GIUSTINIAN, Francesco
Primo dei quattro figli maschi di Giovanni di Francesco e di Bianca Morosini di Giovanni di Alvise, nacque il 12 genn. 1628 a Venezia, nel bel palazzo a S. Vidal sul Canal Grande già dei Lolin e che da appena due anni, estintasi quella famiglia, era passato a questo ramo dei Giustinian.
Rimasta vedova nel giugno 1632 dopo cinque anni di matrimonio e altrettanti figli, la madre abbandonò ben presto (27 ag. 1634) tetto coniugale e bambini per risposarsi con Michele Morosini di Andrea, del ramo "in Canonica", al quale diede altri tre maschi; uno di essi, Vincenzo, avrebbe accompagnato il G. nella sventurata ambasceria spagnola, venendo da lui nominato tra i suoi esecutori testamentari.
Il padre era figlio unico, e non sappiamo chi si sia occupato dell'educazione dei piccoli orfani; certo è che, non appena il G. ebbe raggiunto l'età prevista dalla legge, iniziò la carriera politica con il saviato agli Ordini (tradizionale tirocinio del patriziato facoltoso), cui venne eletto il 24 genn. 1653. Poteva essere l'inizio di un brillante cursus honorum, sennonché i mesi che seguirono presentano uno strano accavallarsi di nuove elezioni ad altre cariche, talune accettate, altre rifiutate. Due mesi dopo l'elezione a savio agli Ordini il G. risultava infatti il più votato alla podesteria di Vicenza (12 marzo 1653), ma riuscì a far "tagliare" (invalidare) l'elezione. Nella prassi politica veneziana questo comportamento può trovare due spiegazioni: egli non voleva o non poteva sobbarcarsi un compito e una spesa tanto gravosi, oppure mirava più in alto. A complicare la situazione si aggiungeva, il 7 maggio dello stesso 1653, una nuova nomina a savio agli Ordini, seguita qualche giorno dopo (25 luglio) dall'elezione a provveditore sopra i Conti. Contro ogni logica il G. rifiutò la prima carica accettando la seconda, che sostenne per un anno intero, sino al 24 luglio 1654.
Qualche settimana dopo (5 ag. 1654) era eletto ambasciatore in Francia, e nuovamente può recare motivo di stupore il fatto che presso una delle più importanti corti europee e in una congiuntura tanto delicata (da un decennio la Repubblica era impegnata nella logorante guerra di Candia) fosse inviato un giovane ancora privo di un'adeguata esperienza politica, non solo in ambito internazionale, ma anche sul piano dell'amministrazione interna dello Stato.
Ricevute le commissioni il 27 marzo 1655, il G. si mise subito in cammino per la via di Genova e Lione; l'8 giugno era a Parigi, dove lo attendeva il predecessore Giovanni Sagredo. Il governo della Francia era di fatto nelle mani della regina Anna d'Austria e del cardinal Mazzarino, che dopo aver superato la resistenza interna della Fronda erano impegnati nel duplice conflitto con l'Inghilterra e con la Spagna. Il G. sarebbe stato testimone delle paci concluse con l'una e l'altra potenza (rispettivamente il 23 nov. 1655 e il 7 nov. 1659), ma non ne avrebbe verificato gli sperati benefici per la patria; Venezia infatti sollecitava aiuti contro il Turco presso le corti europee, presentando la resistenza di Candia come una sorta di crociata che si giocava sull'estremo baluardo della Cristianità contro la marea ottomana. Per ottenere gli sperati rinforzi in uomini, navi, denari, la condizione indispensabile consisteva nella pace tra i principi cristiani (non importa se cattolici o protestanti), e a tal fine il G. non risparmiò gli sforzi. Ma non ne ricavò che buone parole e 100.000 scudi offerti a titolo personale dal Mazzarino, che ne ebbe in cambio l'iscrizione del nipote Filippo Giuliano Mancini al patriziato veneziano. A dire il vero, il cardinale aveva lasciato scegliere al G. tra quel denaro e sei "grossi vascelli" da guerra, ma nella circostanza la Serenissima necessitava soprattutto di soccorsi finanziari e per quelli aveva optato. Le gloriose vittorie ai Dardanelli di Lazzaro Mocenigo e Lorenzo Marcello, tra 1656 e il 1657, valsero alla Repubblica universale ammirazione e suscitarono persino degli entusiasmi, ma non si tradussero in alcunché di concreto; risolutivo in proposito il colloquio concesso dal Mazzarino al G. e da quest'ultimo riferito con dispaccio del 27 marzo 1657, quando i Turchi sembravano muovere con rinnovato vigore all'attacco della Dalmazia: "Circa gli aiuti - scriveva - [il cardinale] dimostrò l'impossibilità della corona, adducendo che non solo contro il re di Spagna conveniva sostenere la guerra, ma difendersi insieme dall'imperatore, che senz'alcuna dichiarazione aveva rotta la pace e faceva la guerra alla Francia ed alla Svezia […]. Io vedendo adunque perduta ogni speranza di assistenza e posso dire anche mancandomi le belle e brevi parole che sempre era solito il cardinale a spendere in simili occasioni, stimai proprio come da me tentare la permissione almeno di poter levare qualche numero di genti nel regno […]. Mi dimandò il cardinale dove intendessi levar le genti, gli dissi nella Provenza e Linguadoca, essendo colà il passaggio più comodo, ma egli ha mostrato desiderio che si facessero dall'altro tratto del regno sopra l'Oceano; considerando anche quelle provincie più fornite d'uomini, suppongo che potrò levare tremille uomini".
