GIUNTINI (Junctinus o Junctin), Francesco
Nacque a Firenze il 7 marzo 1523 (stile fiorentino 1522). Le notizie biografiche su questo carmelitano, che fu maestro di teologia, letterato e uno degli astrologi più famosi della seconda metà del Cinquecento, sono scarse e non sempre attendibili. Se la maggior parte delle informazioni sono rintracciabili nelle dediche e prefazioni delle sue opere, indicazioni su taluni eventi della sua vita sono presenti in un "tema" di nascita da lui delineato che, ancorché anonimo, fa senza dubbio riferimento alla sua persona (cfr. Speculum astrologiae, Lugduni 1581, I, pp. 136-138; II, p. 1148).
A cinque anni corse il rischio di morire a causa di una febbre pestilenziale; nel 1537 assunse il sacro ordine del suddiaconato e il giorno dell'ascensione del 1540 cantò la sua prima messa solenne. Nel 1551 conseguì il dottorato in teologia presso l'Università di Pisa, dove seguì le lezioni del maestro carmelitano Giuliano Ristori da Prato, che nel suo insegnamento commentava con acume e competenza il Quadripartitum di Tolomeo, come è testimoniato dalla trascrizione, a opera di un allievo, di numerose lezioni sui primi due libri dell'opera tolemaica conservata nel ms. 157 della Biblioteca Riccardiana di Firenze. La perizia astrologica del Ristori, esperto anche di chiromanzia e fisionomia, è poi documentata dal minuzioso e acuto oroscopo delineato per Cosimo I de' Medici nel 1537, l'anno della sua ascesa al potere (Castagnola). Il G. ricordò sempre il proprio maestro con devozione e affetto, oltre che con profonda stima per le sue competenze astrologiche e le sue capacità predittive, testimoniate, a quanto narra l'allievo, da un celebre pronostico per il 1528, che stupì per la sua esattezza Siena, Roma e l'Italia tutta, dato alle stampe sotto il nome dell'astronomo tedesco Iohannes Stöffler.
Con l'elezione alla carica di provinciale del proprio Ordine il 18 nov. 1554 il G. conseguì il più alto traguardo nella propria carriera. Negli anni precedenti, tra il 1545 e il 1550, aveva trascorso un periodo di grandi difficoltà: nel 1557 ebbe luogo una vera e propria catastrofe cui il G. allude in modo estremamente reticente, limitandosi a informarci che non solo fu ammalato per molti mesi, ma che andò incontro alla perdita degli onori e dovette subire l'onta del carcere e della tortura ("bracchiorum tormenta").
Il periodo buio non ebbe fine, in quanto nel 1561, in seguito all'ira di "un gran principe", dovette patire calunnie, l'odio di potenti, la perdita di onori e ricchezze, di nuovo il carcere e quindi un precipitoso esilio, che lo salvò da una tragica fine. È probabile, per la cautela con cui allude a tali eventi e per quanto si vedrà in seguito, che tali persecuzioni siano state la conseguenza delle simpatie per dottrine religiose eterodosse: gli eventi precipitarono quando il G. si trovava a Venezia per allestire una ristampa aggiornata della Descrizione d'Italia di Leandro Alberti. All'inizio del Discorso sopra lo stato della magnifica città di Lione, annesso a una nuova edizione (Lione 1582) delle Historie della città di Firenze di Iacopo Nardi, da lui conosciuto di persona a Venezia, il G. allude in questi termini alle sventure che lo costrinsero all'esilio: "mi nacquero all'improvviso alcuni accidenti fuor d'ogni mio pensiero, che mi constrinsero di abbandonare questa onorata impresa, e di mutare la Italia per la Francia, e Fiorenza per Lione"; cambiamento accettato di buon grado, perché l'uomo saggio sa che è indifferente il luogo dove si vive, in quanto "dappertutto il sole si leva, risplendono ovunque le stelle, et equalmente l'uomo [deve] nascere e morire". Un'interessante testimonianza sul soggiorno veneziano verrà offerta, a molti anni di distanza, da Girolamo Diedo, che nell'epistola di dedica al G., datata 10 apr. 1584, della sua Anatomiaceleste (Venetia 1593), mentre esprime ammirazione e gratitudine per colui che considera il proprio maestro ed è ritenuto "uno de principi all'età nostra delle matematiche", si compiace di ricordare che la passione per le scienze celesti gli era stata instillata dal G. stesso fin dal 1559, quando questi risiedeva a Venezia "amato, stimato et honorato da tutti".
