BOCCAPADULI, Francesco Giacinto Ignazio
Di nobile famiglia, nacque il 3 apr. 1600 a Roma da Fabrizio, conservatore e priore dei caporioni, e da Clarice Du Blioul. Abbracciò lo stato ecclesiastico, e già nel 1612 ottenne da Paolo V una pensione su un beneficio della basilica di S. Pietro, nel 1616 un altro beneficio nella cattedrale di Velletri e, nel 1619, dopo avere concluso a Roma gli studi di diritto civile e canonico, un altro ancora nella basilica vaticana. Il 30 apr. 1638 fu nominato da Urbano VIII vescovo di Valva e Sulmona e il 25 novembre entrò in Sulmona, dove fissò la sua residenza.
A causa di un errore formale nella bolla di nomina, nella quale Sulmona precedeva Valva, entrò in conflitto con il capitolo di Valva. I contrasti si aggravarono ulteriormente quando il B., seguendo l'esempio del suo predecessore Francesco Cavalieri, tentò di unificare i capitoli di Valva e Sulmona e di contestare ai canonici del duomo la pretesa di partecipare alla collazione dei canonicati in Castel di Iesi. Una sentenza della Rota decise però contro il B., che, in conseguenza, dovette cedere. Nei nove anni della sua attività pastorale istituì un seminario sotto la direzione dei gesuiti, una prebenda teologale e una prebenda di penitenziere.
Il 28 febbr. 1647 fu trasferito da Innocenzo X al vescovato di Città di Castello dove si recò il 29 maggio. Fu richiamato a Roma poco dopo e il 14 sett. 1647 fu nominato nunzio ordinario presso i cantoni svizzeri. Fornito di istruzioni della segreteria di Stato, dei diritti di legato a latere e dei pieni poteri del S. Uffizio, onorato con il titolo di conte ed elevato alla dignità di vescovo assistente al soglio pontificio, il B. lasciò Roma il 1ºottobre. All'inizio di novembre arrivò a Lucerna, sede della nunziatura svizzera, accompagnato dai nipoti Curzio e Desiderio.
Il suo compito precipuo era quello di mantenere la Svizzera cattolica fuori dal conflitto franco-asburgico. Egli si oppose quindi, di comune accordo con gli ambasciatori savoiardo e francese, ai piani della Spagna diretti a collegare strettamente la Franca Contea con la Svizzera, per impedire la minaccia di una invasione francese dell'Italia settentrionale, e caldeggiò invece la conclusione di una tregua militare o la dichiarazione di una completa neutralità tra la Franca Contea spagnola e la Francia. Una tale direttiva non coincideva però con la linea perseguita dalla Francia, che tentava invece di legare saldamente la Confederazione alla propria politica, sforzandosi a tal fine di comporre i contrasti interni tra cantoni cattolici e cantoni protestanti. Una politica che induceva la Francia a negare ai cantoni cattolici ogni appoggio contro i cantoni protestanti. Questa divergenza di fondo emerse con particolare evidenza quando l'aggressiva politica antiprotestante della cattolica Lucerna, sostenuta dal B., minacciò di provocare una nuova guerra civile confessionale.
In un tale quadro le iniziative di politica ecclesiastica adottate dal B. ebbero un effetto disastroso sull'equilibrio politico interno della Confederazione e minacciarono di compromettere addirittura l'unità della stessa Svizzera cattolica oltre che i suoi rapporti con le potenze cattoliche. Il B. si adoperò infatti con grande energia e promosse con intransigenza la difesa e l'estensione dei diritti della S. Sede, tentando a varie riprese di sottomettere la chiesa cattolica svizzera alla dipendenza diretta della nunziatura e della Curia romana. In conseguenza di questi tentativi, solo raramente riusciti, sorgevano frequenti conflitti tra il B. e le autorità locali, sia politiche sia ecclesiastiche, e dissapori con i rappresentanti diplomatici delle potenze confinanti.
Uno di questi conflitti esplose nel 1649 in tutta la sua violenza per i monasteri femminili cisterciensi di Eschenbach e Rathausen. In base ai suoi pieni poteri e richiamandosi a sentenze di tribunali ecclesiastici emesse più di cinquant'anni prima, il B. rivendicò il diritto di visita e il controllo ecclesiastico sui due monasteri per delegarne ai gesuiti l'esercizio. Le stesse rivendicazioni presentò tuttavia anche il vicario generale dei cisterciensi, l'abate di S. Urbano in Lucerna. Un breve pontificio del 16 genn. 1649 sottrasse Eschenbach e Rathausen all'ordine cisterciense, al quale proibì ogni forma di attività pastorale e qualsiasi influenza sui due monasteri. Mentre la Spagna si schierò per il nunzio e i gesuiti, la Francia sostenne i cisterciensi, come pure i cantoni cattolici della Svizzera. Si giunse così alla minacciosa politicizzazione di un contrasto che poteva restare entro i suoi limiti puramente ecclesiastici. Il conflitto, nel corso del quale il nunzio si attenne strettamente alle istruzioni romane influenzate dal suo predecessore a Lucerna Girolamo Farnese, si protrasse fino al 1652 e raggiunse il suo punto più acuto quando il B. procedette contro l'abate del monastero cisterciense di Wettingen, eletto senza il suo consenso, e contro l'abate di S. Urbano chiamato per sua sollecitazione a Roma e trattenutovi oltre un anno fino al suo proscioglimento. Oltre che gli interessi della Francia, il B. lese anche quelli della Savoia, quando ottenne, a dispetto delle candidature avanzate da queste due potenze, la nomina alla sede vescovile di Losanna del suo protetto, il canonico di Lucerna Jost Knab, che godeva di poche simpatie nella stessa Svizzera. In modo simile egli tentò di escludere ogni influenza sabauda sull'elezione del preposto del Gran San Bernardo.
