GIORDANI, Francesco
Nato a Napoli il 5 luglio 1896 da Giulio, ingegnere comunale, e Maria Rossi, terzo di sette figli, compì i primi studi nella sua città natale. Dimostrò precocemente una spiccata attitudine per le scienze: aveva appena conseguito la maturità classica quando, interessatosi ai problemi dell'aeronautica, pubblicò (1914) alcune note su problemi di aerodinamica sul Bollettino della Società dei naturalisti di Napoli. Iscrittosi alla facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali dell'Università di Napoli, fu guidato allo studio della fisica da Michele Cantone e poi in quello della chimica da Agostino Oglialoro Todaro e specialmente da Marussia Bakunin. Ancora prima di laurearsi divenne assistente del Cantone e poi della Bakunin, con la quale pubblicò alcune note di chimica organica. Nel 1918 si laureò in chimica e prese a dedicarsi all'elettrochimica, giovane disciplina, in cui chimica e fisica si integrano, a lui congeniale sia per gli aspetti teorici, sia per le prospettive di applicazioni pratiche.
Le principali ricerche di elettrochimica effettuate dal G. riguardano: le proprietà conduttometriche di soluzioni di elettroliti (in particolare, cloruro di sodio e idrossido di sodio); i fattori che regolano i processi di preparazione elettrolitica dei perborati; le tecniche per lo studio dei fenomeni di polarizzazione elettrica; la teoria dei fenomeni di corrosione dei metalli; la teoria degli elettrolizzatori a diaframma per la produzione di alcali caustici mediante elettrolisi di cloruri alcalini.
Fu specialmente quest'ultimo argomento che lo occupò per vari anni e risultò fecondo di acquisizioni teoriche e di realizzazioni pratiche. Nelle ricerche sull'elettrolisi dei cloruri alcalini, che inizialmente si presentavano di natura tecnica, il G. trovò necessario inserire risvolti teorici sulle soluzioni di elettroliti: eseguì perciò un accurato studio sul comportamento conduttometrico e viscosimetrico delle soluzioni concentrate di cloruro di sodio e di idrossido di sodio, separate e in miscela; studiò la mobilità degli ioni idrogeno e idrossido in varie condizioni sperimentali; effettuò un'approfondita indagine sulla cinetica di decomposizione dell'ipoclorito di sodio; studiò le caratteristiche di permeabilità e porosità dei diaframmi per elettrolizzatori. Queste ricerche gli permisero di formulare la teoria degli elettrolizzatori a diaframma che porta il suo nome. Ne scaturì l'elettrolizzatore Giordani-Pomilio, che al nome del G. associa quello dell'ingegnere e imprenditore napoletano Umberto Pomilio, titolare della Elettrochimica Pomilio. Il nuovo elettrolizzatore, del tipo a circolazione, aveva diaframmi in cartone d'amianto spalmato di idrossido ferrico, anodi di grafite porosa e catodi di lamiera di ferro forata, aderenti ai diaframmi; l'idrogeno e il cloro, che si svolgevano per elettrolisi del cloruro di sodio, erano smaltiti mediante apposite tubazioni, mentre in soluzione restava l'idrossido di sodio (soda caustica), la cui reazione col cloro era impedita dai diaframmi. L'elettrolizzatore Giordani-Pomilio, che grazie alle sue caratteristiche costruttive aveva un buon rendimento, fu usato per vari anni in Italia e all'estero.
Nel 1919 fu nominato professore incaricato e nel 1925 straordinario di elettrochimica presso la Scuola di ingegneria di Napoli; ordinario nel 1925, nel 1932 succedette a F. Zambonini nella cattedra di chimica generale e inorganica e nella direzione dell'istituto chimico dell'Università di Napoli, incarichi che tenne fino alla morte.