Il G. giunse a Lione il 28 apr. 1561 e sarebbe vissuto per una trentina d'anni inserito nella popolosa colonia italiana della fiorente città francese, che, dopo un periodo di grande prosperità, si avviava verso il declino. Che la precipitosa fuga dall'Italia fosse motivata da ragioni religiose è confermato da Antonio Possevino, che a sua volta trascorse alcuni anni a Lione, convinto che la città fosse particolarmente bisognosa di un'assidua opera di proselitismo per le minacce sempre più pericolose da parte degli ugonotti. Gli accenni al G. nella sua Bibliotheca selecta sono improntati a una viva ostilità, e non mancano considerazioni malevole nei suoi confronti. Possevino afferma che egli, dopo avere apostatato, era rientrato in seno al cattolicesimo con una pubblica e solenne cerimonia di abiura nella chiesa della S. Croce in Lione, ma non nasconde tutta la sua diffidenza sulla sincerità di questo ritorno alla religione cattolica, soprattutto a causa dall'autentica devozione del G., mai sconfessata, nei confronti della divinazione astrale.
Il contrasto dottrinale doveva poi riguardare in modo specifico il significato da attribuire al sacrificio della messa. Sulla delicata questione Possevino scrisse un opuscolo, il Trattato del S. Sacrificio dell'altare dellamessa (Lione 1563), sostenendo che esso andasse inteso come un vero e proprio sacrificio che scaccia l'idolatria e ogni falso culto: l'opuscolo fu ristampato nel 1565 insieme con un Trattato a esso contrapposto del lucchese Nicola Balbani, che intendeva provare, al contrario, come "il sacrificio della messa è una inventione degli uomini e una orrenda idolatria". A sua volta il G. dette alle stampe una Predica nella quale si dimostra la realitàdella presentia del corpo di Giesù Cristo (Lione, Sisto Somasco, 1566), tenuta il 14 gennaio nella chiesa di S. Giovanni: prendendo posizione contro le dottrine di G. Calvino, P. Viret, T. Beza e dei sacramentari, egli afferma di sperare che i "cattolici crederanno alle mie parole, ancor che gli eretici si glorino che altre volte io abbi scritto in loro favore", confermando in tal modo antiche simpatie riformate.
Fin dal periodo giovanile, quando viveva in Toscana, il G. fu in contatto con gli ambienti delle accademie e anche in seguito coltivò interessi letterari. A lui è indirizzata la Lettera del dubioso academico, in cui l'anonimo autore (in verità Ludovico Castelvetro), venuto a sapere che il G. lavorava a una nuova edizione del Decamerone presso l'editore lionese Rovillio, gli sottopone una serie di questioni riguardanti il testo, manifestando il proprio disaccordo su talune questioni discusse da Luca Antonio Ridolfi nel Ragionamento… sopra Boccaccio (Lione 1557). Nella risposta che fa seguito alla lettera, il G., pur criticando chi si permette di correggere in modo inopportuno i grandi autori e affermando di non potersi pronunciare sul Ragionamento, che non è riuscito ancora a vedere, avanza taluni suggerimenti, inviando al proprio interlocutore dei sonetti di Boccaccio e uno proprio scritto in risposta a un sonetto astrologico di Alfonso Cambi Importuni. Le capacità poetiche del G. sono confermate da un sonetto che apre la serie dei numerosi versi premessi alla Storia della guerra fatta in Ungheria dall'invittissimo imperatore de' cristianicontro quello de' Turchi (Lione 1568) scritta da Pietro Bizzarri e dedicata a Francis Russell, conte di Bedford. Il sonetto del G., indirizzato allo stesso Russell e in lode del Bizzarri, che, originario dell'Umbria, era passato a Venezia, dove si era convertito all'evangelismo, e quindi in Inghilterra, dove aveva frequentato il circolo di Bernardino Ochino, conferma i suoi rapporti con rappresentanti e ambienti del dissenso religioso: il Bizzarri a sua volta ricambiò l'amicizia e la stima con i versi latini, in lode della perizia astrologica del G., del Decasticon ad lectorem premesso al Tractatus iudicandi revolutionesnativitatum (Lione 1570).
