «vuole assegnare un prezzo naturale de’ prodotti al suolo». Il prezzo naturale o necessario dei prodotti agricoli dev’essere tale da coprire esattamente il costo del lavoro e del capitale (o lavoro accumulato) impiegati nella produzione. Se il prodotto è sufficiente a soddisfare i bisogni, il prezzo venale (contingente o di mercato) si identifica con il prezzo naturale, ma nel caso di un aumento della popolazione, con conseguente crescita del bisogno, il prezzo di mercato dovrà necessariamente aumentare.
Il richiamo al prezzo di mercato come causa attiva della rendita serve a ricondurre la teoria della distribuzione al principio regolatore del bisogno, la nozione universale su cui è costruito il sistema teorico di Fuoco. Del resto, l’intero meccanismo di formazione della rendita è messo in moto da un aumento dei bisogni indotto dall’incremento della popolazione. Si tratta quindi di una teoria che ha elementi di affinità con la complessa posizione di Malthus, che Fuoco definisce «la più elegante, e la più esatta spiegazione delle vicende della rendita [che] scopre i vari motivi della prosperità, o della decadenza dell’industria de’ popoli» (Saggi economici, t. 1, cit., p. 92).
La teoria della rendita permette a Fuoco di superare una visione astratta dei rapporti distributivi, inserendola in una dimensione reale in cui l’antagonismo tra le classi nella distribuzione del prodotto sociale diviene una conseguenza inevitabile dello sviluppo economico e acquista un ruolo centrale nella scienza economica. A una società immobile, ristretta nell’angusta visione statica dell’equilibrio e dell’armonia, Fuoco sostituisce uno scenario dinamico (Saggi economici, t. 1, cit., p. 56).
In questo contesto di compatibilità, la distribuzione del prodotto sociale ha ovviamente carattere antagonistico: salario e profitto sono quote di reddito che hanno un limite inferiore invalicabile rispettivamente nella sussistenza e nel profitto necessario, mentre la rendita è la quota parte che non ha questo limite.
La conclusione è perfettamente ricardiana: i proprietari terrieri migliorano la loro posizione distributiva sempre a scapito di capitalisti e salariati; la riduzione del peso della rendita come quota parte del reddito nazionale va a vantaggio del processo di accumulazione. L’unico strumento con cui è possibile ridimensionare la rendita è l’introduzione di una maggiore concorrenza nel settore fondiario, che ha come immediata conseguenza la riduzione del prezzo di mercato dei prodotti agricoli. Questa riduzione resta l’unica via mediante la quale è possibile abbattere la rendita, ma Fuoco rimane lontano dal dottrinarismo che caratterizza alcune posizioni favorevoli al liberismo.
I Saggi economici segnano sicuramente il punto più alto raggiunto dalla letteratura economica italiana dell’Ottocento, soprattutto sul piano dell’analisi e delle questioni metodologiche. Sul terreno strettamente analitico, il contributo originale di Fuoco è da cercarsi nell’estensione dell’importanza attribuita alla funzione del denaro nell’ambito dell’economia capitalistica, un aspetto del suo pensiero che è stato ampiamente trascurato dalla letteratura critica. Una posizione, questa di Fuoco, assolutamente atipica in un contesto come quello classico, prevalentemente fondato sull’analisi reale, in cui il ruolo della moneta è in gran parte considerato secondario. Invece per Fuoco il denaro ha il ruolo di ‘organizzatore’ del lavoro e dell’industria, e costituisce l’elemento essenziale del sistema commerciale. Per sottolinearne l’assoluta importanza, egli non esita a paragonare il denaro al linguaggio, attribuendogli, oltre a un ruolo essenziale nel favorire lo scambio e l’accumulazione delle ricchezze, anche una funzione euristica come strumento per comprendere la complessità dell’economia reale. Ed è proprio nell’importanza dell’economia monetaria e delle istituzioni che controllano la decisiva funzione del credito che deve cercarsi l’originalità del contributo di Fuoco nell’ambito del pensiero economico della prima metà del 19° secolo. Il suo apporto al dibattito classico arrivò tuttavia troppo tardi per poterne anche minimamente modificare gli esiti.
G. de Welz, Saggio su i mezzi da moltiplicare prontamente le ricchezze della Sicilia, Parigi 1822.
Comento di comento, ossia lettere critiche del sig.r F.N. sul saggio del sig.r G.e de Welz riprodotto dal signor dottore in medicina Giuseppe Indelicato, Napoli 1823.
G. de Welz, La magia del credito svelata: istituzione fondamentale di pubblica utilità, da Giuseppe de Welz offerta alla Sicilia ed agli altri stati d’Italia, 2 voll., Napoli 1824.
Esposizione di una nuova teoria su la rendita delle terre, «Nuovo giornale de’ letterati», 1825, t. X, parte letteraria, pp. 233-58.
Saggi economici. Prima serie, 2 tt., Pisa 1825-1827.
Della libertà e de’ vincoli del commercio, «Nuovo giornale de’ letterati», 1827, t. XIV, parte letteraria, pp. 25-60.
Introduzione allo studio della economia industriale, o principj di economia civile applicati all’uso delle forze, Napoli 1829.
Le banche e l’industria. Opera di economia applicata, Napoli 1834.
G. Del Vecchio, Francesco Fuoco, opponent of J.B. Say on the use of the algebra in political economy, Paper read at the meeting of the Econometric society, Lausanne, September 1931.
F. Dello Joio, La magia del credito svelata, «Rivista italiana di scienze economiche», nov.-dic. 1935, pp. 960-80.
M. Fasiani, Note sui “Saggi economici” di Francesco Fuoco, «Annali di statistica e di economia della Facoltà di Economia e Commercio di Genova», 1937, 5, pp. 5-131.
A. Macchioro, Studi di storia del pensiero economico, Milano 1970, pp. 276-315.
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S. Moravia, Il pensiero degli idéologues. Scienza e filosofia in Francia (1780-1815), Firenze 1974.
Sul classicismo economico in Italia. Il ‘caso’ Francesco Fuoco, a cura di B. Salvemini, V. Malagola Anziani, F. Di Battista, P. Barucci, Firenze 1979.
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