Fra questi reiterati tentativi destinati tutti all'insuccesso, o tutt'al più a ben magri risultati, si concludeva la legazione del G., che avrebbe lasciato Parigi con le insegne di cavaliere; va detto però che i suoi sforzi rappresentano altrettante tessere di una condotta politica tenacemente perseguita dalla Repubblica al fine di alleggerire la pressione ottomana: una politica che qualche risultato lo avrebbe offerto nell'ultima fase del conflitto, dopo cioè che la pace dei Pirenei e la morte del Mazzarino avrebbero concesso libertà di manovra al re Luigi XIV.
Per seguirne le complesse e lunghe trattative per la pace dei Pirenei e dare modo al giovane sovrano di conoscere l'infanta di Spagna, sua futura sposa, sin dall'agosto 1659 la corte si portò a Bordeaux e poi a Tolosa; naturalmente anche il G. ne seguì gli spostamenti e nel novembre poteva inviare a Venezia i capitoli del trattato, concluso presso Saint-Jean-de-Luz. Poi però non fece ritorno a Parigi, perché da quasi due anni (14 genn. 1657) era stato eletto ambasciatore a Madrid; pertanto, sin da quando si era prospettata una lunga permanenza della corte nel Sud della Francia, il G. aveva ottenuto dal Senato di poter proseguire da lì direttamente alla volta della nuova sede, mentre in attesa dell'arrivo del suo successore lo avrebbe sostituito a Parigi il segretario Francesco Marchesini.
Lasciata Tolosa il 7 dicembre, il viaggio si rivelò disastroso a causa della stagione rigidissima e delle difficoltà del percorso, essendo le strade coperte di neve e ghiaccio, per cui a più riprese la carrozza del G. rimase bloccata in mezzo alla campagna, costringendo lo sventurato ambasciatore a trascorrere la notte fra incredibili disagi. Cominciò a star male a Baiona e a Burgos venne assalito dalla febbre; giunto a Madrid il 27 genn. 1660 dopo un'odissea protrattasi per cinquanta giorni, fu visitato dai medici personali del re che ne diagnosticarono la fine imminente. Conosciamo i suoi ultimi giorni dalla testimonianza dell'ambasciatore straordinario presso la corte spagnola, Giacomo Querini, e dal testamento dettato dallo stesso G. il giorno prima della morte. Vi nominò erede il fratello Paolo e volle essere sepolto presso il padre, nell'isola di San Clemente, dove è tuttora leggibile l'iscrizione funebre.
Il G. morì a Madrid il 3 febbr. 1660.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Misc. codd., I, Storia Ven., 23: M. Barbaro - A.M. Tasca, Arbori de' patrizi veneti, p. 462; Segretario alle voci, Elezioni in Maggior Consiglio, reg. 20, cc. 33, 138; Ibid., Elezioni in Pregadi, reg. 17, cc. 7, 14-16, 48; Senato, DispacciFrancia, filze 118-122; Capi del Consiglio dei dieci, Lettere di ambasciatori, b. 11, n. 253; Notarile, Testamenti, b. 1146/340; Venezia, Bibl. del Civico Museo Correr, Mss. P.D., C 1166/19 (affrancazione di 1000 ducati presi a livello da Domenico Zane, suo predecessore a Madrid, in data 22 apr. 1659); Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, VII, Francia (1659-1792), a cura di L. Firpo, Torino 1975, pp. 5-17 (sunto dei dispacci dell'ambasceria in Francia: alle pp. 325 s. la testimonianza del Querini sugli ultimi giorni del G.); V, Francia(1492-1600), a cura di L. Firpo, ibid. 1978, p. XXXI; I "documentiturchi" dell'Archivio di Stato di Venezia, a cura di M.L. Pedani-Fabris, Roma 1994, p. 550; R. Rapin, Serenissimae Reipublicae Venetae armorum trophaeum pro debellato Turca…, Parisiis 1657 (carme gratulatorio dedicato al G.); E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, III, Venezia 1830, p. 440; V, ibid. 1842, p. 171; E. Bacchion, Venezia e Genova durante la guerra di Candia, Venezia 1943, pp. 73 s.