GAETA, Francesco
Nacque a Napoli il 27 luglio 1879 da Nicola e Vincenza Troncone in una famiglia della buona borghesia.
Il padre, con alcune rendite e il suo impiego di sovrintendente al Monte di misericordia, assicurava ai suoi una vita agiata e si interessava vivamente alla educazione letteraria dei figli.
Insofferente degli studi accademici, il G. continuò da solo a coltivare la passione per la poesia e per la filosofia, tanto da formarsi ben presto un vasto patrimonio di cultura non solo letteraria; sue guide, appena abbandonata la facoltà di lettere, furono il filosofo e letterato G. Bovio e lo studioso di filosofie orientali G. Di Lorenzo. Nei primi anni del secolo, attratto dal giornalismo, cominciò a collaborare alla Gazzetta di Milano, ma l'attività giornalistica non gli consentì mai di rendersi economicamente indipendente.
Prima dell'incontro determinante con Benedetto Croce - che lo promosse e lo sostenne - il G. aveva già compiuto il suo tirocinio di intellettuale autodidatta, di inquieto dilettante, a contatto con la grande letteratura europea, specialmente la francese e la tedesca, grazie anche alla precoce assoluta padronanza di quelle lingue. Suoi autori prediletti erano E.A. Poe, Ch. Baudelaire, e sopra tutti S. Di Giacomo del quale curò, insieme con il Croce, la raccolta delle Poesie (Napoli 1907), e che fu quindi oggetto - sempre da parte del G. - di uno studio monografico (Salvatore Di Giacomo, Firenze 1911).
In effetti, il percorso dello scrittore lungo le due direttrici privilegiate del giornalismo letterario e della pratica poetica risulta non solo esemplare, ma addirittura, per taluni aspetti, anticipatore rispetto alle coeve esperienze dei "giovini" fiorentini: G. Prezzolini e G. Papini innanzi tutto; in questa prospettiva l'esperimento pur brevissimo della rivista fondata e diretta dal G. nel 1901, I Mattaccini, col suo programma antipositivistico e antiaccademico "di virilità, d'ironia e di violenza", è assai significativo.
La rivista, che contava tra i redattori alcuni fra gli ultimi allievi di G. Carducci, come F. Del Secolo, M. Valgimigli, A. Albertazzi, e un gruppo di poeti e letterati napoletani - tra i quali M. Giobbe e A. Catapano - volle essere l'organo di un carduccianesimo di sinistra e rivelò la tempestiva esigenza di una cultura e di un'arte più dinamiche e più inclini alla vita e alle sue feconde contraddizioni. Inoltre, alla polemica antiborghese e antipositivistica si aggiungeva la componente nazionalistica, attestata anche dai Canti di libertà (Napoli 1902) che rappresentano l'unico esempio di lirica politica del G., da interpretare come nostalgia della fase eroica risorgimentale (si veda in particolare il sonetto Il nome liberale). L'anticipazione di temi e questioni che costituiranno alcuni aspetti notevoli nella riflessione ideologica degli intellettuali primonovecenteschi - ad esempio la riflessione problematica sulla forma romanzo, la polemica contro i professori universitari, i primi avvertimenti circa i vizi del giornalismo - veniva stemperata a principiare dalla tonalità di fondo, deplorativa più che aggressiva, segno di una estraneità strutturale rispetto ai modelli e alle strategie culturali che andavano formandosi.
Finanziata dallo stesso direttore, la rivista si arrestò all'aprile 1902; e saltuarie, non organiche, furono, anche in seguito, le collaborazioni giornalistiche del G. all'Illustrazione italiana, alla Tribuna e al Giornale d'Italia, quasi a testimoniare il carattere solitario e umbratile di questa singolarissima figura di poeta "clandestino", come ebbe a definirlo l'editore R. Ricciardi.
