GALLARATI SCOTTI, Francesco
Figlio del conte Giambattista e di Maria Teresa Spinola, nacque a Milano il 19 marzo 1751. Frequentò le scuole dei gesuiti di Brera, ove ricevette un'educazione umanistica, rivelando però simpatie anche per le scienze e la matematica. Iscrittosi all'Università di Pavia, e alunno del collegio Borromeo, lo lasciò per seguire, contemporaneamente, le Scuole palatine di Milano, la cui frequenza era stata resa obbligatoria da Maria Teresa per l'accesso agli uffici pubblici.
Qui seguì i corsi di lettere di G. Parini (1768-70), di giurisprudenza criminale pratica di C. Lampugnani e di economia pubblica di C. Beccaria (1770-71): della frequenza a queste lezioni restano un attestato assai elogiativo dello stesso Beccaria e una serie di quadernetti, contenenti parte del corso, importanti per la collazione con i pochi manoscritti superstiti dell'opera del Beccaria. Alle Palatine seguì altri corsi: di teologia, di istituzioni eclesiastiche e ancora di belle lettere, anche negli anni successivi.
Conseguita nel 1771 la laurea in utroque iure, nel '73 fu ammesso, insieme con il fratello Gianfilippo, futuro cardinale, nel Collegio dei giureconsulti di Milano, presentato da un colto giurista dell'Accademia dei Trasformati, B. Arese Lucini. Nominato nel 1772 deputato dell'ospedale Maggiore con l'incarico di sovrintendervi la Scuola della dottrina cristiana e alle cause, nel 1774 fu nominato uditore generale delle proprietà e dei feudi dello stesso ospedale, con il compito di esercitarvi la giustizia, civile e penale: giurisdizione speciale destinata presto a cadere sotto le riforme asburgiche nella Lombardia austriaca. Sempre nel 1774 fu nominato uditore del magistrato di Sanità, primo gradino nella carriera degli uffici giudiziari. Le esperienze di questi anni furono determinanti per la sua formazione giuridica in campo penale. Membro, poi priore (1774), della Congregazione dei bianchi, confraternita per l'assistenza ai carcerati eretta presso le prigioni della Malastalla, assunse nello stesso anno l'ufficio di "protettore dei carcerati": una specie di difensore pubblico cui competeva visitare le carceri, raccogliere le istanze e i bisogni dei carcerati, sollecitare lo svolgimento dei processi, inoltrare le domande di grazia; era l'ufficio ricoperto nel 1760 da Alessandro Verri, le cui relazioni avevano indotto il fratello Pietro e il Beccaria a critiche radicali al sistema penale vigente e a proporre le riforme contenute in Dei delitti e delle pene (1764). Anche per il G. fu una scuola di esperienze di cui si avvarrà quando, nel 1790, verrà nominato, insieme con il Beccaria, membro della commissione per la riforma dell'ordinamento penale lombardo.
Appassionato studioso di diritto, aveva una ricca biblioteca (ora all'Ambrosiana), che egli aggiornò con opere di scrittori politici, filosofi e giuristi. Su posizioni parzialmente diverse dai più noti riformatori lombardi, il G. condivideva però parte dei programmi di costoro. Per rapporti di famiglia e convinzioni filosofico-religiose era vicino a Paolo Risi, professore alle Palatine e autore di un trattato, Animadversiones ad criminalem iurisprudentiam pertinentes, nel quale chiedeva riforme dell'ordinamento penale e l'abolizione della pena di morte non sulla base delle teorie contrattualiste, bensì del diritto naturale, della tradizione romanistica, del pensiero dei padri della Chiesa; ma nel Beccaria, cui si sentiva sempre legato d'amicizia e ammirazione come alunno, vedeva con ben altra forza motivate le ragioni di quelle riforme.
Lasciato l'incarico di protettore dei carcerati il G. fu nominato avvocato dei poveri per il triennio 1776-78, provicario di provvisione per il 1779, vicario di provvisione per l'anno successivo, uditore generale della milizia urbana per il biennio 1780-81, vicario di giustizia per il triennio 1782-84. In questo ufficio fu riconfermato per un altro triennio; ma pubblicato in Lombardia, il 28 ott. 1785, il Codice penale di Giuseppe II e attivato il nuovo sistema giudiziario basato sulle tre istanze di giudizio, il 21 febbr. 1786 era nominato consigliere del Tribunale d'appello.
Della sua attività di giudice d'appello si conservano relazioni, pareri e sentenze che forniscono preziose informazioni sulla criminalità del tempo, sull'amministrazione della giustizia penale e sull'applicazione del Codice giuseppino. Eseguì in quegli anni varie ispezioni alle preture e alle carceri di Lodi, Codogno, Pizzighettone, Busto Arsizio e di altre città lombarde: la relazione contenente le risultanze di queste visite ottenne "il pieno aggradimento" del sovrano per "tutti i provvedimenti proposti", ma, purtroppo, risulta irreperibile (vi si chiedeva l'istituzione di infermerie in tutte le case di correzione, la separazione dei colpevoli di delitti meno gravi dagli altri condannati, una maggiore libertà di movimento per gli ergastolani condannati alle catene, più aria e pulizia nelle carceri, cioè una umanizzazione delle pene).
Quando il nuovo imperatore, Leopoldo II, volendo applicare nei domini asburgici i principî liberali e umanitari seguiti in Toscana, convocò, il 13 ag. 1790, un'apposita giunta per rivedere il Codice giuseppino, il G. vi fu designato in rappresentanza del Tribunale d'appello. La giunta fu convocata nel febbraio 1791, ma poco dopo, con motu proprio del 16 giugno 1791, volendo accelerare i lavori, l'imperatore nominò una giunta "criminale" ristretta nella quale furono chiamati, fra gli altri, il Beccaria, il Risi e il G., il quale qualche giorno dopo, il 28 giugno, era pure nominato consigliere del Supremo tribunale di Giustizia della Lombardia austriaca.