Un esempio ulteriore della pretesa del B. di far valere i diritti della S. Sede sui monasteri svizzeri è costituito dal suo intervento in favore dei benedettini dell'isola di Reichenau sul lago di Costanza, che, soggetti alle iniziative arbitrarie del vescovo di Costanza, si erano rivolti a Roma. Ma neanche nel corso di una visita personale eseguita a Reichenau e a Costanza nel 1652 riuscì al B. di indurre il vescovo di Costanza, che aveva trovato appoggio alla corte imperiale, a desistere dai suoi provvedimenti contro il monastero e a riconoscere la giurisdizione pontificia su di esso. Entrò in conflitto anche con le autorità di Costanza e di Friburgo, contro i cui decreti egli dovette difendere l'indipendenza e l'immunità ecclesiastica degli ordini religiosi e in particolare di quello dei cavalieri di Malta. Con particolare zelo si adoperò per la conservazione e l'espansione della fede cattolica nella Svizzera meridionale: fondò un collegio dei gesuiti a Bellinzona, tentò di impedire l'espulsione dei missionari cappuccini dai Grigioni, senza riuscire tuttavia ad ottenere lo sperato intervento dei paesi cattolici confinanti. Un successo solo parziale ebbero i tentativi compiuti negli anni tra il 1648 e il 1652 per impedire la cessione degli ultimi diritti di sovranità detenuti dall'arciduca del Tirolo ai protestanti grigionesi o almeno per neutralizzarne i probabili effetti a danno della minoranza cattolica.
Lo zelo eccessivo, la personale intransigenza e la scarsa libertà di movimento concessagli dalle istruzioni, precipitose e spesso imperiose, della segreteria di Stato procurarono al B. molti nemici in Svizzera. Negli stessi cantoni cattolici si levarono lagnanze e fu espresso il desiderio che in futuro nessun nunzio fosse mandato nella Confederazione con i pieni poteri di un legato a latere. Quando il B., dopo il suo richiamo e l'insediamento al posto di internunzio di Jost Knab, lasciò Lucerna nel settembre del 1652, i cantoni cattolici indirizzarono al papa una lettera di protesta chiedendo di raccomandare ai nunzi futuri il rispetto delle usanze e dei diritti tradizionali della Confederazione. Le tensioni politiche ed ecclesiastiche insorte in Svizzera durante il periodo della nunziatura del B. - anzitutto in seguito alla "lis inepta" per i monasteri di Eschenbach e Rathausen - e la conseguente agitazione di parte della Svizzera cattolica contro la nunziatura provocarono la minaccia di una soppressione della guardia svizzera al servizio pontificio.
Contemporaneamente al suo richiamo dalla Svizzera, nel luglio del 1652, il B. ricevette la nomina di nunzio a Venezia, dove egli fece il suo ingresso solenne l'8 novembre. In precedenza aveva rifiutato un trasferimento alla nunziatura presso la corte imperiale adducendo il pretesto di non poter sostenere gli oneri finanziari connessi con tale carica. I suoi due anni di nunziatura veneziana trascorsero, in confronto con le tempestose vicende del suo soggiorno svizzero, molto tranquillamente.
I rapporti con Roma proprio in quegli anni erano meno tesi del solito, dato che la Repubblica, in conseguenza della guerra di Candia, era incline al compromesso. Inoltre il conflitto esploso al tempo del suo predecessore nella nunziatura, Scipio Pannochieschi, a proposito del diritto di nomina ai vescovati veneti, aveva già trovato una soluzione provvisoria.
Il B. poté così garantire alla Repubblica la temporanea partecipazione di alcune galere pontificie alla guerra contro i Turchi e la concessione nel 1653 di un sussidio di 100.000 scudi d'oro da prelevare sui beni ecclesiastici veneti. Nello stesso anno, nel corso del quale infierì a Roma la carestia, ottenne in contropartita per due volte la concessione di navi veneziane per il trasporto del grano pontificio dalla costa dell'Adriatico a Roma. Gli riuscì anche di creare presupposti favorevoli alla riammissione dei gesuiti in Venezia che ebbe luogo più tardi. Incontrarono invece ferma opposizione gli interventi ai quali fu costretto da due decreti di Innocenzo X: il tentativo di introdurre l'osservanza della bolla pontificia del 15 ott. 1652 sulla soppressione dei conventi che disponevano di un numero insufficiente di religiosi suscitò le resistenze del Senato e di alcuni ordini religiosi; successivamente la pubblicazione della bolla contro il giansenismo del 31 maggio 1653 incorse nell'opposizione degli ambienti ecclesiastici di Venezia e di Padova.
