GHISILIERI, Francesco
Nacque a Bologna verso il 1415 da Lippo (Filippo) di Tommaso e da Serena di Pietro di Raimondo, sposata in seconde nozze. Ebbe un fratellastro, Tommaso, nato dalla prima moglie di Lippo e una sorellastra, Antonia, figlia della madre.
Il padre Lippo, personalità di spicco nella potente casata Ghisilieri, esercitò con successo l'attività del cambio e incrementò via via con accorti investimenti, soprattutto nella zona di Calderara di Reno, le originarie e già consistenti proprietà terriere. Costantemente in sintonia con coloro che detenevano il potere, specie se erano portatori di indirizzi oligarchici, fu nel 1376 fautore della nuova "signoria del popolo e delle arti" e nel 1401 amico, forse più indotto che spontaneo, di Giovanni Bentivoglio, dal quale venne armato cavaliere. Dal 1408 al 1410 collaborò strettamente col legato pontificio, cardinale Baldassarre Cossa e dal 1412 al 1416 fece parte dei Consigli che ressero la città dopo la breve parentesi popolare. Seppe peraltro mantenersi sempre estraneo agli eccessi delle lotte di fazione che insanguinarono la scena politica cittadina tra XIV e XV secolo. Alla sua morte, avvenuta intorno al 1435, lasciò ai figli un patrimonio più che considerevole e una posizione di assoluto prestigio nella città. Ma né l'uno né l'altra i figli e i nipoti seppero conservare. Fu anzitutto Tommaso, vivo ancora il padre, ad assumere pesanti responsabilità quale aderente alla fazione dei Canetoli, nella quale militavano gli esponenti più ricchi dell'oligarchia cittadina. Negli scontri, che tra il 1428 e il 1432 la videro opporsi ai Bentivoglio e agli Zambeccari, la fazione fu sconfitta e Tommaso fu costretto ad abbandonare la città.
Alla morte del padre, il G. si trovò a essere il solo membro della famiglia presente in città. Ricchezza e prestigio lo ponevano ai vertici della società e agli obblighi e agli onori del rango egli mostrò presto di adeguarsi. Studente di diritto civile, seguì i corsi nello Studio cittadino senza peraltro giungere a conseguire il dottorato. Assunse anche incarichi nell'amministrazione pubblica e nel 1435 fu capitano della Montagna. Nel marzo del 1436 sposò Giacoma, figlia del ricchissimo mercante di seta Bolognino di Giovanni Bolognini. La dote recata dalla sposa, consona alle disponibilità della famiglia d'origine, raggiungeva tra denaro e gioielli l'eccezionale somma di 2200 lire. Tre dei figli nati da questo matrimonio sopravvissero al padre: Tommaso, Ludovico e Giuditta.
Ma al carattere e alle aspirazioni del G. non bastavano evidentemente lo studio del diritto, la cura degli affetti e degli interessi familiari e neppure qualche ufficio, anche di rilievo, nell'amministrazione cittadina. D'altra parte a indurlo ad assumere un diretto impegno negli scontri per la supremazia in città furono anche le iniziative sempre più audaci e chiaramente prevaricatrici di Annibale Bentivoglio. Questi, impaziente di affermare la sua supremazia, il 4 febbr. 1440 assalì e uccise Raffaello Foscarari, tesoriere generale del Comune e longa manus di Nicolò Piccinino, governatore della città per conto del duca di Milano Filippo Maria Visconti. L'assassinio del Foscarari e l'accordo col Piccinino consentirono di affidare il 18 marzo 1440 la gestione della Tesoreria comunale a una società di privati, formata da esponenti delle famiglie della oligarchia cittadina, e ad Annibale Bentivoglio di vedere fortemente accresciuta la propria influenza. Da questa spartizione di potere restarono esclusi l'antagonista di Annibale, Battista Canetoli, esiliato a Milano, e i suoi più stretti fautori. Il G., in sintonia con le idee del fratello, si rivelò uno di questi.