Parallelamente agli studi di elettrochimica il G. intraprese alcune iniziative industriali a essi collegate. Oltre al procedimento per la preparazione elettrolitica della soda caustica e del cloro, di cui si è già detto, studiò l'utilizzazione industriale di questi due prodotti e soprattutto del cloro, che della soda caustica si può considerare un sottoprodotto. Una realizzazione di particolare rilievo, che dette all'Italia un'industria nazionale della cellulosa, fu l'estrazione, mediante trattamento con soda e poi con cloro, di materiali cellulosici presenti in piante a ciclo annuale, come lo sparto libico, che fu la prima materia a essere utilizzata, e la canna comune: l'Elettrochimica Pomilio arrivò a produrre cinque tonnellate al giorno di cellulosa, che fu impiegata per la produzione di carta e di seta artificiale alla viscosa. Ma questa attività si concluse nel 1927, sia per l'ostilità dei cartai italiani, che trovavano più conveniente importare la cellulosa, sia per le controversie con la SNIA Viscosa. Un altro procedimento industriale teso all'utilizzazione del cloro, ma di cui non si poterono sviluppare appieno le potenzialità, fu quello per l'estrazione dei sali di potassio e dell'allumina dalle rocce leucitiche impiegando tecniche chimiche ed elettrochimiche; il processo, per il quale il G. ottenne vari brevetti, dette buoni risultati in un impianto pilota realizzato a Bagnoli; ma, essendo mutate, nel secondo dopoguerra, le condizioni del mercato del potassio e soprattutto dell'alluminio, esso risultò antieconomico e fu perciò abbandonato. Ricordiamo ancora un altro processo industriale, non legato questo all'elettrochimica, cui il G. aveva dato avvio insieme con la Bakunin: la distillazione degli scisti bituminosi; allo scopo egli ideò un nuovo tipo di forno.
Non a caso le proposte industriali del G. tendevano a valorizzare le risorse naturali del Mezzogiorno d'Italia (il sale, la leucite, la canna e la paglia, gli scisti bituminosi), insieme con l'energia prodotta dagli impianti idroelettrici di recente realizzati nell'Italia meridionale. Il problema dello sviluppo industriale del Mezzogiorno era allora al centro dell'attenzione di un qualificato gruppo di tecnici e operatori (oltre al G., tra gli altri, G. Cenzato, presidente dal 1930 dell'Unione fascista degli industriali della provincia di Napoli, e F. Ippolito), ma anche di settori industriali quali la Bastogi e la Società meridionale d'elettricità (SME, della quale Cenzato era, dal 1928, amministratore delegato); ed era altresì nei voti del gruppo dirigente (in particolare A. Beneduce, già presidente della Bastogi e consigliere di amministrazione della SME, e D. Menichella) dell'Istituto per la ricostruzione industriale (IRI), fondato nel 1933 per salvare dalla crisi l'apparato industriale e bancario nazionale, che intendeva non limitare l'intervento pubblico al Settentrione, bensì coinvolgere anche il Sud in un processo unitario di sviluppo.
In questo contesto si inquadrano alcune iniziative che il G. assunse negli anni Trenta, quali la costituzione, presso la Scuola di ingegneria di Napoli, della Fondazione politecnica del Mezzogiorno (20 apr. 1932) e la fondazione - con Cenzato, G. Postiglione, N. Romeo e altri - del periodico Questioni meridionali (1934-39), che il G. diresse col Cenzato (e nel primo anno anche con G. Olivetti), rivista che contribuì alla decisione del Consiglio dei ministri (maggio 1938) di dar vita all'Istituto per lo sviluppo economico dell'Italia meridionale (Isveimer), ente speciale di diritto pubblico con dotazioni finanziarie assegnate dal Banco di Napoli, finalizzato ad assistere la nascita di nuove imprese.
