GARBARINO, Francesco
Nacque a Genova nel 1607 da Raffaele di Francesco e Maria Orengo d'Albenga. La famiglia Garbarino, originaria di Albenga, si era insediata a Genova intorno al 1350. Durante il periodo medievale faceva parte dello schieramento degli "artefici", e solo all'inizio del '500 passò all'aggregazione dei "mercanti". Con la riforma istituzionale del 1528 fu inserita nell'"albergo" Lercari. La tradizione era quindi di nobiltà nuova all'interno delle sempre attive fazioni nobiliari genovesi. Il G. ebbe un fratello, Gerolamo, e una sorella, Battina. Fu ascritto alla nobiltà genovese il 29 nov. 1623. Esordì sulla scena genovese come protettore delle Compere del Banco di S. Giorgio. Questo inizio, conseguente a un'educazione improntata alle arti mercantil-militari di mare e di terra, indirizzò tutte le cariche in seguito assunte al servizio della Repubblica di Genova. Fu eletto due volte sia al magistrato delle Galee, sia a quello delle Sequele, quattro volte al magistrato di Guerra.
Nel periodo in cui a Genova si dibatteva sull'opportunità di dare vita a una flotta mercantile armata (G. Giacchero, Il Seicento e le Compere di S. Giorgio, Genova 1979, pp. 372-374), a tutela di una vagheggiata neutralità politica ed economica della Repubblica nei confronti di Francia e Spagna, il G. fu governatore su una delle due prime galere del "nuovo armamento" che partirono a imbarcare sete alla volta della Sicilia il 1° maggio 1642. L'anno successivo, quale commissario generale delle Galee, fu al comando di una spedizione contro i corsari in acque di Corsica. Dopo alcuni anni di impegno sulle galee, nel giugno del 1646 partecipò alla delegazione che accolse in Genova Í. Vélez de Guevara, conte di Oñate che dalla Spagna si recava a Roma. Nel 1653 fu ascritto al magistrato di Guerra, e fu durante l'impegno nel Dominio contro ribellioni e delinquenze locali che lo colse la terribile pestilenza del 1656. Il G. riuscì a sopravvivere al contagio e probabilmente si distinse per l'impegno prodigato a fronte di situazioni disperate, poiché lo troviamo fra i dedicatari dell'opera sulla peste del padre Antero Maria di S. Bonaventura. L'anno seguente, finita la peste, diventò senatore fra i Procuratori. Nel 1662 fu fatto preside degli Inquisitori di Stato e, il 17 aprile, membro della delegazione di accoglienza di don L. de Guzmán Ponce de León, governatore di Milano. Nel 1664 fu delegato al magistrato dei Triremi per la costruzione di nuove navi; l'anno seguente fu ancora fra i senatori, sempre come procuratore, e ancora preside degli Inquisitori di Stato. Nel 1666 fu eletto preside del magistrato di Corsica, e dopo due anni supremo sindacatore. Una carriera ricca di onori e di incarichi di grande responsabilità, coronata dal matrimonio con Benedetta De Franchi. L'unione confermava la tradizione familiare e, per dirla con le parole del più grande osservatore della società genovese del Seicento, "nel prender moglie… dopo di grossa dote, si procura che quella che si vuol prender per moglie abbia parenti che sian di stoffa o che se'l paiano" (A. Spinola, Scritti scelti, a cura di C. Bitossi, Genova 1981, p. 231). La sua elezione a doge, già sfiorata nel 1665 quando fu eletto Cesare Durazzo, avvenne il 18 giugno 1669 con 244 voti su un Gran Consiglio di 492. Fonte principale sulla sua vita precedente il dogato è l'orazione per la sua incoronazione recitata da Carlo Speroni (pubblicata solo nel 1671).
Tutto il cerimoniale fu all'insegna della fretta (elezione e incoronazione nello stesso giorno), poiché l'elezione era stata ritardata per l'assenza protratta di due candidati. La cerimonia religiosa nella cattedrale si svolse il giorno seguente, officiante G.B. De Diece vescovo di Brugnato, e oratore un gesuita napoletano rimasto anonimo.
Il dogato del G. si svolse in un biennio di relativa tranquillità, stante il travagliato sfondo internazionale e le tensioni fra Francia e Spagna nelle terre e nel mare di Liguria. Nella politica interna si proseguì la costruzione del Molo Nuovo in Genova, quella della fortezza di Vado (F.M. Accinelli, Compendio delle storie diGenova, Lipsia 1750, p. 218), e fu appoggiata la delibera, proposta dai protettori delle Compere di S. Giorgio, di aprire una strada nell'entroterra di Ceriale. All'inizio del suo incarico dovette intervenire personalmente, facoltà che gli statuti criminali sancirono formalmente solo nel 1671 (G. Forcheri, Doge, governatori… della Repubblica di Genova, Genova 1968, p. 37), su una disputa all'arma bianca fra due dame della nobiltà, Brigida Grimaldi e Teresa Sauli. La questione, molto scandalosa per l'epoca, si protrasse per mesi ed ebbe fine solo con l'intervento del principe Luigi I Grimaldi di Monaco (Accinelli, op. cit., pp. 218 s.).
Già nel luglio del 1669 il G. si trovò a dover mediare con la S. Sede per gli strascichi di una controversia giurisdizionale. La materia del contendere era "classica": uno sbilanciamento fra i poteri della Repubblica e quelli della Chiesa, gli inquisitori di Stato, e l'inquisitore ecclesiastico, il frate M.P. Passi. I rapporti fra la Repubblica, tramite il ministro residente a Roma, Giovan Luca Durazzo (V. Vitale, Diplomatici…, in Atti della Soc. ligure di storia patria, LXIII [1934], p. 21), e il S. Officio di Clemente IX rimasero alquanto tesi (Accinelli, op. cit., pp. 217 s.; R. Ciasca, Affermazioni di sovranità…, in Giorn. stor. e letter. della Liguria, XIV [1938], pp. 177-179).
