GARSIA, Francesco
Nacque nel 1590, forse a Palermo, come attesta G. Galeano, che lo chiama "compositore nostro palermitano" (Muse siciliane, II, 1, p. 222); ma A. Mongitore riferisce che Gregorio Alessi di Paternò, a cui egli si era rivolto per informazioni, lo dice nativo di quest'ultima località, affermando che era invece palermitano il padre Nicolò. Dalle altre scarne informazioni che lo stesso erudito fornisce, apprendiamo che egli compì studi giuridici e che conseguì la laurea inutroque iure. Le poche notizie relative alla vita del G. e gli stessi argomenti delle opere a lui attribuite inducono comunque a credere che, pur avendo soggiornato anche a Palermo, egli visse lontano da questa città - come appare dalla testimonianza del Galeano, che è del 1653 - e che molto verosimilmente trascorse la sua esistenza a Catania e in paesi limitrofi. Oltre ad aver seguito gli studi nella locale Università (Marletta, p. 222), egli sembra infatti vicino alla famiglia Paternò, che era assai influente nella città; e tutte le fonti concordano sul fatto che ricoprì la carica di giudice nel foro di Paternò.
Molto intensa fu l'attività letteraria del G., che risulta iscritto a numerose accademie: dei Riaccesi di Palermo, dei Clari di Catania, dei Rinnovati di Paternò, degli Intrepidi di Acireale. E molto vari furono i risultati della sua produzione, che pare sia stata composta in siciliano, toscano, latino e castigliano. Essa era costituita da versi e prose e comprendeva, secondo il Galeano, "alcune tragedie ancora insieme con altri vari minuti componimenti". Di una qualche originalità dovette certamente essere l'attività del G. in campo teatrale, un'attività che si svolse all'interno dell'Accademia dei Clari, ai quali si deve nel 1614 la rappresentazione del Pastor Fido e la diffusione a Catania, a partire dagli anni Venti, di una drammaturgia sacra, soprattutto legata alle celebrazioni della patrona della città. In quest'ambito vengono ricordate le tragedie del G., S. Vincenzo martire, e soprattutto Ester, che pare abbia ricoperto, per la novità dell'argomento, un posto di rilievo nella storia del teatro siciliano. E un documento di notevole interesse linguistico potrebbe essere rappresentato dal perduto poema "en quatro cantos" S. Ana, in lingua castigliana, i cui argomenti furono composti da don Prospero Paternò e Lanza, barone di Piraino. Ma del G. sono pervenute solo le due piccole sillogi raccolte, per le sue Muse siciliane, dal Galeano, che tuttavia avvisa il lettore di aver dovuto procedere a una scelta assai riduttiva per l'indisponibilità dei testi dell'autore lontano.
Si tratta di 11 canzoni siciliane (contenute nel vol. II, 1), di argomento amoroso, e di 21 canzoni sacre (riportate nel vol. IV), composte, come tutte le liriche della raccolta, in dialetto, secondo lo schema metrico dell'ottava siciliana. Nei componimenti amorosi ritornano senza particolare originalità i motivi convenzionali del petrarchismo siciliano, con quella caratteristica accensione dei sentimenti, che oscilla tra l'esasperazione dei tormenti e il ripudio della donna insensibile, tardivamente pentita.
Letterariamente più elaborata e affettivamente più intensa è la lirica sacra, che si articola in prevalenza attorno al tema controriformistico del peccato (svolto soprattutto come biasimo del peccatore e della sua ostinazione, ma anche come lamento di Cristo offeso dagli "strazzi" dell'uomo ingrato). Non mancano però i temi celebrativi, che si orientano soprattutto verso il culto mariano (diverse volte replicato); e c'è pure qualche esempio di impegno dottrinario, come l'ottava Al Santissimo Sacramento, dove è spiegato il mistero eucaristico e il paradosso della sua ubiqua natura: "Stai in Celu, e di lu Celu in Terra parti / Ma scindi senza partiri di ddocu". Nonostante l'uniformità rispetto ai correnti codici linguistici e figurativi, il G. riesce a esprimersi con qualche rilevato segno personale; e questo è anche confermato dallo scambio di topoi tra i due momenti della sua lirica: dalla figurazione dell'amore come "duluri" "di l'oscuri abissi" (e cioè come condizione del peccatore-dannato), alla rappresentazione dell'innamorato come di un "pietusu pellicanu", che "si sviscera d'affettu", allo stesso modo di Cristo che, per salvare l'uomo, "si trasforma" in quest'animale, simbolo di dedizione e di altruismo paterno.
Ad una qualche disgrazia, che avrebbe limitato le sue possibilità creative, allude il Galeano (Muse…, II, 1, p. 222), per il quale il G. fu "trattenuto dal tenace visco di sinistra fortuna". Morì a Paternò nel 1670.
Le ottave raccolte dal Galeano si trovano in P.G. Sanclemente (pseudonimo del Galeano) Muse siciliane, Palermo 1647, II, 1, pp. 222-226 e ibid. 1653, IV, pp. 96-104. Ma la tradizione attribuisce al G., oltre agli scritti in precedenza ricordati, un folto elenco di opere (alcune delle quali manoscritte), tra cui segnaliamo quelle che vengono date come edite: l'epitalamio Teria festante, Palermo 1628; il poemetto La caduta di Lucifero (con gli argomenti di Pietro lo Squiglio barone di Galati), ibid. 1638; La pira austriaca, Catania 1646; i poemetti eroici Il tempio di Cerere Catanea e i Vaticini di Simeto (per la venuta del cardinale C. Astalli vescovo di Catania, 1661-63), ibid. 1665; Oda nella quale s'incoraggian gli Austriaci al racquisto di Portogallo, Monteleone 1667; Il viaggio di Mongibello, s.n.t.
Fonti e Bibl.: A. Mongitore, Bibliotheca Sicula, Panormi 1708, I, p. 214; L. Allacci, Drammaturgia, Venezia 1755, p. 91; A. Narbone, Bibliografia sicola sistematica, Palermo 1850-55, I, p. 99; II, p. 57; IV, p. 95; Id., Istoria della letteratura siciliana, Palermo 1863, V, p. 265; G.M. Mira, Bibliografia siciliana, Palermo 1875, I, p. 405; F. Marletta, La vita e la cultura catanese ai tempi di don Francesco Lanario, in Archivio storico per la Sicilia Orientale, VII (1931), pp. 222, 228; T. Giuffrida, Catania dalla dominazione sveva alla dominazione spagnola, Catania 1981, pp. 305 s.