Chiamato da Beneduce e Menichella a ricoprire nell'IRI ruoli di sempre maggior impegno, il G. fu dal 1935 al 1938 vicepresidente del consiglio di amministrazione dell'Ilva (nel 1937 sarebbe divenuto anche vicepresidente della Finsider). All'Ilva sostenne un piano per concentrare la produzione di ghisa e acciaio negli stabilimenti di Bagnoli e Piombino, pur mantenendo in vita quelli di Novi Ligure, Savona e Marghera, per concentrare successivamente tutta la produzione a Novi. La prospettiva indicata dal G. (che almeno in parte ricalcava quella di O. Sinigaglia) fu accolta, ma venne poi resa impraticabile dal piano autarchico per la siderurgia varato alla fine del 1937.
Negli stessi anni, vicepresidente dell'Ente nazionale cellulosa e carta, sulla linea autarchica promossa dal governo, presentò un programma per una produzione iniziale di mezzo milione di tonnellate di cellulosa nobile per rayon; tale programma non andò in porto soprattutto per l'opposizione dell'industria privata (la SNIA Viscosa, che finanziava l'ente cellulosa per il 25%).
Nel 1937 fu nominato vicepresidente dell'IRI e nel novembre 1939 sostituì Beneduce, ammalato, alla presidenza, rimanendovi fino al 1943, sempre con Menichella quale direttore generale. Nell'ambito della politica autarchica allora perseguita dall'IRI, secondo le direttive del governo fascista, il G. favorì l'impiego di materie prime nazionali affiancando gli stabilimenti di produzione a quelli di utilizzazione.
Un altro settore industriale curato dal G. fu quello della gomma sintetica: negoziò e ottenne, dalla tedesca IG-Farbenindustrie, i brevetti e le licenze per fabbricare in Italia la gomma "buna", ottenuta facendo polimerizzare il butadiene con sodio (fu in questa circostanza che il futuro premio Nobel per la chimica G. Natta cominciò a interessarsi dei polimeri sintetici mettendo a punto alcuni metodi per ottenere il butadiene). La produzione della gomma buna fu intrapresa dalla Pirelli in un impianto che entrò in funzione a Ferrara nel 1942; un altro impianto in costruzione a Terni non entrò mai in funzione e fu smantellato dai Tedeschi.
Nella prospettiva dell'integrazione tra la ricerca scientifica e le sue applicazioni, il G. promosse la ricerca applicata e favorì la creazione di appositi istituti presso grandi industrie, quali l'Istituto Donegani della società Montecatini (della quale per alcuni anni fu vicepresidente), l'Istituto siderurgico Finsider, l'Istituto sperimentale metalli leggeri. Ma anche alla ricerca fondamentale volse la sua attenzione: a partire dal 1931 concorse a dare una nuova struttura al Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) istituendo comitati nazionali e centri di studio; fu presidente del Comitato nazionale per la chimica e poi (1943-44) dello stesso CNR. Nel periodo bellico contribuì, tramite il CNR, a salvare i laboratori universitari.
Dopo la guerra fu messo in disparte per qualche tempo in quanto alto dirigente legato al fascismo, ma fu presto rimesso in condizione di operare pienamente. Nel 1947, nominato vicedirettore esecutivo (propriamente: alternate dell'executive director italiano) della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRS), su suggerimento di Menichella, ora direttore generale della Banca d'Italia (governatore L. Einaudi), si trasferì a Washington per negoziare i crediti che l'Italia avrebbe dovuto ottenere in base all'European recovery program.
Tra le altre attività, partecipò alla discussione sul futuro della siderurgia italiana in relazione alla richiesta di finanziamento, presentata dall'Istituto mobiliare italiano su progetto della Finsider (presieduta da Sinigaglia), per il potenziamento degli stabilimenti esistenti, a Piombino e Bagnoli, per la produzione a ciclo integrale dell'acciaio.
