GATTINARA, Francesco Giuseppe Arborio di
Figlio quartogenito del marchese Carlantonio Mercurino (morto nel 1726) e di Placida Besozzi, nacque a Gravellona Lomellina, ove il padre si trovava in qualità di capitano dell'esercito imperiale. La data della nascita di Angelo Antonio (questi i nomi impostigli al battesimo) è incerta giacché il Manno la pone nel 1656, mentre il Chenna (e da questo Ritzler - Sefrin) nel 1658.
Carlantonio Mercurino apparteneva a una famiglia dell'antica nobiltà vercellese (il cui nome traeva origine dal consortile di Arboro) che nel XVII secolo possedeva vasti latifondi. La sua linea (che si fregiava dei titoli di marchesi di Gattinara, conti di Viverone e di Albano, baroni di Sant'Agata e signori di Teruggia) risaliva all'Alto Medioevo, ma s'era affermata nel XVI secolo con Mercurino, gran cancelliere di Carlo V, del cui erede il nipote e figlio adottivo Gian Giorgio il marchese Carlantonio era diretto discendente. Dal matrimonio con la Besozzi e da quello successivo con Matilde Tizzoni di Desana egli ebbe undici figli, di cui sei maschi. Di questi i primi tre seguirono la vita militare, mentre per i successivi fu scelta la carriera ecclesiastica. Insieme con il G. presero gli ordini anche i fratelli minori (figli della Tizzoni) Giovanni Mercurino, la cui carriera seguì strettamente quella del fratello maggiore, e Arcangelo, canonico lateranense.
Entrato nella Congregazione dei padri barnabiti nel 1676, dopo aver compiuto gli studi regolari e frequentato i corsi previsti in varie città d'Italia (fra cui Milano, Firenze, Bologna, Genova e Venezia) il G. ricevette l'ordinazione sacerdotale il 21 febbr. 1682. I nomi Francesco e Giuseppe risalgono al suo ingresso nell'ordine.
Nel volgere di pochi anni il G. percorse una brillante carriera, sino a ricoprire, nel 1703, la carica di preposto provinciale. Al principio del secolo svolse alcuni incarichi segreti per conto del papa, Clemente XI, il quale lo ricompensò con il conferimento, il 12 apr. 1706, della sede vescovile di Alessandria, che tenne per oltre vent'anni.
La sua nomina cadde nel pieno della guerra di successione spagnola (1701-13), al termine della quale la città entrò a far parte dello Stato sabaudo. Il G. giunse ad Alessandria in un momento assai critico: quando, il 13 giugno, fu consacrato vescovo, la città era ancora assediata dalle truppe austriache, guidate dal principe Eugenio di Savoia, che avevano invaso il territorio del Ducato di Milano per portare aiuto al duca di Savoia, Vittorio Amedeo II. L'assedio non impedì al G. di celebrare comunque, il 29 settembre, la cerimonia solenne del proprio insediamento. Dopo che il 14 ottobre la città si arrese alle armate imperiali e l'8 marzo 1707 il barone Heinden ne prese possesso in nome di Vittorio Amedeo II, il G. ebbe modo di compiere una prima visita pastorale nella città e nella diocesi; altre due ne seguirono nel 1714 e nel 1722.
La sua nomina può essere considerata un punto importante dell'azione operata dal governo sabaudo, soprattutto dopo il 1713, per garantirsi il controllo della città.
Nei primi anni la cattedra alessandrina rappresentò tuttavia un incarico assai gravoso per il G.; nel 1710, valendosi anche dell'appoggio del sovrano, che nutriva nei suoi confronti sentimenti di stima e amicizia, il G. tentò di esser trasferito nella diocesi di Como, lasciando il vescovato d'Alessandria a Tommaso Francesco Roero. Il tentativo tuttavia fallì perché la supplica giunse a Roma dopo che s'era già provveduto alla nomina.
Il G. profuse un grande impegno nell'amministrazione della diocesi; fra le sue diverse attività vanno ricordate il restauro e l'ampliamento del seminario (nel quale nel 1716 istituì una nuova cattedra di teologia) e la pubblicazione del sinodo diocesano nel 1711, Universae constitutiones synodales Ecclesiae Alexandrinae hactenus repertae…, Alexandriae, typis Joannis Baptistae Tavennae. Fu maestro e ispiratore di Paolo Francesco Danei (il santo Paolo della Croce), fondatore dell'Ordine dei padri passionisti.
