CIVELLI (Civellius, Clavellius), Francesco Giovanni
Nacque a Cantù verso la metà del sec. XV da Stefano e Paola Tanzi, che apparteneva a una famiglia di antica nobiltà.
Stando alle parole del C., i suoi antenati provenivano dal paese di Civello. In Cantù la loro abitazione si trovava nella via che oggi si intitola al loro nome e termina sulla "contrada delle torri", l'odierna via Corbetta. Civelli sembra essere il nome autentico della casata; in un secondo tempo il C. latinizzò, secondo la moda umanistica, il suo cognomein "Clavell(i)us", volendo connetterlo con "clavis", dato che la "chiave" compariva nell'insegna gentilizia della sua famiglia. A meno che la connessione non sia posteriore e in tal modo il C. volesse crearsi una patente di nobiltà.
L'agiatezza della sua famiglia permise al C. di studiare in patria e nella vicina Milano e di completare la sua formazione culturale nel Collegio Germanico di Roma; a questo periodo si riferiscono alcuni suoi componimenti (cit. di seguito secondo l'edizione del Tino, 1579) dedicati a dignitari della corte pontificia (ad esempio, l'ode in faleci, p. 69, in cui si raccomanda a Pietro Galesino, protonotario apostolico) o ai suoi stessi compagni (ad esempio, l'epigramma, p. 142, indirizzato ai giovani del Collegio Germanico, perché celebrino la vittoria di Lepanto). Nell'ambiente romano il C. produsse la maggior parte dei suoi carmi, trascurando o addirittura abbandonando i severi studi di filosofia e di teologia a cui era stato destinato. In un'ode alcaica del libro I delle sue poesie (p. 15) afferma di voler lasciare l'orribile bosco dove si celano i mostri evocati dalle speculazioni filosofiche, che lo respinge, per implorare l'ospitalità delle Pieridi. Ma ben presto fu richiamato a casa, e ce ne sfugge il motivo.
Nell'ode al giudice Iacopo Elio (l. I, p. 9) il C. rivolge una supplica all'amico perché voglia tenere a freno il popolo recalcitrante, che un tempo ha provocato lutti e dolori "ai Civellii che sopravvivono" e "uno ad uno. senza eccezioni, ha distrutto la sua famiglia senza risparmiare i vecchi e i bambini e le fanciulle". È probabile che la famiglia del C. (a meno di voler vedere nei "Civellii" gli abitanti del paese omonimo) abbia subito rovesci tali, a causa di sommosse popolari, da determinare il brusco richiamo del giovane studente.
Tornato in patria, per la fama di dottrina e i servizi resi alla Chiesa di Milano, il C. fu creato dal cardinale Carlo Borromeo canonico e diacono (prima del 1579) come si ricava dall'elegia conclusiva dei suoi Carmina, p. 160) e, abbandonata la poesia profana, si decise a studiare esclusivamente la "sacra theologia". In seguito fu ordinato sacerdote e nel 1582, con bolla del pontefice Gregorio XIII in data 23 agosto, fu nominato parroco della chiesa prepositurale di Cucciago in provincia di Como. Pochi anni prima, nel 1579, aveva pubblicato una raccolta dei Carmina presso l'editore Michele Tino di Milano; da una nota latina che troviamo in essa (p. 72) risulta che la maggior parte dei componimenti del C. sono occasionali, dettati da una circostanza o dal desiderio di compiacere un amico o un illustre personaggio, "né li avrebbe mai raccolti per la pubblicazione, se non dietro la preghiera degli amici per accontentare i dotti". Infatti una copia del "libellus" fu inviata dal C. all'umanista Francesco Ciceri, come si vede da un carme degli Hendecasyllabi (pp. 82-83). per sollecitarne un giudizio.
Il terminus post quem della silloge del C. potrebbe essere il 1577, anno in cui il poeta pubblicava l'ode alcaica Ad Horatiam Archintum (nell'opuscolo Deo optimo maximo gratiarum actio, dedicato al cardinale F. Alciati, Milano, Ponti, 1578); l'ode, insieme con la gratiarum actio, furipubblicata nella raccolta del 1579, pp. 58, 101, con la precisazione "in ortu Cometae qui anno MDLXXVII exarsit". L'opera, che consta di due libri di poesie liriche (pp. 3-59), un libro di Hendecasyllabi (pp. 60-89), due di elegie (pp. 90-130), uno di epigrammi (pp. 131-160), è dedicata al cardinale Alciati, mediante l'ode alcaica che apre la raccolta.