Sempre in materia di politica estera, con il G. si proseguì verso la "neutralità" perseguita dall'oligarchia repubblicana, nonostante le pressioni interne ed esterne. Dalle azioni della Repubblica durante il suo dogato non traspare alcuna presa di posizione che si possa interpretare come più favorevole alla Francia o alla Spagna, quanto piuttosto un ostinato intento di far rispettare la "regalità" genovese sia dall'una, sia dall'altra. Del resto, pur pensando a un'autonomia politica, assolutamente assente nella carica di doge, la famiglia del G. non appare fra quelle che, nel dibattito appena passato fra filospagnoli e filofrancesi, si pronunciarono in maniera scoperta (C. Bitossi, Il governo dei magnifici…, Genova 1907, pp. 247-250). Un contrasto tra la Comunità ligure di Triora e quella di Briga (sotto dominio sabaudo) per lo sfruttamento della terra di Conio d'Abete compromise però seriamente i rapporti con il duca di Savoia Carlo Emanuele II, e fu risolto con un egregio compromesso dopo mesi di trattative con l'inviato di Luigi XIV, l'abate di Cruas, H.-H. di Servien (Accinelli, op. cit, p. 219). Anche alla Spagna la Repubblica fece più volte rimostranze per essere riconosciuta nella sua sovranità e negli onori che a essa spettavano (R. Ciasca, Istruzionierelazioni degli ambasciatori genovesi in Spagna…, IV, Roma 1957, pp. 303-308). Del resto, nel porto di Savona nel 1671 venne intimato con i cannoni il saluto a quattro navi spagnole, e lo stesso accadde a nove galee francesi (Accinelli, op. cit., p. 219).
Nelle fonti, durante il 1671 il doge viene dato spesso come "absente" perché "infermo", e dal 1672, dopo un incarico postdogato alla giunta di Marina, il nome del G. scompare del tutto. Se ne deduce che egli sia morto a Genova durante il 1672.
Fu sepolto nella chiesa del Gesù (S. Ambrogio), dove lo stemma dei Garbarino (un castello a tre torri d'argento sormontato da tre stelle) è ancora visibile sulla colonna sinistra della prima cappella, entrando, a destra. Delle sostanze economiche del G. ben poco si sa: dal profilo del Levati apprendiamo che egli ereditò sia dallo zio Marcantonio (senatore nel 1605), sia dal padre Raffaele. Poiché l'eredità di quest'ultimo, dall'elenco non ufficiale delle rendite tassate nel 1636 (Genova, Bibl. universitaria, Mss., B.VI.8, c. 13r), risulta assai consistente, pensiamo che il suo patrimonio fosse cospicuo. Alla morte del G. le sue sostanze andarono presumibilmente all'unica figlia, Angela Maria sposa del conte Pier Francesco Costa, che a sua volta donò i beni all'ospedale genovese di Pamattone (Banchero, p. 83 n. 98). La moglie Benedetta sopravvisse al marito sino al 1695.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Genova, Arch. segreto, 477, cc. 114r-149v; 892, cc. 84v, 97r; 901, c. 12r; 905, c. 94v; 912, c. 41; 913, c. 3r; 918, c. 9r; 919, cc. 2r ss.; 920, c. 3r; 923, cc. 30r, 50r-51r, 63r ss.; 1585; 1659 n. 27; Genova, Bibl. civ. Berio, m.r. VIII.2.29: A.M Buonarroti, Alberi genealogici, II, pp. 140 s.; Ibid., Bibl. universitaria, B.1.50(2): Catalogo dei dogi…, cc. 34v, 63r, 77r; ibid., C.IX.20: A. Della Cella, Famiglie di Genova…, II, cc. 99v-100r; L. Volpicella, I libri dei cerimoniali della Repubblica di Genova, in Atti della Soc. ligure di storia patria, XLIX (1921), pp. 286-289; G. Guelfi Camaiani, Il "Liber nobilitatis Genuensis"…, Firenze 1965, p. 221; Antero Maria di S. Bonaventura, Li lazzaretti delle città, e Riviere di Genova del MDCLVII…, Genova 1658, pp. [3], 524; [C. Speroni], Real grandeza dela Serenissima Repubblica de Genova…, Genova 1669, s.v.; G.B. Gentile, Le anime grandi nate nell'utilità delle Republiche…, Genova 1670, p. 12; C. Speroni, Orazione panegirica composta… lo stesso giorno della coronazione del serenissimo F. G.…, Genova 1671 (seguono poesie e madrigali di C. Speroni, F.M. Airolo, F. Poggio, A.G. Castiglione); D.M. Donati, Le glorie della ligure libertà…, Lucca 1675, p. 62; G. Calvi, Laregina della Liguria. Oratione detta… li 21 novembre 1669…, in Id., Orazioni postume, Genova 1692, p. 255 [ma 263]; G. Banchero, Genova e le due Riviere, Genova 1846, p. 347 n. 108; P.L.M. Levati, Dogi biennali di Genova dal 1528 al 1699, Genova 1930, II, pp. 258-270, 480, 490; M. Labò, Il Gesù: Ss. Andrea e Ambrogio, Genova 1932, pp. 34 s.; E. Gavazza - F. Lamera, Chiesa del Gesù, Genova 1990, pp. 30-32.