Seguendo uno schema ampiamente collaudato in diverse circostanze simili, la fazione soccombente dette vita a una congiura, cercando nel contempo l'appoggio di un esercito esterno, nel caso quello di Francesco Sforza. La congiura fallì e i principali congiurati si posero in salvo con la fuga. Anche il G. abbandonò la città, dopo aver affidato alla madre Serena e a un certo Petronio da Pagliarino la gestione dei propri affari.
Dall'autunno del 1440 il G. fu in esilio, costretto ad assistere da lontano agli sviluppi della lotta per la supremazia in città. Qui lo scontro, inevitabile, tra il Piccinino e Annibale Bentivoglio portò nel 1442 alla prigionia di questo e dei suoi più fidati amici. Ne seguirono, nel giugno dell'anno successivo, la spettacolare liberazione a opera di Galeazzo Marescotti, il rientro in città e la presa di potere da parte di Annibale. Ma quando, alla fine dell'estate, la reazione del Piccinino e di Filippo Maria Visconti giunse a serrare la città entro un cerchio di forze ostili, Annibale pensò di richiamare gli antichi avversari, per averne, come fu detto, l'aiuto a sostegno dell'indipendenza della città o, più realisticamente, per impedire che si unissero ai già numerosi nemici esterni. Tornarono in questa circostanza i Canetoli e anche il G.; le cronache narrano di un loro leale impegno insieme con il Bentivoglio per contrastare gli assalti recati al contado e alla stessa città dalle milizie assoldate dal Visconti e dai suoi alleati. La collaborazione tra le due fazioni tuttavia non durò a lungo. Nuovi screzi, provocati dai Marescotti alleati di Annibale, riaprirono vecchie ferite e i Canetoli prestarono orecchio alle sollecitazioni di Filippo Maria Visconti che nel Bentivoglio vedeva ormai il principale ostacolo alle sue mire su Bologna.
Un primo tentativo nel marzo del 1445 di far assassinare Annibale da due sicari non ebbe successo. Due mesi dopo il tentativo venne ripetuto. In esso si impegnarono personalmente i capi della fazione e il G. vi assunse un ruolo fondamentale. Chiese ad Annibale, che accettò, di fare da padrino al battesimo del figlio; il 24 giugno, giorno di S. Giovanni Battista, conclusa la cerimonia al fonte battesimale nella cattedrale di S. Pietro, il G. invitò Annibale alla festa di S. Giovanni in contrada di S. Isaia. Si avviarono insieme. Giunti nelle vicinanze della casa del G., vennero accerchiati dai Canetoli. Annibale trasse la spada, ma il G. gli trattenne il braccio, mentre Baldassarre Canetoli lo colpiva a morte.
La notizia corse immediatamente per la città e gli scontri, violenti e sanguinosi, si protrassero per l'intera giornata. Alla sera la fazione dei Bentivoglio aveva completamente sopraffatto gli avversari, sì da rendere inutile l'interessato soccorso delle milizie al soldo dei rispettivi alleati, Firenze e Venezia per i Bentivoleschi, il Visconti per gli avversari. La sete di vendetta dei vincitori si sfogò nel saccheggio e nell'incendio delle case degli avversari e anche quella del G. fu completamente distrutta.
I Canetoli, il G. e i loro più stretti aderenti furono costretti, come già cinque anni prima, a fuggire. Il 4 luglio 1440 essi vennero posti al bando, i loro beni confiscati e fu promesso a chi avesse ucciso uno dei capi della fazione, tra i quali il G., un premio di 1000 ducati, immediatamente esigibile sulla piazza di Venezia. Era un premio veramente rilevante, tanto che venne poi dimezzato, ma mai abolito. Successivi bandi colpirono altri sostenitori o supposti tali della fazione sconfitta e anche i nipoti del G., Giacomo, Lippo e Cesare, figli di Tommaso, lasciarono Bologna. Ai fautori dei Canetoli si aggiunsero negli anni seguenti altri esuli, tra i quali Romeo Pepoli, Giovanni Fantuzzi e i loro non pochi amici, che da sostenitori dei Bentivoglio ne erano divenuti avversari per contrasti con il nuovo capo della famiglia, Sante.