Gli interessi letterari del G. si coniugano con quelli astrologici nel Discorso sopra il tempo dello innamoramento delPetrarca (Lione, G. Rouillé, 1567), dedicato "alli magnifici signori Academici Fiorentini", nel quale egli riesamina la questione del giorno dell'innamoramento del poeta, cogliendo una contraddizione nell'opinione corrente, che lo indicava nel venerdì santo e lo identificava nel 6 apr. 1327, in quanto la Pasqua quell'anno era stata celebrata il 12 aprile. Anche in base a considerazioni astrologiche, il G. ritiene che l'evento sia da assegnare non al venerdì, bensì al lunedì della settimana santa: il dibattito sulla questione - oggetto di uno scambio epistolare di pareri tra Lucantonio Ridolfi e Alfonso Cambi Importuni - è riportato nel volume Il Petrarca con nuove spositioni (Venezia 1586, cc. F4 ss.), dove è stampata anche una lettera del G. a Ludovico Domenichi sull'intera questione. Il ricordato discorso è seguito da un altro indirizzato a Lorenzo Capponi, che mira a chiarire quale sia la stella che, con Venere, è indicata a significare l'aurora nel sonetto petrarchesco "Già fiammeggiava l'amorosa stella", individuandola, contrariamente all'opinione corrente, in Giove, e non in Calisto, anche in base a una suggestione di Gabriele Simeoni.
A conferma dei persistenti legami con la propria città d'origine, all'inizio del 1578 il G. appose alcune pagine all'edizione della Difesa della città diFirenze e de i Fiorentini (Lione) del medico e filosofo Paolo Mini, volta a difendere la città toscana da calunnie quali le gravissime accuse di ateismo e machiavellismo, per sottolinearne invece la nobiltà, l'antichità, la pietà, il valore militare, le ricchezze artistiche e letterarie.
Ma furono senza dubbio le competenze astrologiche ad assicurare al G. la più ampia rinomanza europea, che gli consentì anche di stabilire rapporti di stima e di amicizia con insigni personaggi, in particolare della corte francese: egli non solo si fregiava del titolo di elemosiniere del duca d'Anjou, ma si faceva vanto di avere predetto al futuro Enrico III il Regno di Polonia e nel 1573 dedicò la prima edizione della sua opera più famosa, lo Speculum astrologiae, a Caterina de' Medici, con un'epistola molto abile, in cui l'elogio della regina madre e della sua illustre famiglia si intreccia a un'ispirata esaltazione dei meriti e della nobiltà dell'astrologia. Nello stesso anno vide la luce, presso gli eredi di Iacopo Giunti, il ricordato Tractatus iudicandi revolutiones nativitatum, dedicato a Pietro Arnaldo Navalio, prefetto del duca di Nemours, opera che godette di un'ampia diffusione e successo, testimoniati dalla traduzione spagnola conservata nella Biblioteca nacional di Madrid (ms. 8935) e da un esemplare a stampa della Biblioteca apost. Vaticana (Vat. lat. 12743) corredato di un fitto apparato di correzioni, postille e modifiche.
L'anno seguente fu pubblicato un breve testo italiano, la Diffesa dell'astrologia, in cui l'autore si propone di riscattare l'arte da un doppio e opposto errore, collocandola in una posizione mediana tra la dottrina degli Stoici, fautori di un rigido determinismo, e quella degli Epicurei, i quali, persuasi che tutto avvenga a caso, negano ogni forma di provvidenzialismo. Secondo il G. gli innegabili condizionamenti celesti non annullano la libertà umana, e in successive aggiunte al testo, che negli anni successivi andò ampliandosi notevolmente, si sforzò di ribadire la compatibilità tra influssi astrali e libero arbitrio, rispondendo a una fitta serie di obiezioni, soprattutto di natura teologica, e affrontando temi scottanti come quello dell'oroscopo di Cristo o dell'origine del male: è interessante e curioso rilevare che su quest'ultimo problema egli non esiterà a riportare, senza citare la fonte, ampi brani del De incantationibus di P. Pomponazzi.