Il G. si trattenne negli Stati Uniti fino all'estate 1950, rinunciando alla nomina a presidente dell'IRI propostagli nel 1948 (Verbali del Consiglio dei ministri. Luglio 1943 - maggio 1948. Edizione critica, a cura di A.G. Ricci, IX, 2, Roma 1998, pp. 1804, 1836), ma già prima del rientro in patria gli era stata offerta la presidenza della Svimez (Associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno), creata nel novembre 1946 - oltre che dal G., da Cenzato, Menichella, P. Saraceno, il ministro dell'Industria R. Morandi, e col sostegno di vari enti - per facilitare lo sviluppo dell'industria meridionale. Era in discussione l'istituzione della Cassa per il Mezzogiorno (marzo 1950), circa la quale il G. aveva ottenuto assicurazione dai dirigenti della BIRS di un congruo sostegno al piano di opere pubbliche previsto per le regioni meridionali, a condizione che il governo italiano avesse istituito un ente autonomo in grado di superare le riserve dei banchieri statunitensi relative a un'eventuale gestione burocratica e clientelare dei prestiti.
In una situazione in cui i problemi dell'energia e dello sviluppo erano sempre più considerati in un orizzonte planetario, o quanto meno occidentale, il CNR, presidente G. Colonnetti, svolse un importante ruolo per potenziare e coordinare la ricerca scientifica e la sperimentazione, opera cui contribuì il G. anche in qualità di presidente del Comitato nazionale per la chimica del CNR. In questo quadro fu costituito nel 1951 l'Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN) e con decreto del presidente del Consiglio 26 giugno 1952 - anche per impulso di E. Amaldi, del G. e del ministro dell'Industria P. Campilli - fu data vita al Comitato nazionale per le ricerche nucleari (CNRN), del quale il G. fu nominato presidente, allo scopo di coordinare e promuovere, anche con finanziamenti, gli studi sull'energia nucleare e le sue applicazioni pacifiche. Il comitato, sull'esempio di altri paesi che già si erano dotati di organismi governativi di direzione, nasceva anche come interlocutore del Centre européen pour la recherche nucléaire (CERN), al quale nel 1952 aderivano undici paesi.
La vicenda del CNRN costituisce grande parte dell'avvio italiano all'energia nucleare, ed è una storia ancora largamente da scrivere. Certamente fu una storia di contrasti; sulle prime, tra lo stesso CNRN e altri organismi pubblici (tra cui il CNR), anche a motivo di una natura statutaria ambigua del comitato, che da un lato partecipava della personalità giuridica del CNR, ma aveva un'incerta personalità giuridica propria, pur avendo il compito "di mantenere i rapporti e di sviluppare la collaborazione con le organizzazioni internazionali e con gli enti stranieri che operano nel campo degli studi nucleari", e dunque l'opportunità di sviluppare una propria politica estera.
Più perdurante e significativo il contrasto con il CISE (Centro informazioni studi ed esperienze), costituito nel 1946 da alcuni gruppi industriali (in particolare Fiat, Montecatini ed Edison) con lo scopo principale di studiare la produzione dell'energia nucleare e le sue applicazioni industriali. Il CISE, presieduto da V. De Biasi, avrebbe dovuto collaborare con il CNRN per la ricerca applicata (come l'INFN per quella fondamentale), ma i rapporti tra i due organismi si caricarono di tensioni relative agli indirizzi di fondo ("statalista" il CNRN, "privatistico" l'altro) e alle scelte prioritarie (l'opportunità di acquistare dagli Stati Uniti ovvero di costruire in patria il primo reattore nucleare); non si sopì mai, inoltre, il sospetto dei ricercatori del CISE che il G. intendesse "statalizzare" la struttura della ricerca privata. Del resto il G., anche perché consapevole delle enormi risorse di uomini e di mezzi occorrenti per serie ricerche di fisica nucleare e pertanto tenace assertore (con E. Amaldi e F. Ippolito) del ruolo preminente dello Stato nel campo dell'energia atomica, sosteneva una politica che collegasse gli sforzi italiani in questo settore con quelli delle altre nazioni dell'Europa continentale.