Nella notte tra il 7 e l'8 giugno 1451 vecchi e nuovi esuli, e tra essi il G., appoggiati da contingenti inviati dai signori di Carpi e di Correggio, assalirono la città. La reazione dei Bentivoglio fu immediata e decisa e anche questa volta le armi furono loro favorevoli. Gli assalitori vennero ricacciati. Sbandatisi, furono affrontati dai soldati posti a guardia dei castelli del contado, coadiuvati dagli abitanti degli stessi. A Castel d'Argile, in uno di questi scontri, il G. venne fatto prigioniero. Riconosciuto, fu condotto a Bologna e posto in carcere.
Qui l'11 giugno dettò il suo testamento. Dispose vari legati a ricordo e suffragio dell'anima della madre Serena, da poco scomparsa e della propria; lasciò alla sorellastra Antonia una casa e alla figlia Giuditta la dote di 1000 lire; nominò i figli Tommaso e Ludovico eredi universali di beni peraltro al momento tutti confiscati. Nello stesso giorno fu condotto all'impiccagione e, ultimo oltraggio, Sante Bentivoglio volle che l'esecuzione avvenisse nel "guasto dei Ghisilieri", affinché morendo avesse negli occhi le rovine della sua casa.
Né gli anni placarono l'astio dei Bentivoglio nei confronti della famiglia del Ghisilieri. Nel 1497 i beni già confiscati al G., unitamente ai beni dei Malvezzi che nel 1488 avevano dato vita all'ultimo tentativo di cittadini bolognesi di rovesciare con le armi il dominio dei Bentivoglio, vennero direttamente acquisiti al patrimonio di costoro. Soltanto dopo che papa Giulio II pose fine nel novembre 1507 alla signoria bentivolesca i beni del G. poterono ritornare ai suoi legittimi eredi.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Bologna, Comune-Governo, Bolle, brevi e diplomi originali, vol. 11, c. 5; Liber Fantini, c. 175; Riformatori dello Stato di libertà, Libri mandatorum, reg. 7, c. 50; Ufficio dei memoriali, Provvisori, s. cartacea, Not. Andrea Castagnoli, reg. 768, 3 ott. 1440; s. pergamenacea, Not. Pietro dalla Camera, b. 60, 13 marzo 1408; Notarile, Not. Paolo Cospi, reg. 14/35, c. 7; Not. Giovanni Angelelli, regg. 15/27, c. 125; 15/29, c. 25v; 15/33, c. 91v; 15/34, c. 9; 15/35, c. 192; 15/36, cc. 21, 105; Not. Filippo Cristiani, regg. 62/11, c. 4; 62/25, c. 76; 62/27, c. 56; Not. Pietro dalla Camera, reg. 45/4, c. 40v; Not. Pietro Bruni, b. 291, nn. 21, 22, 24; Not. Matteo Curialti, b. 390, filza 4, n. 312; Arch. privato Ghisilieri, I, b. 1, n. 62; Studio Alidosi, reg. 112, c. 54; Corpus chronicorum Bononiensium, a cura di A. Sorbelli, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XVIII, 1, vol. III, pp. 126-129, 176 s.; M. de Griffonibus, Memoriale historicum de rebus Bononiensium, a cura di L. Frati - A. Sorbelli, ibid., 2, ad ind., s.v. Ghisilieri, Lippo; C. Ghirardacci, Historia di Bologna, III, a cura di A. Sorbelli, Bologna 1933, ad ind.; P.S. Dolfi, Cronologia delle famiglie nobili di Bologna, Bologna 1670, p. 361; P. Di Mattiolo, Cronaca bolognese, a cura di C. Ricci, Bologna 1885, p. 81; G. Nadi, Diario bolognese, a cura di C. Ricci - A. Bacchi Della Lega, Bologna 1886, pp. 24 s.; G. Guidicini, Cose notabili della città di Bologna…, I, Bologna 1868, p. 122; A. Sorbelli, I Bentivoglio, a cura di M. Bacci, Bologna 1969, pp. 44-54.