Il trattatello, tradotto in latino con il titolo di Defensio bonorum astrologorum, fu inserito, a dire del G. senza la sua autorizzazione, in una silloge intitolata Dedivinatione quae fit per astra, che vide la luce nel 1580 a Colonia, "ap. L. Alectorium et haer. I. Soteris", per iniziativa di un malevolo personaggio anonimo che il G. invitava vivacemente a svelare la propria identità: "cur sibi larvam non detrahit, meo cupiens nomini detrahere?". In tale raccolta, al testo del G. in favore dell'astrologia veniva contrapposta una prolissa Oratio contro la superstizione dei genetliaci del controversista francese, professore a Lovanio, Jean de Lens. Ai due testi principali venivano poi annessi un ampio stralcio sulla liceità della divinazione e i suoi limiti tratto dalla Summatheologiae (II, 2, quaestio 95, art.1) di s. Tommaso; l'appassionato proemio delle Responsiones del senese Lucio Bellanti alle Disputationes adversus astrologiam divinatricem di G. Pico della Mirandola; il cap. XXV del De vitacoelitus comparanda di Marsilio Ficino. La Defensio fu poi premessa dal G. quale introduzione generale alla sua opera più famosa, il ricordato Speculum astrologiae, che dopo la prima edizione lionese del 1573, presso l'editore Filippo Tinghi, in quelle successive del 1581 e 1583 venne ad assumere dimensioni enciclopediche. Nei due monumentali tomi confluirono infatti molti testi anche di altri autori, dai Centiloqui dello Pseudo Tolomeo e di Ermete alle Teoriche di G. Peurbach e molti altri, e pressoché tutti i lavori astronomici e astrologici che il G. aveva elaborato negli anni precedenti: dall'amplissimo commento a Tolomeo che, corredato a titolo di esemplificazione di numerosissimi temi di natività, costituisce una fonte quanto mai ricca, e ancora tutta da esplorare, di dati e informazioni su numerosi personaggi, al commento alla Sfera di G. Sacrobosco, il cui testo emendato e commentato dal G. aveva già visto la luce in precedenti edizioni, latine e italiane, a partire dal 1564, e poi nel 1578 e 1582; dalla Synopsisde restitutione calendarii, dedicata al duca di Alençon, già edita a Lione nel 1579 con annesse le Tabulae resolutae, nelle quali il G. adotta per i suoi calcoli la dottrina copernicana, a cataloghi stellari, elenchi di comete e di eclissi, lavori cronologici e astronomici.
Nelle pagine in apertura dello Speculum, dirette ai padri inquisitori, G. insiste nel proporre un accordo fra teologia e astrologia, che egli intende riscattare dalle calunnie di coloro che la osteggiano ritenendola radicalmente conflittuale con la prima; affermando di non avere mai voluto sostenere alcunché in contrasto con il libero arbitrio e la provvidenza divina, il G. non esita a invitare i censori a correggere eventuali errori. L'invito venne prontamente raccolto, soprattutto in seguito alla bolla antiastrologica Inscrutabilis di Urbano VIII del 1631 e all'Indice dell'anno successivo, e in taluni esemplari dello Speculum molte sezioni, ritenute troppo compromesse con il determinismo astrale, subiranno pesanti mutilazioni. La perizia del G. nell'elaborare dettagliati temi di nascita è confermata da alcuni oroscopi rimasti manoscritti, come quello, delineato il 20 giugno 1551 e approvato dallo stesso Giuliano Ristori, per un certo Giovanni Fiorentino (Firenze, Biblioteca nazionale, Nuovi acquisti, 1213), o quello per una dama sconosciuta (datato 15 maggio 1573 e conservato a Parigi, Bibliothèque nationale, Fonds ital. 918), o ancora quelli conservati a New York (Columbia University Library, Plimpton coll., 225, redatto il 13 maggio 1579) e a Siena (Biblioteca comunale, ms. L.X.48, datato 13 dic. 1578).