Il porporato, che ha lasciato Pavia per Roma dove vive alla corte di Gregorio XIII, è chiamato dal poeta "nostri Canturii fama veterrimi, ac Romae decus inclytae" (p. 4), e invitato a non respingere i doni devoti della sua umile patria, ossia le poesie del C. (p. 3). Da esse traspare un sincero amore per la sua terra, Cantù, soggetta in quegli anni, come del resto l'intera Lombardia, a rovinose pestilenze; al di là dell'invadente imitazione catulliana, scorgiamo nell'epodo Ad Canturium (pp. 32-33) un tono sincero, da porre probabilmente in rapporto con il suo ritorno da Roma. Alcuni carmi sono dedicati a suoi congiunti, come l'ode alcaica Ad Splendianum Civellum (pp. 11-12), in cui il C. si augura, riferendosi ai recenti rovesci della propria famiglia, che la "molesta cura" non punga Splendiano, "dulce decus columenque" dei suoi cari. Si possono ricordare inoltre i componimenti in faleci a Cristoforo Tanzi (p. 91), a Giovanni Andrea Tanzi (p. 82), l'elegia allo stesso C. Tanzi (p. 90). Altri sono dedicati a sacerdoti, vescovi e cardinali (p. 18, saffica al vescovo Nicolò; p. 23, alcaica per l'elezione del papa Pio V; p. 29, al cardinale Carlo Lotaringi; p. 60, faleci al vescovo Lelio Giordario; p. 69, al protonotario apostolico Pietro Galesino, ecc.), a uomini politici (p. 87, al senatore milanese Pietro Odescalchi, che il C. chiama suo "patronus" e di cui si dichiara "cliens"), a poeti (p. 33, epodo a Cornelio Magnani), a eruditi (p. 82, faleci a Francesco Ciceri).
Molte poesie hanno il modesto aspetto di esercitazioni letterarie: nei carmi lirici il C. si ispira a Orazio e Prudenzio, negli Hendecasyllabi a Catullo, nelle elegie a Ovidio. La lingua è accurata, la prosodia è rispettata, ma non si va oltre una decorosa imitazione dei classici. Un maggior interesse documentario presentano i numerosi componimenti dedicati alla Vergine (pp. 5, 24, 43, 49, 62), che si possono spiegare nel clima proprio della Controriforma, di cui il C. è zelante sostenitore. Infatti nell'elegia Di Girolamo della Rovere, arcivescovo di Torino (p. 107) si scaglia contro gli scismatici Calvino e Lutero, ai quali "non è in grado di prescrivere una punizione adeguata". Alcune sue poesie risentono poi della mobilitazione, voluta da Pio V, della Cristianità contro i Turchi (p. 35) o riflettono l'eco della vittoria di Lepanto (pp. 38, 142) o approvano il massacro dei nobili protestanti in Francia (p. 41). I Carmina del C. furono ripubblicati nel 1583 e ancora nel 1588 (Milano, Sirta) con dedica al cardinale Tolomeo Galli, a dimostrazione di una certa fortuna incontrata dall'opera in cui si mescolavano erudizione e mitologia, edificazione e religiosità, moduli classici e contenuti cristiani.
Come sappiamo dalle memorie scritte della prepositurale di Cucciago, il C. vi fu prevosto fino al 1605, e possiamo presumere che questa sia pure la data della sua morte.
Bibl.: In generale F. Picinelli, Ateneo dei letterati milanesi, Milano 1670, p. 209; F. Argelati, Bibl. script. Mediolanensium, I, 2, Mediolani 1745, coll. 437 s.; L. Randi, G. Ginori e F. C., poeti del secolo XVI, Firenze 1896, pp. 25-45; E. Brambilla, F. C. o Chiavelli, in Classici e neolatini, II (1906), pp. 32 ss.; G. Motta, Vicende storiche ed aspetti della antica e nuova Cantù, Cantù 1970, p. 147. Dopo un lungo silenzio, i Carmina del C. sono menzionati in G. Cinelli Calvoli, Bibl. volante continuata dal dott. D. A. Sancassani, II, Venezia 1735, p. 155, che cita da un'ediz. del 1577 alcuni componimenti dove il C. deplora la condizione di Milano, colpita dalla pestilenza (forse i carmi Ad Mediolanenses grassante iam peste, pp. 54 s., e In pestem, pp. 56 s.). Un'appendice di testi tratti dai Carmina è pubbl. dal Randi, cit., pp. 35-45; l'ode in metro epodico Ad Canturium (pp. 32 s.) è ripubblicata da C. Annoni, Monumenti e fatti politici e religiosi del borgo di Canturio, Milano 1835, p. 334, e con traduzione poetica dal Brambilla, pp. 32 s.