Vi fu poi altro genere di difficoltà, per cui a lungo in Italia la voce dei sostenitori del nucleare apparve flebile e isolata; dal dopoguerra Gran Bretagna e Stati Uniti si erano mostrati interessati soprattutto alle applicazioni belliche dell'energia atomica, e solo dopo che, nel dicembre 1953, il presidente statunitense D. Eisenhower ebbe lanciato l'iniziativa dell'"atomo per la pace", il governo italiano decise di avvalersi delle enormi capacità americane nel settore nucleare. Fu infine la I conferenza mondiale sull'applicazione dell'energia nucleare per scopi pacifici (Ginevra, agosto 1955), dalla quale emerse il ritardo dell'Europa in questo settore rispetto agli Stati Uniti, a consigliare di rompere gli indugi. Non per questo si chiarì definitivamente la politica energetica governativa.
Sono comunque da attribuire al G. alcune scelte che ebbero carattere strategico, quali la decisione di importare dagli Stati Uniti l'uranio arricchito e l'acqua pesante (che poteva essere fornita a un prezzo molto inferiore ai nostri costi di produzione) ma, soprattutto, di acquistare dagli Stati Uniti un primo reattore, posticipando la realizzazione di una produzione interna (gli accordi relativi furono stipulati da due missioni guidate dal G. nel giugno 1955 e nel febbraio 1956), decisione, specie quest'ultima, che fu contestata dai ricercatori del CISE che avrebbero voluto una maggiore utilizzazione, anche in tempi brevi, delle capacità tecniche italiane.
All'avvio della cooperazione europea nel campo dell'energia nucleare ("rapporto Spaak", aprile 1956), che come prima iniziativa promosse l'istituzione di una commissione per l'energia atomica tra i sei paesi della "piccola Europa" (Belgio, Francia, Repubblica federale tedesca, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi), i governi dei sei paesi incaricarono un comitato di tre saggi (oltre al G., il francese L. Armand e il tedesco F. Etzel) di riferire "sulle quantità di energia atomica che possono essere prodotte nel più breve tempo possibile nei sei paesi e sui mezzi da porre in opera a tal fine".
Il rapporto dei saggi, Un obiettivo per l'Euratom (Milano 1957), venne presentato nel maggio 1957 e fu considerato il manifesto del neonato organismo, il cui trattato istitutivo era stato firmato due mesi prima. Esso sottolineava il rischio, per i paesi industrializzati, di dipendere per i rifornimenti energetici dai paesi fornitori di petrolio e dunque l'importanza dell'occasione offerta dall'avvento dell'energia nucleare; auspicava quindi una collaborazione dei sei paesi fra di loro e con gli Stati Uniti per approfondire insieme le conoscenze scientifiche e tecniche nel campo nucleare, lasciando a ogni singolo paese firmatario una propria autonomia per gli sviluppi industriali che ne potevano derivare.
Il G. nel luglio 1956 aveva lasciato la presidenza del CNRN e poco dopo (nel novembre) aveva assunto, per la seconda volta, quella del CNR. Come presidente di questo ente continuò a ispirare la politica nucleare italiana, che in quegli anni registrò alcune tappe significative: nel 1957 fu inaugurato il Centro di studi nucleari di Ispra (poi passato all'Euratom); in esso cominciò a funzionare, nel 1959, il reattore nucleare CP5 (battezzato Ispra I), acquistato negli Stati Uniti; sorse, promosso dal G., il progetto "Energia nucleare Sud Italia", che avrebbe condotto alla costruzione, con l'aiuto finanziario della BIRS, della centrale elettronucleare del Garigliano, il cui progetto fu presentato alla II conferenza di Ginevra sull'energia nucleare (settembre 1958); nel contempo, l'INFN realizzava l'elettrosincrotrone di Frascati. Nel 1960 il CNRN fu soppresso e fu istituito il Comitato nazionale per l'energia nucleare (CNEN), le cui linee direttive per il primo quinquennio erano state fissate dal Giordani.
Nello stesso 1960 il G. si dimetteva della presidenza del CNR per il peggioramento delle condizioni di salute.
Il G. morì a Napoli il 24 genn. 1961.