Fra il 1572 e il 1577, in occasione della comparsa della stella nuova e di una cometa, che suscitarono vivaci dibattiti in tutta Europa, il G. non mancò di far sentire la propria voce, scrivendo opuscoli e discorsi di cui non è sempre facile seguire le vicende redazionali ed editoriali, in quanto furono tradotti, riutilizzati e ristampati molteplici volte. Un Discorso soprala cometa, datato 28 dic. 1572, vide la luce in francese come Discours sur ce que menace la comète (Lione, François Didier), e in italiano, con dedica a Giovanni Bonaccorsi, maestro di camera della regina di Navarra (Venezia, Domenico Farri, 1573). Un successivo Discours sur ce que menace devoir advenir la comèteapparue a Lyon le 12 nov 1577 vide la luce a Lione, sempre presso il Didier, e a Parigi, presso Gervais Mallot: copie manoscritte dei Discorsi sono conservate a Napoli (Biblioteca. nazionale, ms. I.E.56, cc. 19-31), a Milano (Biblioteca Ambrosiana, R.95 sup.) e alla Biblioteca apost. Vaticana (Barb. lat. 4297; Vat. lat. 6556). Anche se in alcuni lavori del G. si è voluto intravedere l'emergere di elementi di novità, per l'attenzione nei confronti del sistema copernicano (Hellman, 1964), in verità soprattutto negli opuscoli sulle comete risultano prevalenti gli elementi legati alla tradizione, con una forte, e pressoché esclusiva, accentuazione degli interessi predittivi. Ciò che da un lato portò alla compilazione di un catalogo delle varie comete e dei loro significati, tratto dalle opere del G. e intitolato Tractatio utilis et lectu digna de cometarum causis, effectibus, differentiis… ex F.IunctiniFlorentini excerpta (Lipsiae, Ioannes Steinman, 1580); dall'altro provocò le critiche di Francisco Sanches, che nella presentazione del suo poema latino Carmende cometa (Lione 1578), che si propone di confutare ogni genere di divinazione astrale per ribadire l'immutabilità dell'ordine e del rigore delle leggi della natura, afferma che lo spunto per questa critica radicale gli è stato offerto dal recente Discorso di un certo Giuntini (che citò anche in margine ai versi del poema), nel quale "doctus vir pluribus experimentis probare nititur semper crinita astra aliquid portendere mali".
Ai primi anni '80 risale poi un'aspra polemica con un allora giovane matematico che diventerà in seguito famoso, Giovanni Antonio Magini, che nel presentare una nuova edizione di Effemeridi da lui curata (Venezia 1582), nel correggere gli errori e le inesattezze delle tavole precedenti non aveva risparmiato severe critiche a quelle di Giovanni Stadio (di cui il G. aveva curato l'edizione di Colonia, 1581) e allo stesso G., qualificandolo con scherno come "vir qui pauca intelligit et multa scribit". Il G., indignato dallo sprezzante giudizio, si affrettò a inviare a Magini, "adolescenti eruditissimo", una lettera in cui si difendeva con dignità, rimproverando al giovane interlocutore la violenza dell'attacco nei confronti dello Stadio, morto nel 1579, e della sua persona; non avendo avuto soddisfazione, dava alle stampe una seconda Lettera a mododi difesa (Lione 1583), nella quale, oltre a rimproverare l'arroganza del giovane studioso, ne metteva in rilievo taluni errori, aggiungendo in appendice la lettera precedente. A queste proteste Magini replicava con una durissima Apologetica responsio (Padova 1584), nella quale lo Speculum di G., la cui "ingens magnitudo" a suo dire poteva impressionare solo gli incompetenti ma non i dotti, era definito un tenebrosumspeculum, in cui erano raccolte le infinite "nugae" degli Arabi e di altri scrittori barbari; inoltre egli denunciava impietosamente i plagi del G., che nei suoi scritti - che in verità hanno spesso un carattere dichiaratamente enciclopedico e compilativo - non si era peritato di attingere a piene mani da testi medievali, quali la Summa Anglicana di Giovanni da Eschenden, e da autori del suo secolo più o meno famosi, quali B. Vespucci, G. Padovani, I. Stöffler, Cornelio Gemma, I. Witekind, per non dire L. Gaurico, G. Cardano, Garcaeus e molti altri, insinuando altresì che anche per il commento a Tolomeo, di cui il G. si faceva vanto, fosse in larga parte debitore delle lezioni del suo maestro Ristori, in quanto l'autore spacciava per propri oroscopi di personaggi vissuti in tempi anteriori alla sua nascita.
L'anno della morte del G. viene fatto risalire al 1590, ma la causa indicata da talune fonti (il crollo della sua biblioteca) è ritenuta non attendibile dal Thorndike, in quanto già utilizzata per altri personaggi.
Non chiare sono anche le notizie riguardanti le sue presunte ricchezze, accumulate, a quanto insinua Possevino, praticando l'usura e particolari forme di cambio (ciò che risulta in contrasto con taluni passi del Discorso sulla città di Lione, in cui il G. condanna tali pratiche), e che sarebbero ammontate a 60.000 scudi, parte dei quali lasciati in eredità ai Giunti, presso la cui casa editrice il G. aveva lavorato per lunghi anni: ricchezze che, non ritrovate alla sua morte, alcune fonti affermano essere state distribuite ai poveri.