Nell'ottobre del 1654 il B. ottenne il permesso di ritirarsi dalla nunziatura dopo aver sollecitato già nel luglio la sua sostituzione per motivi di salute. Il vero motivo della sua richiesta di dimissioni sembra però da attribuirsi al timore che la Curia fosse scontenta del suo operato. Il 1º genn. 1655 il B. lasciò Venezia e si trasferì, dopo aver riferito a Roma alla fine di febbraio della sua attività, a Città di Castello. Nei sedici anni successivi si dedicò ai compiti pastorali affidati fino ad allora alle cure dei vicari generali. Delle condizioni della diocesi si informò subito nel corso di una visita generale.
Il B. intervenne contro gli abusi dilagati nell'amministrazione delle opere pie e del Monte di Pietà. Soppresse la casa dei gesuati di S. Girolamo in Città di Castello e trasferì la chiesa e i beni annessi al seminario vescovile. Soppresse anche i conventi trascurati e scarsamente popolati dei cappuccini in Città di Castello, dei conventuali di S. Sebastiano in Lipiano e degli agostiniani in Pietralunga, utilizzando le loro entrate per la cura delle anime. Nell'anno della peste del 1656 gli riuscì con numerose ordinanze e precauzioni di salvare la sua diocesi dal contagio.
Nel 1671 rinunciò per motivi di età al vescovato e si ritirò a Roma. L'11 luglio 1675 fu nominato da Clemente X metropolita di Atene; il titolo e le prerogative arcivescovili gli furono conferiti il 26 marzo 1676. Il B. morì a Roma il 23 nov. 1680. Fu sepolto secondo le disposizioni del suo testamento, rilasciato nel 1677, nella cappella di famiglia nella chiesa di S. Maria in Aracoeli.
Fonti e Bibl.: Le numerose carte del B., con le lettere originali a lui indirizzate, il registro della sua corrispondenza e varie scritture diverse degli anni compresi tra il 1618 e il 1669, in tutto ventinove volumi, sono conservate nell'archivio della famiglia Boccapaduli, dal 1922 depositato presso l'Arch. Stor. Capitolino di Roma. Notizie su di esso si trovano in L. Guasco, L'Archivio storico capitolino, Roma 1946, pp. 43 s.; e soprattutto in A. Bassotti, Carte della famiglia Boccapaduli, in Studi romani, I (1954), pp. 344 s. La corrispondenza diplomatica tra il B. e la segreteria di Stato pontificia si conserva, completamente per i dispacci originali del B. e solo parzialmente per le copie delle istruzioni provenienti da Roma, nell'Arch. Segr. Vat., Segreteria di Stato, nunziatura di Svizzera, 36, 39-44, 237, Nunziatura di Napoli, 39 A (per gli anni 1647-1652); Nunziatura di Venezia 83-85, 279 (per gli anni 1652-1654). Altre copie della corrispondenza ufficiale del B. relativa agli anni della sua nunziatura svizzera si conservano nell'Eidgenössisches Bundesarchiv di Berna nel fondo Nunziatura svizzera, fasc. 39-44. Un'importante raccolta di materiale documentario per l'attività svizzera del B. è pubblicata in Eidgenössische Abschiede, VI, I, a cura di J. A. Pupikofer e J. Kaiser, Frauenfeld 1867, ad Indicem, VI, 2, a cura di J. Vogel e D. A. Fechter, Basel 1875, ad Indicem; F. I. Mancini, Serie de' vescovi... di Città di Castello, Foligno 1693, pp. 259-261; M. U. Bicci, Notizia della famiglia B. patrizia romana, Roma 1762, pp. 285-343; G. Muzi, Memorie ecclesiastiche e civili di Città di Castello, III, Città di Castello 1842, pp. 109-111; T. v. Liebenau, Die Luzernischen Cistercienser und die Nuntiatur, in Jahrbuch für schweizerische Geschichte, XI (1886), pp. 199-247; H. Biaudet, Les Nonciatures Apostoliques permanentes iusqu'en 1648, Helsinki 1910, pp. 244, 255; L. Karttunen, Les Nonciatures Apostoliques permanentes de 1650 à 1800, Genève 1912, pp. 5, 15, 234; E. Rott, Histoire de la représentation diplomatique de la France auprès des Cantons Suisses…, VI (1643-1663), Berne 1917, passim; P. Gauchat, Hierarchia catholica..., IV, Monasterii 1935, pp. 152, 358; R. Ritzler-P. Sefrin, ibid., V, Patavii 1952, p. 103; K. Haid, Aus der Aktenmappe des Monsignore F. B., Nuntius in der Schweiz 1647-1652, in Zeitschrift für schweizerische Kirchengeschichte, XXXVIII (1944), pp. 121-153; I. Müller, Die Abtei Disentis, I-II, Freiburg i. d. Schweiz 1952-1955, ad Andicem; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., IX, coll. 301 -302.