Sia sufficiente leggere i due articoli filosofici con cui il G. partecipò all'esperienza del Leonardo (Nel tempio dell'Uno e Da Plotino a me, rispettivamente nei numeri di giugno e novembre 1904), per intendere la natura occasionale dell'adesione al gruppo dei pragmatisti di Firenze: "Voi vi definite approssimativamente - scriveva nel primo articolo (p. 1) - i figli intellettuali di Berkeley e di Hume. Io definirei me stesso, un panteista, un mistico, e, epiteto che i cattedratici saldano col secondo dei due suddetti, uno scettico". In tale prospettiva il G. poté presto bruciare i moduli carducciani e dannunziani delle raccolte adolescenziali, Il libro della giovinezza (Napoli 1895) e Reviviscenze (ibid. 1900), per affermarsi come poeta argomentante, insieme lirico e sofistico, che applicò a temi realistici e sensuali, nonché a situazioni e costumi della piccola borghesia napoletana, una lingua dotta caratterizzata da involuzioni sintattiche e da improvvise aperture sul lessico popolare. Ma conta sottolineare che il G. demanda alle rigorose architetture della metrica tradizionale - il sonetto, la canzone, l'ottava, il distico elegiaco - il controllo non solo formale, ma logico e sentimentale, del suo nichilismo e della sua passione, costruendo così un canzoniere che tende verso il racconto intorno a una incisiva immagine di poeta-filosofo napoletano.
Dietro la sua difficile poesia d'amore, a un tempo melodiosa e dissonante, fra G. Puccini ed E. Satie, c'è una sorta di New Age primonovecentesca, c'è il G. cultore di Gandhi "prosecutore di Tolstoj", l'animalista ed ecologo ante litteram, ma anche l'ombroso misogino che non si emancipò mai dalla condizione di figlio di famiglia, con una costante predilezione per amori adulterini, destinati irrimediabilmente a finire.
Nell'intervento del 1906, Per un libro di poesia e intorno ad alcuni criterii d'arte, il Croce - unico del mondo letterario con cui il G. conservò un rapporto costante -individuava la novità dei Sonetti voluttuosi e altre poesie (Roma-Torino 1906) nella tensione fra metro e sintassi, e proponeva di situare il G. in un'antologia di poeti "petrosi" e aspri, riprendendo un'antica idea di V. Imbriani. Con questo il G. ebbe in comune il tratto psicologico e artistico della "bizzarria", che si convertiva, sulla pagina, in una lingua mescidata e composita. E in verità la sua poesia gioca, come avviene talvolta per il melodramma, sull'accostamento fra situazione prosaica e linguaggio aulico-metaforico, spesso complicato da un ingorgo di relative.
L'intervento crociano del 1906 fu il primo di una serie cospicua che fonda, in positivo, sebbene con vistose limitazioni critiche, la ricezione del G., quasi a prova lampante di una presenza culturale forte in sé, pur rispetto alla critica spicciola dei letterati di professione, ma proprio perciò percepita come estranea e di fatto mai entrata veramente in circolo. I poeti contemporanei messi in luce dal Croce critico militante suscitano, infatti, allarme e diffidenza, e diventano così oggetto di un trattamento doppio; di qui il carattere passivo di tante pagine critiche, che ostentavano di accogliere la predilezione del filosofo: una critica che comprende sia il giudizio scolastico ed elusivo di un Pancrazi, su di un G. poeta pittoresco, sia il circoscritto e descrittivo studio di G.B. Salinari del 1939; singolare il caso di E. Cecchi, il quale recensì molto positivamente i Sonetti sulla Tribuna, salvo poi scrivere a Papini: "Caro Giovanni, se avessi dovuto dire tutto quel che pensavo intorno al libro di Gaeta!" (Fiesole, Fondazione Primo Conti, Carte Papini, lettera del 13 giugno 1906).
Sul fronte opposto vanno registrati, quali estremi cronologici, il giudizio riduttivo di A. Galletti - il quale individuò nella lingua poetica del G. una involontaria caricatura dell'enfatico linguaggio dei filosofi positivisti - e la liquidazione operata da G. Barberi Squarotti, come di esperienza provinciale e di conio ottocentesco, mentre equilibrati e autonomi risultano i giudizi di A. Gargiulo e di S. Solmi. Ma è in un articolo di G.A. Borgese (G., in Corriere della sera, 8 apr. 1928) che risultano evidenti quelle modalità reattive nella lettura che condizionano il capitolo di storia della critica riguardante il G.: dopo aver sottolineato l'accostamento fra il poeta e G. Gozzano in chiave crepuscolare - ripreso poi dal Croce nella Storia d'Italia e nelle aggiunte alla Letteratura della nuova Italia - Borgese indicava la contraddizione crociana nel privilegiare la potenzialità del G., la poeticità come alone biografico, rispetto alla compiuta poesia gozzaniana. Riconosceva esistenza al poeta, il Borgese, sebbene ribadisse la notazione del Momigliano su di una lirica che sovente "stecca". Di certo la dissonanza costituisce non già il limite ma propriamentre il carattere della poesia del G., per la giustapposizione dei differenti registri linguistici e stilistici. Per questa stessa ragione sarebbe forse da riconsiderare il lavoro del G. prosatore, non privo di vivacità e di originalità.