Oltre agli incarichi sopra ricordati, ne ebbe molti altri; tra questi fu socio dell'Accademia d'Italia (che nel periodo fascista sostituì l'Accademia nazionale dei Lincei); di quest'ultima fu nominato vicepresidente nel 1952 e presidente nel 1958; fu socio anche della Pontificia Accademia delle scienze, dell'Accademia Pontaniana di Napoli, dell'Accademia nazionale dei XL, dell'Accademia di scienze fisiche e matematiche della Società nazionale di scienze, lettere ed arti di Napoli, dell'Accademia delle scienze di Bologna e di quella di Torino; fu nominato dottore honoris causa dell'Università di Francoforte, socio onorario della Société chimique de France, della Société de chimie industrielle e della Sociedad española de fisica y quimica.
Le note giovanili sull'aerodinamica sono pubblicate nel Bollettino della Società dei naturalisti di Napoli del 1914; quelle di chimica organica sui Rendiconti dell'Accademia di scienze fisiche e matematiche di Napoli (1915-24); nella stessa rivista sono pubblicate le prime ricerche sull'ipoclorito di sodio e quelle di elettrochimica; fra queste ultime le cinque note Sul funzionamento degli elettrolizzatori a diaframma e a circolazione per cloruri alcalini, pubblicate anche nella Gazzetta chimica italiana, LIV (1924). Sugli Atti del R. Istituto d'incoraggiamento di Napoli sono pubblicate due note di chimica industriale: Nuovo forno per la distillazione degli scisti bituminosi (LXXVII [1924]) e L'estrazione della cellulosa dai vegetali a mezzo del cloro gassoso (LXXX [1928]). Da segnalare la prolusione al IX congresso dell'Union internationale des producteurs et distributeurs d'énergie électrique (15-23 sett. 1952), Prospettive della utilizzazione industriale dell'energia atomica. Fra le varie altre pubblicazioni è da ricordare la compilazione di diverse voci per l'Enciclopedia Italiana: Carburo di calcio, Catalisi, Elettrochimica, Elettrolisi, Galvanostegia, Galvanoplastica. Furono pubblicate postume le sue Lezioni di chimica generale ed inorganica, Napoli 1962.
Fonti e Bibl.: Necr. in Rendiconti dell'Accademia di scienze fisiche e matematiche della Società nazionale di scienze, lettere ed arti di Napoli, s. 4, XXVIII (1961), pp. 406-419 (G. Malquori); Accademia nazionale dei Lincei, Quaderno n. 56, Roma 1961, pp. 7-21, con bibl. (V. Caglioti); Atti dell'Accademia Pontaniana, n.s., XI (1961-62), pp. 367-374 (M.M. Jacopetti). Vedi anche: F. Ippolito, L'Italia e l'energia nucleare. Cronache di cinque anni, Venezia 1960, passim; M. Silvestri, Il costo della menzogna. Italia nucleare, 1945-1968, Torino 1968, pp. 68-102 e passim; L. Scalpelli, F. G., in Protagonisti dell'intervento pubblico in Italia, a cura di A. Mortara, Milano 1984, pp. 471-499; L. Belloni, Sulla genesi del CERN, in Storia contemporanea, XVII (1986), pp. 641-643, 650 s., 653-656; A. De Benedetti, Il sistema industriale (1880-1940), in La Campania, a cura di P. Macry - P. Villani, Torino 1990, pp. 599-604; Energia, ambiente, innovazione: dal CNRN all'ENEA, a cura di G. Paoloni, Roma-Bari 1992, ad indicem; B. Curli, F. G., in La Città nuova (Napoli), IX (1994), 4-5, pp. III-XIX (con un'intervista a F. Ippolito); G. Barone, Stato e Mezzogiorno (1943-60). Il "primo tempo" dell'intervento straordinario, in Storia dell'Italia repubblicana, I, Torino 1994, pp. 388 s., 392; C. Pogliano, Le culture scientifiche e tecnologiche, ibid., II, 1, ibid. 1995, pp. 566 s., 578.