Fonti e Bibl.: Per le copie mss. annoverate nei volumi I-V dell'Iter Italicum di P.O. Kristeller cfr. A cumulative indextovolumes I-VI, sub vocibusGiuntini, p. 237 e Junctinus, p. 297; le edizioni lionesi sono recensite con ogni cura in H. Baudrier, Bibliographie lyonnaise, Lyon 1895-1921: si vedano i voll. III, pp. 368, 492; IV, pp. 84, 91; V, pp. 60-65, 70; VI, pp. 312, 322, 333, 459, 463, 470-485; VIII, p. 374; A. Possevino, Bibliotheca selecta, Romae 1593, II, libro XV, cap. 15, pp. 283 s.; N.A. Caferri, Synthema vetustatis, Roma 1667, p. 58; G.B. Riccioli, Chronologia reformata, Bologna 1669, p. 228b; G.M. Crescimbeni, L'istoria della volgar poesia, Roma 1698, p. 313; B. Baldi, Cronica de' matematici, Urbino 1707, p. 132; G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, pp. 197 s.; G. Cinelli Calvoli, Biblioteca volante, Venezia 1734-47, III, p. 53; P. Bayle, Dictionnaire historiqueet critique, 5a ed., Amsterdam 1740, II, p. 882; J.-P. Nicéron, Mémoires pour servir à l'histoiredeshommes illustres…, Paris 1740, XLI, p. 196; A. Gaschet d'Artigny, Nouveaux mémoires d'histoires, Paris 1749-56, II, p. 406; Dissertatio de vita et scriptis F. Junctini, in C. de Villiers de Saint étienne, Bibliotheca Carmelitana, Aurelianis 1752, I, coll. 494-502; D. Moreni, Bibliografia storico-ragionatadella Toscana, I, Firenze 1805, p. 445; F. Inghirami, Storia della Toscana, XIII, Fiesole 1844, pp. 180 s.; P. Riccardi, Biblioteca matematica italiana, Modena 1870, I, 1, pp. 610 s.; H.-A.-S. de Charpin-Feugerolles, Les florentinsàLyon, Lyon 1893, pp. 84 s.; C.D. Hellman, Bibliography of tracts and treatises on the comet of1577, in Isis, XXII (1934), p. 57; G. McColley, F. G. and the Copernican hypothesis, in Popular Astronomy, XLV (1937), pp. 70-73; L. Thorndike, History of magic and experimentalscience, New York 1941, V, pp. 326 s.; VI, pp. 129-133; C.D. Hellman, The gradual abandonment of the Aristotelian universe: a preliminary note onsomesidelights, in L'aventure de la science. MélangesA. Koyré, I, Paris 1964, pp. 286-293; Id., The comet of 1577: itsplace in the history of astronomy, New York 1971, pp. 377-379; G. Zanier, Ricerche sulla diffusione e fortuna del"Deincantationibus" di Pomponazzi, Firenze 1975, pp. 90 ss.; Catalogo della XVI Mostra europea su Firenze e la Toscana deiMedici nell'Europa del Cinquecento, Firenze 1980, sez. VI, La rinascita della scienza, a cura di P. Galluzzi, schede nn. 6.7, p. 186, 6.34, p. 191; sez. VIII, Astrologia, magia e alchimia nel Rinascimento fiorentino ed europeo, a cura di P. Zambelli, schede a cura di G. Ernst, nn. 3.3.20, 3.3.21, 3.3.22, 3.4.12, pp. 375 s., 381; G. Albassio, Biobibliografia di F. G. (1522-1590), in Schema. Rivista trimestrale di ricerca e documentazione dell'astrologia classica, I (1986), pp. 151-161; V. Grohovac, Eresia, editoria e culto delle tre corone fiorentine a Lione nel secondo Cinquecento. La "Lettera del dubioso academico al molto magnifico M.F. G. fiorentino", in Aevum, LXXI (1987), pp. 741-753; R. Castagnola, Un oroscopoper Cosimo I, in Rinascimento, XXXIX (1989), pp. 125-189; G. Ernst, Religione ragione natura. Ricerche su T. Campanella e il tardo Rinascimento, Milano 1990, pp. 261-265; J.-F. Michaud, Biographie universelle, sub voce.