Di temperamento malinconico e introverso, dopo un breve periodo di successi letterari, di fervida vita di relazione e di tormentati rapporti amorosi, il G. cominciò a estraniarsi dalla realtà, vivendo appartato, accudito solo dalla madre che finì per essere il suo unico legame con la vita. Alla morte di questa, il 15 apr. 1927, tornato a casa dal funerale, egli si suicidò.
Oltre alle opere già citate ricordiamo del G.: L'ecloga di Flora, Spezia 1900; L'Italie littéraire d'aujourd'hui, Paris 1904; L'insegnamento industriale e commerciale alla Mostra romana dell'autunno 1907. Relazione a s.e. F. Cocco-Ortu, Roma 1908; XII poesie di F. G., Calendario 1916, Bari 1916; Poesie d'amore, ibid. 1920; Novelle gioconde, Milano 1921; Poesie, a cura di B. Croce, Bari 1928; Prose, ibid. 1928; Che cosa è la massoneria?, a cura di T. Gaeta, Firenze 1939.
Fonti e Bibl.: B. Croce, Per un libro di poesia e intorno ad alcuni criterii d'arte, in La Critica, IV (1906), 6, pp. 470-477 (poi Il libro di un giovane e i critici, in Id., La letteratura della nuova Italia, 3ª ed. riv. dall'autore, IV, Bari 1929, pp. 167-177); E. Cecchi, I "Sonetti voluttuosi" di F. G., in La Tribuna, 5 giugno 1906; B. Croce, rec. a F. Gaeta, Poesie d'amore, in La Critica, XVIII (1920), 3, pp. 167-171; E. Cecchi, Poesie d'amore, in La Tribuna, 24 sett. 1920; A. Tilgher, Ricognizioni, Roma 1924, pp. 236-244; G.A. Borgese, G. e Catapano, in Corriere della sera, 24 apr. 1927; A. Gargiulo, F. G., in L'Italia letteraria, 17 maggio 1931; B. Croce, Dal mio carteggio letterario. Lettere di F. G., in La Critica, XXXIII (1935), 2, pp. 142-147; 3, pp. 229-234; 4, pp. 308-314; P. Pancrazi, F. G. poeta d'amore, in Scrittori italiani del Novecento, Bari 1934, pp. 28-35; B. Croce, F. G., in La Critica, XXXIV (1936), 2, pp. 95-100; Id., rec. a F. Gaeta, Che cosa è la massoneria?, in La Critica, XXXVII (1939), 5, pp. 386-388; G.B. Salinari, Studio sulla poesia di F. G., Todi 1939 (poi a cura di A. Piromalli, Roma 1973); A. Galletti, Il Novecento, Milano 1939, pp. 347-349; F. Flora, Storia della lett. italiana, V, Milano 1940, pp. 568 s.; A. Gargiulo, Letteratura italiana del Novecento, Firenze 1940, pp. 459-463; S. Solmi, La poesia italiana contemporanea, in Il libro italiano nel mondo, II (1941), pp. 13-29; G. Citanna, F. G., in Belfagor, I (1946), pp. 590-594; A. Momigliano, Storia della lett. italiana…, Milano 1950, p. 613; M. Valgimigli, G. e "I Mattaccini", in Corriere della sera, 30 dic. 1956; E. Allodoli - G. Buti, Storia della lett. italiana, Firenze 1963, p. 554; E. Croce - A. Croce, Appunti su F. G., in Elsinore, I (1964), 5, pp. 103-123; B. Croce, in Diz. delle opere e dei personaggi (Bompiani), VII, pp. 82 s.; Enc. Italiana, XVI, p. 250.