Il Cavanna (1975, pp. 89 s.) ha sottolineato l'importanza della composizione di questa giunta - chi rappresentava il ceto dei giuristi pratici e di formazione forense, chi la categoria dei giuristi teorici e di scuola; chi proveniva dalla magistratura, chi dalla burocrazia in senso stretto - e ha rilevato il contributo che la Lombardia ha portato con questo dibattito alla storia della dottrina e della legislazione penale moderna. La commissione - concentratasi la discussione sulla pena di morte - si trovò divisa su due fronti: la maggioranza, favorevole a una piuttosto larga applicazione della pena capitale, e la minoranza, composta appunto dal Beccaria, dal G. e dal Risi, che chiedeva fosse sostituita con l'ergastolo, ammettendola solo "per il titolo di cospirazione contro lo stato, riputandola non necessaria in tutti gli altri casi".
La relazione di minoranza, che si ispirava al saggio del Beccaria, dopo aver condannato gli "inutili e feroci inasprimenti" con cui fu accompagnata per tanto tempo la pena di morte, ne chiedeva l'abolizione richiamandosi all'esempio dei recenti codici toscano e austriaco e all'opinione di insigni autori, riassumendone le ragioni in tre argomenti: "primo, perché non è giusta non essendo necessaria; secondo, perché meno efficace della pena perpetua corredata da una sufficiente e ripetuta pubblicità; terzo, perché irreparabile". La novità rispetto a Dei delitti e delle pene era soprattutto in questo terzo argomento, l'irreparabilità della pena nel caso dell'errore giudiziario. Altro punto importante della relazione era il principio della certezza morale come base del giudizio.
I lavori della giunta criminale non approdarono a risultati concreti, per le discordanze interne alla commissione, per la morte di Leopoldo II (1792) e per lo sviluppo degli avvenimenti europei dopo la Rivoluzione francese. Il G., anche dopo la scomparsa del Beccaria (1794), continuò a sostenere progetti di riforma, mostrando una certa apertura anche alle idee diffuse dai circoli democratici. A differenza della maggior parte del patriziato milanese e contro le pressioni familiari, aderì alla Repubblica, conservando per tutto il triennio giacobino il posto di consigliere del Supremo tribunale di Giustizia, che mantenne anche con il ritorno degli Austriaci nel 1799. Lasciò però la carica con la seconda Cisalpina ritirandosi da ogni attività pubblica, anche per l'influenza del fratello Gianfilippo, maestro di camera di Pio VII. Dal governo ebbe una modesta pensione di 1200 fiorini confermatagli dall'Austria con la Restaurazione. Continuò tuttavia gli studi storici e giuridici, dedicandosi insieme al riassetto del patrimonio familiare; fece testamento il 26 maggio 1821 in favore del nipote Carlo.
Il G. morì a Milano il 30 marzo 1827 e fu sepolto nella tomba di famiglia nel feudo di Cerano.
Fonti e Bibl.: Milano, Arch. Gallarati Scotti, Arch. Scotti, s. 2, passim; Arch. Gallarati Scotti moderno, cartt. 145, 154; Misc. storica, cartt. 29 s.; Arch. di Stato di Milano, Uff. giudiziari, p.a., cartt. 196, 198; Autografi, cart. 164; Dispacci reali, cart. 267 bis. I quadernetti delle Lezioni di economia dettate dal Beccaria, pure conservate in Arch. Gallarati Scotti, saranno pubblicati nella Ed. naz. delle opere di C. Beccaria, diretta da L. Firpo - G. Francioni, III, Scritti economici (in preparazione); altri docc. concernenti il G., ibid., V, Carteggio, 2, 1769-1794, a cura di C. Capra - R. Pasta - F. Pino Pongolini, Milano 1996, pp. 33, 62, 466, 733, 737; gli atti della giunta criminale del 1791-92 sono stati editi da C. Cantù, Beccaria e il diritto penale, Milano 1862, e parzialmente riprodotti in C. Beccaria, Opere, II, a cura di S. Romagnoli, Firenze 1958, pp. 723-734. Per la bibl. antecendente al 1963, oltre a G. Trivulzio Manzoni, Memorie intorno alle famiglie Gallarati e Scotti, Milano 1897, tav. XV, si veda quanto citato in N. Raponi, Un discepolo e amico di Beccaria: F. G.S. (con appendice di documenti), in Riv. di storia del diritto italiano, XXXVI (1963), pp. 127-170. Inoltre: A. Cavanna, La codificaz. penale in Italia. Le origini lombarde, Milano 1975, pp. 88-97, 153-155 e passim; Id., La codificaz. del diritto nella Lombardia austriaca, in Economia, istituzioni, cultura in Lombardia nell'età di Maria Teresa, III, Bologna 1982, ad indicem; C. Capra, Il Settecento, in D. Sella - C. Capra, Il Ducato di Milano dal 1535 al 1796, Torino 1984, pp. 610-612; A. Liva, Carcere e diritto a Milano nell'età delle riforme: la casa di correzione e l'ergastolo da Maria Teresa a Giuseppe II, in Le politiche criminali nel XVIII secolo, a cura di L. Berlinguer - F. Colao, Milano 1990, pp. 63-142; C. Capra, Beccaria e l'Europa. Spunti e motivi dal carteggio, in Cesare Beccaria tra Milano e l'Europa, Milano 1990, p. 506; G. Di Renzo Villata, Giuristi, cultura giuridica e idee di riforma nell'età di Beccaria, ibid., p. 246.