Il momento di svolta nella carriera del G. fu il 1727. La stipula del concordato fra Roma e Torino, infatti, aveva messo fine alla lunga controversia che aveva opposto Vittorio Amedeo II, ora re di Sardegna, al papa. Fu allora possibile attribuire le numerose cattedre episcopali rimaste vacanti, fra le quali era anche (dopo la morte di Michele Antonio Vibò nel 1713) quella d'arcivescovo di Torino. Secondo la Memoria concernente i requisiti che dovrebbero avere i promovendi per rimediare agli abusi delle diocesi, al nuovo arcivescovo di Torino si richiedeva una lunga esperienza, l'appartenenza a una famiglia "riguardevole", la capacità di intervenire presso quei numerosi ecclesiastici che, approfittando della lunga sede vacante, s'erano allontanati dall'abito. Il problema stava molto a cuore al sovrano, soprattutto dopo che le riforme universitarie avevano fatto giungere a Torino numerosi studenti destinati a divenire il nerbo dell'amministrazione dello Stato. La scelta del sovrano cadde allora sul G., il quale tuttavia in un primo tempo rifiutò, adducendo la propria età ormai avanzata (a quasi settanta anni era uno dei vescovi più anziani tra quelli nominati tra il 1727 e il 1730) e la salute malferma, ma Vittorio Amedeo II non modificò la sua decisione ed egli prese possesso dell'arcidiocesi della capitale.
Nell'ottobre del 1727 un altro stretto parente del G. compì un importante passo nella carriera ecclesiastica: l'abate Francesco Veremondo Gattinara (1669-1728), fratello minore di Carlantonio e quindi zio del G., elemosiniere di corte dal 1709, fu nominato abate di S. Mauro.
Fra il 1727 e il 1731 il nuovo arcivescovo compì le visite pastorali, e quando nel 1729 fu pubblicato il sinodo diocesano, egli sembrava ormai prossimo al cardinalato. La porpora fu invece concessa al marchese Vincenzo Carlo Ferrero (cugino del potente ministro degli Esteri) che nel 1727 era succeduto al G. come vescovo di Alessandria e al quale nello stesso anno, per garantirgli una rendita adeguata alla ricevuta dignità cardinalizia, fu conferita la carica di abate di S. Mauro, vacante per la morte dello zio del Gattinara. Egli fu tuttavia compensato sia con la nomina del fratello minore Giovan Mercurino a vescovo di Alessandria (Vincenzo Ferreri d'Ormea era stato infatti spostato alla diocesi di Vercelli) sia con la nomina, il 29 genn. 1730, a grande elemosiniere di sua maestà (carica appositamente istituita da Vittorio Amedeo II per il G., dopo la cui morte non fu più conferita a un arcivescovo di Torino, preferendosi evitare che tali cariche si concentrassero nella stessa persona). La fortuna del G. (che era inoltre prefetto della regia cappella, cancelliere dell'Università e superiore della Congregazione di Superga), non venne meno dopo l'abdicazione di Vittorio Amedeo II. Il suo prestigio, infatti, era grande anche presso Carlo Emanuele III e quando nel settembre 1731 Vittorio Amedeo tentò di riprendere il potere, il giovane sovrano chiamò il G. a far parte del Consiglio che doveva decidere sul da farsi. In tale occasione l'intervento del G. fu determinante nel convincere Carlo Emanuele III della necessità di arrestare e imprigionare il padre.
Il G. morì a Torino il 14 ott. 1743.
Il 4 ag. 1743 era scomparso anche il fratello minore Giovanni Mercurino. Nato nel 1685, sino alla sua nomina a vescovo di Alessandria era stato il principale collaboratore del G., tanto che in un Progetto di nomina de vescovadi si candidava per la nomina a vescovo anche per aver saputo convincere il fratello "alle buone massime in materia di giurisdizione". Dopo aver compiuto nel 1729 la visita pastorale nella città di Alessandria e nel 1731 quella della diocesi, nel 1732 fece stampare il sinodo diocesano. Alla sua morte lasciò un patrimonio di quasi 49.000 lire di Piemonte e 3000 oncie d'argento, che lasciò al collegio dei Ss. Alessandro e Paolo di Alessandria per edificare una chiesa in onore del beato Alessandro Sauli. Giovan Mercurino fu autore di diverse orazioni e molti sermoni si conservano manoscritti.
Pietro Arborio Gattinara (1747-1809), figlio del fratello maggiore Guglielmo Mercurino, fu nel 1788 nominato vescovo di Asti, carica che mantenne sino alla morte.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Torino, Corte, Materie ecclesiastiche, I, mm. 11, filza 6; 29, filza 2; 30, nn. 8, 19, 25; II, mm. 3, n. 16; 4, nn. 3, 12; L'Archivio arcivescovile di Torino, a cura di G. Briacca, in Rivista diocesana torinese, 1980, pp. 312-318; G.A. Chenna, Del vescovado, de' vescovi e delle chiese della città e diocesi di Alessandria, Alessandria 1785, pp. 332-336; C. Dionisotti, Notizie biografiche di vercellesi illustri, Biella 1862, pp. 32 s.; A. Manno, Il patriziato subalpino, II, Firenze 1906, p. 69; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, III, s.v.; R. Ritzler - P. Sefrin, Hierarchia catholica, V, Patavii 1952, pp. 77, 370. Su Giovanni Mercurino: Chenna, Del vescovado…, pp. 340-344; G. De Gregory, Istoria della vercellese letteratura e arti, Torino 1819-24, IV, pp. 80 s.; C. Dionisotti, Notizie biografiche…, pp. 34 s.; Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, III, sub voce.